«Aspetti» disse lui all'improvviso. «Pensa che sia stata Sandra a uccidere Katy?»
Aveva un'aria patetica, davanti alla finestra, con le mani strette a pugno nelle tasche del cardigan, ciononostante conservava un briciolo di sconsolata dignità. «No» risposi. «Non credo. Ma dobbiamo esplorare con attenzione tutte le possibilità.»
Jonathan annuì. «Immagino significhi che non avete un vero sospetto» disse. «No, lo so, lo so, non me lo può dire… se va a parlare con Sandra, le dica che mi dispiace. Abbiamo fatto una cosa orribile. So che è un po' tardi per scusarsi, avrei dovuto pensarci vent'anni fa, ma… glielo dica comunque.»
Quella sera andai a Mountjoy per incontrare Shane Waters. Sono certo che Cassie sarebbe venuta con me se l'avessi informata, ma era una faccenda che, per quanto possibile, volevo gestire da solo. Shane aveva una faccia da topo ed era agitato, portava baffetti rivoltanti ed era ancora pieno di brufoli. Mi ricordava Wayne il Tossico. Ricorsi a tutte le tattiche che conoscevo e promisi tutto quello che mi venne in mente, dall'immunità, al rilascio anticipato dalla condanna per rapina a mano armata, contando sul fatto che non fosse sufficientemente sveglio da sapere cosa potevo promettere e cosa no. Ma essendo uno dei miei punti deboli quello di sottovalutare il potere della stupidità, con l'inamovibile e irritante cocciutaggine di chi ha smesso da molto tempo di analizzare possibilità e ramificazioni, Shane rimase attaccato all'unica opzione che comprendeva. «Non so niente» continuò a ripetere, con una specie di anemico autocompiacimento che mi faceva venire voglia di urlare. «E non può provare il contrario.» Sandra, lo stupro, Peter e Jamie, anche Jonathan Devlin. «Non so di cosa sta parlando, amico.» Alla fine, quando mi resi conto che stavo seriamente correndo il rischio di gettargli qualcosa addosso, mollai la presa.
Sulla strada di casa inghiottii il mio orgoglio e chiamai Cassie, che non fece nemmeno finta di non avere intuito dove ero stato. Aveva trascorso la serata eliminando Sandra Scully dall'indagine. La notte in questione, Sandra aveva lavorato in un call center in città. Il suo responsabile e tutti gli altri del suo turno avevano confermato che era rimasta lì fino a poco prima delle due del mattino, quando aveva timbrato l'uscita e aveva preso il treno notturno per tornarsene a casa. Era una buona notizia – risistemava un po' le cose perché non mi piaceva l'idea di Sandra come possibile omicida – ma provai pena nell'immaginaria in un cubicolo senz'aria con luci al neon, circondata da studenti part-time e da attori in attesa di un provino.
Non mi dilungherò sui dettagli, ma ci impegnammo a fondo e con un'ingegnosità al limite della legalità nell'individuare il peggior momento per andare a parlare con Cathal Mills. Occupava una posizione abbastanza elevata dal nome incomprensibile in un'azienda che forniva "soluzioni aziendali di e-learning, software e localizzazione" (ne fui colpito perché non ritenevo possibile provare per lui più antipatia di quanta già non ne provassi). Gli piombammo tra capo e collo nel bel mezzo di un'importantissima riunione con un potenziale grosso cliente. Perfino l'edificio metteva i brividi: lunghi corridoi senza finestre e infinite rampe di scale che ti facevano perdere il senso dell'orientamento, aria tiepida miscelata con troppo poco ossigeno, un rumore basso e sordo quanto fastidioso prodotto dai computer e dal vocio controllato, enormi spazi occupati da cubicoli: una specie di labirinto per topi di uno scienziato pazzo. Cassie mi lanciò un'occhiata sconvolta mentre, al seguito di un androide, superavamo la quinta serie di porte che si aprivano solo con un badge.
Fu facile individuare Cathal nella sala riunioni: era quello al PowerPoint per le presentazioni. Era ancora un bell'uomo, alto e con le spalle larghe, gli occhi azzurri e luminosi e l'ossatura robusta… e pericolosa. Un po' di adipe, però, cominciava ad accumulargli in vita e ad appesantirgli la mascella. Ancora qualche anno e avrebbe assunto un'aria grossolana da suino. Il "nuovo cliente" erano quattro americani identici, privi di senso dell'umorismo e con addosso abiti scuri indistinguibili.
«Scusate, ragazzi» disse Cathal, rivolgendoci un aperto sorriso di avvertimento, «la sala riunioni è occupata.»
«Lo vedo bene» gli rispose Cassie. Si era abbigliata per l'occasione, con jeans strappati e una vecchia maglietta turchese con la scritta in rosso GLI YUPPY SANNO DI POLLO. «Sono il detective Maddox…»
«E io il detective Ryan» mi presentai, mostrando il distintivo. «Vorremmo farle qualche domanda.»
Il sorriso non si smosse, ma una fiammata furibonda gli attraversò lo sguardo. Capii che avevamo avuto ragione su di lui. «Non è un buon momento.»
«No?» fece Cassie, affabile, e si appoggiò con indolenza al tavolo così che l'immagine del PowerPoint svanì in qualcosa di informe che comparve sulla sua maglietta.
«No.» Cathal lanciò un'occhiata di sbieco ai suoi clienti che fissavano il vuoto con aria di disappunto o fingevano di esaminare carte.
«Mi sembra un ottimo posto per parlare» continuò lei, indicando la sala riunioni con l'aria di apprezzarla, «ma possiamo anche spostarci da noi, in sede, se lo preferisce.»
«Di cosa si tratta?» domandò Cathal. Fu un errore e se ne rese conto non appena ebbe pronunciato le parole. Se fossimo stati noi a parlare per primi, lì davanti ai cloni, sarebbe stato per notificargli una denuncia per molestie, e sembrava il tipo da querelarti. Invece no, era lui a domandare.
«Stiamo indagando sull'omicidio di una bambina» rispose Cassie, soave. «C'è la possibilità che il delitto sia collegato al presunto stupro di una ragazza e abbiamo ragione di credere che lei potrebbe essere utile alle indagini.»
Gli ci volle solo un mezzo secondo per riprendersi. «Non riesco a immaginare come» disse, serio. «Ma se si tratta di una bambina assassinata allora farò tutto quello che è in mio potere fare, naturalmente… Ragazzi» continuò, rivolto ai clienti, «mi scuso di questa interruzione, ma purtroppo il dovere chiama. Fiona vi accompagnerà a visitare l'edificio. Riprenderemo qui tra qualche minuto.»
«Ottimista» commentò Cassie con tono d'approvazione. «Mi piace l'ottimismo.»
Cathal la guardò malissimo e premette un pulsante su di un oggetto che si rivelò un interfono. «Fiona, potresti venire in sala riunioni e accompagnare questi signori a fare un tour del palazzo?»
Tenni la porta aperta per i cloni, i quali uscirono in fila con facce impassibili. «È stato un piacere» dissi congedandomi da loro.
«Erano della CIA?» fece Cassie, a bassa voce ma non troppo.
Cathal aveva già estratto il cellulare. Chiamò il suo avvocato, in maniera ostentata, credo per intimidirci, poi richiuse il telefono con uno scatto e, appoggiandosi allo schienale della poltrona, aprì bene le gambe e osservò lungamente Cassie con un lento e deliberato godimento. Per un folle istante fui tentato di dirgli qualcosa del tipo: "Mi hai dato tu la mia prima sigaretta, te lo ricordi?", solo per vedergli cascare le sopracciglia, per fargli sparire dalla faccia quel ghigno untuoso. Cassie sbatté le palpebre e gli rivolse un finto sorriso civettuolo. Perse la calma e diede una manata al bracciolo della poltrona, distendendo contemporaneamente il braccio per dare un'occhiata al Rolex.
«Ha fretta?» si informò Cassie.
«Il mio avvocato sarà qui tra venti minuti» rispose Cathal. «Ma per risparmiare il vostro e il mio tempo, oltre al disturbo, vi annuncio che non avrò nulla da dirvi nemmeno quando arriverà.»
«Oooh» disse Cassie, appollaiandosi sulla scrivania, su una pila di documenti. Cathal la squadrò, ma decise di non abboccare alla provocazione. «Stiamo sprecando ben venti minuti del preziosissimo tempo di Cathal. In fin dei conti, ha solo partecipato allo stupro di gruppo di una ragazzina. La vita è così ingiusta.»
«Maddox» intervenni.
«Non ho mai violentato una ragazza in vita mia» controbatté Cathal, con un sorrisetto disgustoso. «Non ne ho mai avuto bisogno.»