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«Chi è l'appassionato di Shakespeare?» mi risolsi a domandare, rimettendo via il blocco. Ovviamente la domanda non rivestiva alcuna importanza, ma pensai che potesse servire a fargli abbassare un po' la guardia. Ed era anche una cosa che mi incuriosiva.

Jonathan si accigliò, irritato. «Come?»

«I nomi delle sue figlie» spiegai. «Rosalind, Jessica, Katharine con la "a". Sono nomi da commedie di Shakespeare. Ho immaginato che alla base ci fosse una scelta ben precisa.»

Sbatté gli occhi. Per la prima volta mi guardò con un pizzico di calore e mi rivolse un mezzo sorriso, il sorriso compiaciuto ma timido del bambino che si aspetta che qualcuno noti il suo nuovo stemma da scout. «Sa, lei è la prima persona a coglierlo. Sì, li ho scelti io.» Inarcai un sopracciglio come per incoraggiarlo. «Ho attraversato una specie di fase di miglioramento personale, direi che potremmo definirla così, dopo il matrimonio… Ho cercato di orientarmi in mezzo a tutte quelle cose che uno deve sapere… Shakespeare, Milton, George Orwell… Milton non mi faceva impazzire, ma Shakespeare… È stata dura leggerlo, ma alla fine non ho lasciato indietro nulla. Scherzavo sempre con Margaret e le dicevo che se le gemelle fossero state un maschio e una femmina li avremmo chiamati Viola e Sebastian, ma secondo lei a scuola poi li avrebbero presi in giro…»

Il suo sorriso svanì. Lo sguardo volò altrove. Quello era il momento. Dovevo cogliere l'occasione. «Sono nomi bellissimi» ripresi e lui annuì distrattamente. «Ancora una cosa: le dicono nulla i nomi Cathal Mills e Shane Waters?»

«Perché?» Pensai di cogliere un guizzo di circospezione nei suoi occhi, ma potevo essermi sbagliato.

«Sono emersi nel corso delle indagini.»

Allentò istantaneamente le ciglia aggrottate e irrigidì le spalle come fosse stato un cane da combattimento. «Sono sospettati?»

«No» risposi con fermezza. Anche se lo fossero stati non glielo avrei rivelato, non solo per motivi procedurali, ma soprattutto perché Jonathan in quel momento era troppo instabile, con una tensione dentro che sembrava caricata a molla. Se era innocente, almeno della morte di Katy, allora anche un solo accenno di incertezza nella mia voce e sarebbe partito con un Uzi in mano alla volta delle loro case. «Stiamo solo seguendo tutte le piste. Mi dica di loro.»

Mi fissò per un altro secondo, poi si accasciò e si appoggiò allo schienale della poltrona. «Eravamo amici da ragazzi. Non siamo più in contatto da anni.»

«Quando vi siete conosciuti?»

«Quando le nostre famiglie si trasferirono qui. Direi intorno al 1974. Eravamo le prime tre famiglie dell'intero abitato, su in cima, il resto era ancora in costruzione. I dintorni erano tutti per noi. Giocavamo nei cantieri, dopo che i muratori se ne erano andati, come in una specie di labirinto enorme. Avremo avuto otto… nove anni.»

C'era qualcosa nella sua voce, una corrente sotterranea di nostalgia, profonda e costante, che mi fece comprendere quanto fosse solo, e non semplicemente per la morte di Katy. «E per quanto tempo siete rimasti amici?» chiesi.

«È difficile dirlo con esattezza. Cominciammo a prendere strade diverse intorno ai diciannove anni, ma per un po' ci tenemmo ancora in contatto. Perché? Cosa c'entra questo con il resto?»

«Due testimoni» cominciai, cercando di mantenere il tono di voce più inespressivo possibile, «affermano che nell'estate del 1984 lei, Cathal Mills e Shane Waters partecipaste allo stupro di una ragazza del luogo.»

Schizzò in piedi e agitò le mani strette a pugno. «Cosa… cosa cazzo c'entra con Katy? Mi sta accusando… cosa sta… cazzo!»

Gli rimandai uno sguardo pacato e lo lasciai finire. «Non posso non notare che non ha negato l'accusa» affermai.

«E non l'ho neanche ammessa, questa stronzata. Devo cercarmi un avvocato?»

Nessun avvocato al mondo gli avrebbe lasciato proferire un'altra parola. «Senta» dissi, sporgendomi in avanti e passando a un tono confidenziale e più leggero, «io sono della Omicidi, non della sezione Crimini sessuali. Mi interessa una violenza di vent'anni fa solo se…»

«Presunta violenza.»

«Come vuole, presunta violenza. Non mi interessa a meno che non abbia una ricaduta sull'omicidio. Sono qui solo per appurare questo.»

Jonathan riprese fiato per aggiungere qualcosa, e per un istante pensai che mi avrebbe ordinato di andarmene. «Se vuole restare in casa mia anche un solo secondo in più dobbiamo però chiarire una faccenda» disse. «Non ho mai alzato un dito sulle ragazze. Mai.»

«Nessuno l'ha accusata di…»

«Lei ci gira attorno fin dal primo giorno in cui è venuto qui e le insinuazioni non mi piacciono. Adoro le mie figlie. Le abbraccio per augurare loro la buonanotte. E finisce lì. Non le ho mai toccate, nessuna di loro, in modi che potrebbero definirsi scorretti. Sono stato chiaro?»

«Chiarissimo» risposi, cercando di non apparire sarcastico.

«Bene.» Annuì. Uno scatto secco e controllato. «Ora, per l'altra faccenda: non sono uno stupido, detective Ryan. Anche solo ipotizzando che io abbia fatto qualcosa che potrebbe spedirmi in prigione, perché cavolo dovrei raccontarglielo?»

Benedissi mentalmente Cassie. «Mi ascolti» mi affrettai a dire, «stiamo prendendo in considerazione la possibilità che la vittima potrebbe avere avuto qualcosa a che vedere con la morte di Katy, una sorta di vendetta per quello stupro.» Sgranò gli occhi. «È solo una possibilità remota e non abbiamo nessuna prova concreta, quindi non voglio perderci troppo tempo e, soprattutto, non voglio che lei la contatti in alcun modo. Se scoprissimo che è qualcosa di più di una possibilità, potrebbe rovinare tutto.»

«Non ci penso neanche. Come dicevo, non sono uno stupido.»

«Bene, mi fa piacere che questo punto sia chiaro. Ho bisogno della sua versione dei fatti, però.»

«E poi? Mi accuserà della violenza?»

«Non posso garantirle nulla» risposi. «Di certo non l'arresterò. Non sta a me decidere se formalizzare l'accusa oppure no, dipenderà dalla pubblica accusa e dalla vittima, ma dubito che voglia farsi avanti in qualche modo. E non le ho neppure letto i suoi diritti, quindi qualsiasi cosa dica non sarebbe ammissibile in un eventuale processo. Ho solo bisogno di sapere cos'è successo. A lei la scelta, signor Devlin. Quanto le interessa scovare l'assassino di Katy?»

Jonathan temporeggiò. Si sporse in avanti con le mani strette e mi guardò di traverso, uno sguardo lungo o sospettoso. Cercai di sostenerlo, di sembrargli degno di fiducia.

«Se solo riuscissi a farle capire» disse infine, quasi a se stesso. Con movimenti irrequieti si alzò dalla poltrona, andò alla finestra e si appoggiò al vetro. Ogni volta che guardavo dalla sua parte, il suo contorno illuminato si stagliava incombente contro i pannelli di vetro della finestra. «Ha degli amici che conosce da quando era un ragazzino?»

«No, non proprio.»

«Nessuno ti conosce come quelli con cui sei cresciuto. Potrei imbattermi in Cathal o in Shane domani, dopo tutto questo tempo, e saprebbero comunque di me più di quanto ne sappia Margaret. Eravamo molto legati, più che fratelli. Nessuno di noi aveva quella che si definirebbe una famiglia felice: Shane non ha mai conosciuto il suo vecchio, il padre di Cathal invece era un buono a nulla che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, e i miei genitori erano entrambi alcolizzati. Non le sto dicendo queste cose per usarle come scuse, sia chiaro, sto solo cercando di farle capire come eravamo. A dieci anni facevamo cose da fratelli di sangue, le è mai capitato? Cose come tagliarsi i polsi e premerli assieme?»