«Stai bene?» mi rispose con voce assonnata.
«Sì, certo. Mi sono ricordato di una cosa, Cass.»
Sbadigliò. «Dio, sarà meglio che sia importante, cazzo. Ma che ore sono?»
«Non lo so. Ascolta. Quell'estate io, Peter e Jamie vedemmo Jonathan Devlin e i suoi amici che stupravano una ragazza.»
Ci fu una pausa. Poi Cassie disse, con voce molto più sveglia: «Ne sei certo? Forse non capiste bene…»
«No, ne sono certo. Lei provò a urlare ma uno di loro la colpì. La tenevano ferma.»
«E loro vi videro?»
«Sì, sì. Scappammo e ci urlarono dietro.»
«Cazzo» fu il suo commento. Sentii che stava lentamente afferrando la situazione: una ragazzina violentata, uno stupratore in famiglia, due testimoni svaniti. Eravamo a pochi passi da un mandato. «Cazzo… ben fatto, Ryan. Conosci il nome della ragazza?»
«Sandra qualcosa.»
«Quella di cui hai già parlato? Cominceremo a cercarla domani.»
«Cassie» dissi, «se questa pista dovesse portarci da qualche parte, come faremo a spiegare che ne eravamo a conoscenza?»
«Ascolta, Rob, non pensare a questo per il momento, okay? Se troviamo Sandra, sarà l'unica testimone di cui avremo bisogno. Altrimenti andiamo da Devlin e lo affrontiamo. Gli scaraventiamo in faccia tutti i particolari e lo mandiamo fuori di testa finché non confessa… il modo lo troviamo.»
Mi colpì che non avesse nemmeno provato a mettere in discussione i dettagli che le avevo fornito. Deglutii per impedire che mi tremasse la voce. «Qual è il termine di prescrizione per la violenza carnale? Possiamo inchiodarlo per quello anche se non abbiamo prove per l'altra faccenda?»
«Non mi ricordo. Lo scopriremo domattina. Adesso ce la fai a rimetterti a dormire o sei troppo su di giri?»
«Sono troppo su di giri» risposi. Ero nervoso fin quasi all'isterismo. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse iniettato qualcosa di frizzante nel sangue. «Parliamo un po'?»
«Certo.» Sentii che smuoveva le lenzuola per sistemarsi più comodamente nel letto. Trovai la bottiglia di vodka e tenni il cellulare tra orecchio e spalla mentre me ne versavo un goccio. Non ci misi neppure un po' di tonic.
Mi parlò di quando aveva nove anni e aveva convinto tutti i bambini del vicinato che c'era un lupo magico sulle colline vicino al paese. «Dissi che avevo trovato una sua lettera sotto a un'asse del parquet in cui mi diceva che era lassù da quattrocento anni e che portava una mappa attorno al collo che ci avrebbe portati dritti al tesoro. Organizzai i bambini in una squadra – Dio, ero veramente una stronzetta comandina – e ogni weekend andavamo sulle colline alla ricerca di questo lupo. Ci capitava a volte di imbatterci in un cane da pastore e allora scappavamo via a perdifiato e finivamo nei corsi d'acqua, ridendo a crepapelle e divertendoci un mondo…»
Mi stiravo nel letto sorseggiando il mio drink. L'adrenalina stava dissolvendosi e il ritmo basso della voce di Cassie era confortevole. Mi sentivo caldo e piacevolmente esausto, come un bambino dopo una lunga giornata. «E magari non era neanche un cane da pastore o roba del genere» sono sicuro di averle sentito dire, «era troppo grande e completamente diverso, più selvatico» e subito dopo mi ero già addormentato.
Il giorno successivo cominciammo a darci da fare per rintracciare una Sandra o Alexandra vissuta a Knocknaree o dintorni nel 1984. Fu una delle mattinate più frustranti della mia vita. Chiamai l'ufficio anagrafe e parlai con una donna che con voce annoiata e fortemente nasale mi disse subito che non poteva fornirci indicazioni senza un mandato del tribunale. Quando, scaldandomi un po', le feci presente che si trattava dell'omicidio di una bambina, capì che non mi sarei arreso e solo allora mi concesse di parlarne con qualcun altro e mi mise in attesa, con in sottofondo la musichetta Eine Kleine Nachtmusik che sembrava suonata con un dito solo su un vecchio Casio. Ma anche la seconda donna interpellata ripeté che senza autorizzazione non avrei potuto ottenere niente da lei.
Di fronte a me, Cassie stava tentando dal canto suo una ricerca sul registro elettorale del 1988 della zona sudovest di Dublino – partendo dal presupposto che quello era presumibilmente l'anno in cui la nostra Sandra era stata abbastanza grande da votare ma non abbastanza per andarsene di casa -, più o meno con i miei stessi risultati. Mi arrivava di tanto in tanto il chiacchiericcio di una voce, forse preregistrata, che le diceva nella cornetta di attendere, che la sua telefonata era importante e sarebbe stata passata al più presto all'interno desiderato. Cassie era annoiata e irrequieta, cambiava posizione ogni trenta secondi, sedeva a gambe incrociate per poi appollaiarsi sul tavolo, infine ruotava la sedia finché non rimaneva impigliata nel filo del telefono. Quanto a me, vedevo un po' appannato a causa del poco sonno, ero tutto sudaticcio – il riscaldamento andava al massimo anche se fuori non faceva molto freddo, perché Bernadette sostiene sempre di essere di salute cagionevole – ed ero sul punto di mettermi a urlare.
«Be', andate affanculo» scoppiai infatti, alla fine, sbattendo giù la cornetta all'ennesima ripetizione di Eine Kleine Nachtmusik. Mi sarebbe rimasta in testa per settimane. «Tutto questo non ha alcun senso.»
«La sua irritazione è importante per noi» mimò Cassie, con la testa rovesciata sul poggiatesta, guardandomi da sotto in su, «e sarà esacerbata al più presto. La ringraziamo per l'attesa.»
«Ammesso che questi deficienti ci diano qualche informazione, non sarà su un disco o in un database. Saranno cinque milioni di scatole da scarpe piene di documenti, e dovremo leggerceli tutti e guardare ogni singolo cazzo di nome. Ci vorranno settimane.»
«E magari si è anche trasferita, si è sposata, è emigrata e sarà pure morta, ma hai un'idea migliore?»
Mi venne, all'improvviso. «A dire il vero, sì» risposi afferrando la giacca. «Vieni.»
«Scusa? Dove andiamo?»
Girai la sedia di Cassie verso la porta mentre passavo. «A parlare con la signora Pamela Fitzgerald. Allora, chi è il tuo genio preferito?»
«Be'… Leonard Bernstein.» Cassie sbatté giù con gioia la cornetta e balzò in piedi. «Ma per oggi mi vai bene tu.»
Ci fermammo da Lowry a comprare una scatola di biscottini per la signora Fitzgerald, se non altro per scusarci del fatto che ancora non le avevamo ritrovato la borsetta. Fu un errore, perché la generazione della signora Fitzgerald è incontrollatamente competitiva in fatto di generosità. I biscotti significarono che si sentì in obbligo di tirare fuori dal freezer un sacchetto di focaccine, scongelarle nel microonde, spalmarci sopra il burro e riempire di marmellata un vecchio piattino, mentre sedevamo sull'orlo del suo insicuro divano, io che facevo ballare un ginocchio come un pazzo e Cassie che con lo sguardo mi segnalava di smetterla. Sapevo anche che quelle dannate focaccine andavano mangiate, altrimenti ci saremmo sentiti ripetere "Su, avanti" all'infinito.
La signora Fitzgerald ci controllava attentamente, strizzando gli occhi per vederci meglio, e sospirò soddisfatta e si rilassò nella poltrona soltanto quando ingollammo un sorso di tè – così forte che mi si accartocciò la bocca – e demmo un morso a una delle focaccine. «A me le focaccine piacciono molto» ci disse. «Ma quelle semplici, perché se sono alla frutta mi si attaccano alla dentiera.»
«Signora Fitzgerald» cominciò Cassie, «si ricorda di quei due bambini scomparsi nel bosco circa vent'anni fa?» All'improvviso quasi mi dispiacque che fosse stata lei a dirlo, ma a me mancava il coraggio. Ero certo che mi sarebbe venuta meno la voce e che mi sarei tradito. A quel punto, la signora Fitzgerald si sarebbe insospettita e, dopo avermi osservato con più attenzione, avrebbe finito per riconoscere il terzo bambino. A quel punto saremmo stati lì davvero tutto il giorno.
«Certo che me li ricordo» rispose, sdegnata. «Fu terribile. Non trovarono più neanche l'ombra di quei poverini. Nessun funerale degno di questo nome, niente di niente.»