Gli occhi di Jonathan si posarono per un momento su di me, poi lui scrollò le spalle in un piccolo gesto di sconfitta. «Sì, certo» rispose con pacatezza. «Forse. Glielo ripeto, non le sto raccontando tutto questo per accampare scuse. Lei me l'ha chiesto e io le ho risposto.»
Era una ricostruzione assurda, naturalmente, melodrammatica, oltre che egoista e assolutamente prevedibile: tutti i criminali che avevo interrogato erano ricorsi a una lunga e contorta storia, molto spesso migliore di questa, per dimostrare che in fin dei conti non era stata colpa loro o che, se non altro, quanto avevano commesso non era così brutto come sembrava. Ciò che mi infastidiva maggiormente era che una piccolissima parte di me ci credeva. Non ero per niente convinto dei motivi idealistici di Cathal, ma Jonathan… Innamorato più degli amici che delle donne, si era perso in una selvaggia zona grigia dei suoi diciannove anni e andava alla disperata ricerca di un qualche rito mistico che rimandasse indietro il tempo e rimettesse insieme il loro mondo privato sul punto di disintegrarsi. Non doveva essergli stato difficile vedere la cosa come un atto di amore, per quanto oscuro e distorto, e non traducibile in maniera chiara per l'aspro mondo esterno. Non che la cosa facesse qualche differenza: mi chiedevo anzi cos'altro avrebbe fatto per la sua causa.
«Non ha avuto più nessun contatto con Cathal Mills e Shane Waters?» chiesi, un po' crudelmente, mi rendevo conto.
«No» rispose piano. Diresse lo sguardo verso la finestra e rise, senza allegria. «Dopo tutto questo, eh? No. Cathal e io ci spediamo gli auguri di Natale. Li firma anche sua moglie. Sono anni invece che non sento Shane. Gli scrivevo, di tanto in tanto, ma non ha mai risposto, così ho smesso.»
«Avete cominciato ad allontanarvi non molto dopo lo stupro.»
«È stata un'evoluzione lenta, ci sono voluti anni. Ma, se analizziamo la cosa, in effetti è così, si può dire che è cominciata quel giorno, nel bosco. È stato strano, dopo… Cathal ne parlava in continuazione e Shane si innervosiva come un gatto sui carboni ardenti. Io mi sentivo in colpa da morire, non volevo neanche pensarci… ironico, vero? Doveva unirci per sempre e invece…» Scosse la testa come un cavallo infastidito da una mosca. «Ma forse le nostre strade si sarebbero separate comunque. Succede. Cathal si è trasferito, io mi sono sposato…»
«E Shane?»
«Scommetto che lo sa che Shane è in galera» rispose seccamente. Annuii. «Shane… Ascolti, se quello stupido fosse nato dieci anni dopo sarebbe stato un grande. Non dico che avrebbe ottenuto chissà che, ma avrebbe un lavoro decente e una famiglia. È una vittima degli anni Ottanta. C'è un'intera generazione là fuori che non ce l'ha fatta. Quando è arrivata la Tigre Celtica era già troppo tardi per molti di noi, eravamo troppo vecchi per ricominciare da capo. Cathal e io siamo solo stati più fortunati. Guardi me: facevo schifo in tutto tranne che in matematica, ma ho preso il massimo dei voti al diploma e così alla fine ce l'ho fatta a trovarmi un lavoro in banca. E Cathal cominciò a frequentare un giovane danaroso che aveva un computer e che gli insegnò a usarlo, così per scherzo. Alcuni anni dopo, quando tutti nel paese erano alla disperata ricerca di qualcuno che ne capisse di informatica, lui era uno dei pochi che sapesse andare oltre la semplice accensione di quelle dannate macchine. È sempre caduto in piedi, Cathal. Shane, invece, non ce l'ha fatta. Non aveva un lavoro, nessuna istruzione, nessuna prospettiva, niente famiglia. Che cosa avrebbe avuto da perdere se avesse fatto una rapina?»
Mi riusciva difficile provare anche un minimo di solidarietà per Shane Waters. «Nei minuti immediatamente successivi allo stupro» dissi, quasi contro la mia stessa volontà, «udiste qualcosa fuori dall'ordinario, come di un grosso uccello che sbattesse le ali?» Tralasciai ogni riferimento alla parte vocale. Anche in momenti come quello, c'è un limite per me invalicabile alle stranezze che sono disposto ad accettare.
Jonathan mi lanciò un'occhiata strana. «Il bosco era pieno di uccelli, volpi e chi più ne ha più ne metta. Non avrei notato nulla di particolare, non in quel momento. Non so se ho reso bene l'idea dello stato in cui ci trovavamo. Non c'ero solo io, capisce? Era come se fossimo tutti fatti d'acido. Tremavo dalla testa ai piedi, non vedevo chiaramente, tutto continuava a scivolare via. Sandra stava… Sandra rantolava, come se non riuscisse a respirare. Shane era disteso sull'erba a fissare gli alberi ed era tutto un fremito. Cathal cominciò a ridere, barcollava per la radura ululando, gli dissi che gli avrei dato un cazzotto se non avesse…» Si fermò.
«Che c'è?» chiesi, dopo un po'.
«L'avevo dimenticato» continuò lentamente. «Io non… di certo non mi piace ripensare a certe cose. Me ne ero dimenticato… Se era qualcosa, mi intenda bene, visto il nostro stato mentale, può essere stata benissimo soltanto la nostra immaginazione.»
Attesi. Alla fine sospirò e fece un movimento, come una piccola scrollata di spalle. «Be', io la ricordo così: afferrai Cathal e gli dissi di chiudere la bocca o lo avrei colpito. Lui smise di ridere e mi prese per la maglietta… sembrava un matto, tanto che per un istante pensai che ci saremmo azzuffati. Ma c'era qualcuno che continuava a ridere. E non era uno di noi. Era lontano, in mezzo agli alberi. Sandra e Shane cominciarono a urlare entrambi… forse urlai anch'io, non lo so, ma la voce che rideva si faceva sempre più forte… Cathal mi lasciò andare e gridò qualcosa a proposito di quei ragazzini, ma non sembrava proprio…»
«Ragazzini?» ripetei freddamente. Stavo combattendo contro un impulso irrefrenabile di scappare a razzo. Non era possibile che Jonathan riconoscesse in me il bambino che bighellonava in giro, con i capelli molto più chiari di adesso e un accento e un nome diversi, ma mi sentivo comunque improvvisamente nudo ed esposto.
«Ah, c'erano questi ragazzini, piccoli, sui dieci, dodici anni, che giocavano sempre nel bosco. A volte ci spiavano, buttavano cose e poi scappavano, sa come funziona. Ma non mi sembrava uno di loro. Sembrava un uomo, o un ragazzo della nostra età. Non un bambino.»
Per una frazione di secondo fui lì lì per infilarmi nell'apertura che mi aveva fatto intravedere. Il lampo di circospezione si era dissolto e i piccoli e rapidi bisbigli negli angoli erano cresciuti fino a diventare un grido silenzioso, vicino, vicino come un respiro. Ce l'avevo sulla punta della lingua: "Quei bambini non vi stavano forse spiando, quel giorno? Non avevate paura che andassero a raccontarlo in giro? Cosa faceste per fermarli?". Ma poi il detective che era in me mi trattenne. Sapevo di avere una sola chance e che dovevo arrivarci sul mio terreno e con tutte le munizioni che riuscivo a portarmi.
Così chiesi: «Qualcuno di voi andò a vedere cosa fosse?»
Jonathan rifletté, a occhi chiusi, concentrato. «No. Come dicevo, eravamo tutti in stato di shock ed era decisamente più di quanto potessimo affrontare. Ero pietrificato, non ce l'avrei fatta a muovermi neppure volendo. Diventava sempre più forte, tanto che pensai che tutti gli abitanti sarebbero usciti per vedere cosa stava succedendo, e noi continuavamo a gridare… Alla fine smise… forse si spostò nel bosco, non so bene, e siccome Shane non la smetteva Cathal gli diede una sberla dietro la testa perché tacesse. Andammo via il più in fretta possibile. Tornai a casa, rubai un po' di roba forte da bere al mio vecchio e mi ubriacai come non mai. Non so cosa fecero gli altri.»
Con buona pace del misterioso animale selvatico di Cassie. Con ogni probabilità, c'era qualcun altro nel bosco quel giorno, qualcuno che, se aveva assistito alla violenza, quasi sicuramente aveva visto anche noi. Qualcuno che era poi di nuovo lì, una settimana o due dopo. «Ha qualche sospetto su chi potesse essere la persona che rideva?» chiesi.
«No. Ce lo domandò anche Cathal, dopo… Voleva sapere chi fosse, quanto avesse visto. Non ne ho idea.»
Mi alzai. «Grazie per il tempo che mi ha concesso, signor Devlin» conclusi. «Potrei avere bisogno di farle qualche altra domanda al riguardo più avanti, ma per il momento è tutto.»