«E?» chiesi, quando non riuscii più a sopportare il silenzio. Tremavo come un cane da caccia che punta una preda. Come dicevo, non ho l'abitudine di malmenare i sospettati, ma con la mente mi vedevo già sbattere Devlin contro un muro, come avrebbe fatto Sipowicz, quello della serie NYPD, urlargli in faccia e riempirlo di pugni fino a cavargli la verità.
«Sai cosa?» continuò Cassie. «Sandra non lasciò Cathal Mills. Continuò a uscire con lui finché non fu lui a lasciarla, alcuni mesi dopo.»
Fui lì lì per sbottare: "E questo è tutto?". «Credo che il periodo di prescrizione sia più lungo se lei era minorenne» dissi, invece. La mia mente correva a cento all'ora mentre contemplava le diverse strategie di interrogatorio. «Potremmo avere ancora tempo. È proprio il tipo di persona che mi piacerebbe arrestare nel bel mezzo di una riunione importante.»
Cassie scosse la testa. «Non c'è alcuna possibilità che Sandra sporga denuncia. Pensa che sia stata tutta colpa sua perché andava a letto con lui.»
«Andiamo a parlare con Devlin» proposi e misi in moto.
«Aspetta un secondo» mi fermò Cassie. «C'è un'altra cosa. Magari non è niente, ma… Quando ebbero finito, Cathal… penso sinceramente che dovremmo indagare in ogni caso su di lui per trovare qualcosa con cui incriminarlo… Cathal disse: "Brava la mia ragazza" e le diede un bacio. Lei era seduta, tremava, cercava di rimettersi i vestiti e di risistemarsi. E in quel momento sentirono qualcosa fra gli alberi, a poca distanza. Sandra dice di non aver mai sentito niente del genere. Come di un uccello enorme che sbattesse le ali, ha detto, però è sicura che fosse un suono vocale, un richiamo. Sussultarono tutti, urlarono, poi Cathal gridò qualcosa tipo "quei maledetti bambini rompono di nuovo i coglioni" e lanciò dei sassi fra gli alberi, ma il rumore non cessò. Proveniva da una zona in ombra e non riuscivano a vedere niente. Erano paralizzati, spaventati. Riuscivano solo a gridare. Poi finì e la cosa parve allontanarsi tra gli alberi. Sembrava grande almeno quanto una persona, ha detto. Scapparono a casa. E c'era un odore, ha detto, un forte odore di animali, come di capre, o roba del genere, o come quello che si sente allo zoo.»
«Coosa?» esclamai. Ora mi aveva davvero colto alla sprovvista.
«Non foste voi?»
«Non che io ricordi» risposi. Sapevo che eravamo scappati via, che mi mancava il fiato per la corsa, che non ero certo di cosa stesse succedendo ma che di sicuro c'era qualcosa di molto sbagliato. Ricordavo noi tre che ci guardavamo, ansimanti, al limitare del bosco. Dubitavo seriamente che potessimo aver deciso di tornare alla radura per metterci a fare strani rumori d'ali e spandere odore di capra. «Se lo sarà immaginato.»
Cassie si strinse nelle spalle. «Certo, potrebbe esserselo immaginato. Ma mi sono anche chiesta se nel bosco magari non ci fosse un qualche tipo di animale pericoloso.»
L'animale più feroce che c'è in Irlanda è molto probabilmente il tasso, ma ci sono anche storie molto antiche, specie nelle Midland: di pecore morte con la gola squarciata, di viaggiatori notturni che, lungo i sentieri, si imbattevano in grandi ombre o che scorgevano occhi luminosi. La spiegazione di solito fa ricorso a qualche cane da pastore senza padrone, a occhi di gatti visti al buio, ma alcuni fatti rimangono comunque inspiegati. Pensai agli strappi sul dorso della mia maglietta. Senza credere all'esistenza di misteriosi animali selvatici, anche Cassie ne è sempre stata affascinata, perché quelle linee le riportano alla mente il Cane Nero che seguiva i viandanti medievali, e perché le piace l'idea che nel paese ci siano parti sconosciute e non ancora presenti sulle mappe, non ancora regolate e monitorate con telecamere a circuito chiuso. Le piace pensare che ci siano ancora angoli segreti d'Irlanda con animali non addomesticati delle dimensioni di un puma che si aggirano indisturbati.
Anche a me l'idea piace, normalmente, ma in quel momento non avevo proprio il tempo di pensarci. Fin da quando quel caso aveva avuto inizio, fin dal preciso momento in cui eravamo apparsi con la nostra auto in cima alla collina e avevamo visto Knocknaree estendersi di fronte a noi, l'opaca membrana fra me e quel giorno nel bosco si era lentamente ma inesorabilmente assottigliata. Ora era così sottile che riuscivo a sentire i piccoli rumori furtivi dall'altra parte, un battere d'ali e un fruscio, come di una falena intrappolata nelle mani chiuse a coppa. Non c'era spazio per strambe teorie di animali esotici, elfi o mostri di Loch Ness.
«No» le risposi. «No, Cass. Praticamente ci vivevamo, in quel bosco. Lo avremmo saputo se ci fosse stato qualcosa di più grande di una volpe. E quelli che vennero a cercarci ne avrebbero rinvenuto le tracce. O c'era un voyeur con un cattivo odore addosso che li stava osservando, oppure si è immaginata tutto.»
«Potrebbe anche essere» commentò Cassie con un tono neutro. Mi scossi. «Un momento, e ora come ci organizziamo?»
«Di certo questa volta non me ne starò seduto in questa cazzo di macchina ad aspettare» risposi, accorgendomi di aver alzato pericolosamente il volume della voce.
Inarcò leggermente un sopracciglio. «Veramente pensavo di restarci io… Be', non seduta in macchina. Ti scarico e vado a parlare un altro po' con le cugine o roba del genere. Puoi mandarmi un SMS quando vuoi che ti venga a prendere. Tu e Devlin potete farvi una bella chiacchierata fra uomini. Non parlerebbe di stupro se ci fossi anch'io.»
«Oh» mormorai, a disagio. «Okay, grazie, Cass. Mi sembra un buon piano.»
Scese e io cominciai a spostarmi verso il lato del passeggero, pensando che volesse guidare lei. Ma Cassie andò verso gli alberi e si mise a scalciare tra l'erba alta fino a quando non trovò l'accendino. «Eccolo» disse in tono burbero ma con un sorrisetto di sbieco, e me lo allungò. «Adesso però voglio il mio regalo di Natale.»
8
Quando mi fermai davanti alla casa dei Devlin, Cassie disse: «Rob, magari ci hai già pensato, ma la cosa potrebbe prendere una direzione completamente diversa».
«In che senso?» chiesi, in tono assente.
«Sai quando dicevo della sensazione di posticcio relativa allo stupro, quello di Katy, intendo, e del fatto che non sembrava avere uno sfondo sessuale? Abbiamo qualcuno con un motivo non di carattere sessuale per volere che la figlia di Devlin fosse violentata e che poteva usare solo un arnese per farlo.»
«Sandra? All'improvviso, dopo vent'anni?»
«L'articolo di giornale potrebbe aver risvegliato qualcosa.»
«Cassie» dissi, inspirando profondamente, «sono un semplice ragazzo di provincia. Preferisco concentrarmi sull'ovvio. E l'ovvio, al momento, è Jonathan Devlin.»
«Dicevo per dire. Potrebbe tornare utile.» Allungò una mano e mi arruffò i capelli, rapida e goffa. «Forza, ragazzo di provincia. In bocca al lupo.»
Jonathan era solo in casa. Disse che Margaret aveva portato le ragazze da sua sorella e mi chiesi quando fosse successo e perché. Aveva un aspetto terribile. Era dimagrito così tanto che i vestiti gli pendevano addosso miseramente, e la faccia pure. Si era tagliato i capelli ancora più corti, rasati vicino alla cute. Gli davano un che di solitario e disperato che mi fece pensare alle civiltà antiche dove i parenti dei defunti offrivano i loro capelli sulle pire funerarie degli scomparsi. Mi indicò il divano e si sedette su una poltrona di fronte a me. Era proteso in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e le mani strette. La casa sembrava deserta: non c'erano odori di cucina, né si sentiva la TV o la lavatrice in sottofondo; non c'erano libri lasciati aperti sui braccioli, niente che suggerisse che stesse facendo qualcosa quando ero arrivato.
Non mi offrì nulla da bere. Gli chiesi come andavano le cose. «Lei che ne dice?» fu la sua risposta. Gli spiegai che stavamo seguendo varie piste, respinsi le sue brusche domande su dettagli più specifici e chiesi se gli era venuto in mente altro che potesse essere rilevante. La selvaggia e incontenibile urgenza che avevo sentito in macchina era svanita non appena aveva aperto la porta. Mi sentivo più calmo e lucido di quanto non fossi stato per settimane. Margaret, Rosalind e Jessica potevano rientrare da un momento all'altro, ma non so perché ero certo che non sarebbe accaduto. Le finestre erano sporche e la luce del tardo pomeriggio scivolava sui mobiletti con le antine di vetro e sul legno lucido del tavolo da pranzo inondando la stanza di una luminescenza velata. Era come se fossimo sott'acqua. Sentivo un orologio che ticchettava in cucina, pesante e dolorosamente lento, ma a parte quello non si udiva altro, neppure fuori. Tutta Knocknaree poteva essersi riunita per poi svanire nell'aria, lasciando solamente me e Jonathan Devlin. C'eravamo noi due e basta, uno di fronte all'altro, divisi solo dal tavolino segnato dalle impronte tondeggianti lasciate dalle tazze, e le risposte erano così vicine che le sentivo accalcarsi e azzuffarsi negli angoli della stanza. Non c'era alcuna fretta.