Fu però uno shock. L'intero caso era stato così affollato di possibilità e di ipotesi ("Okay, ammettiamo solo per un secondo che sia stato Mark, va bene, e che la malattia e il vecchio caso alla fine non siano collegati, e che Mel stia dicendo la verità: da chi potrebbe essersi fatto aiutare per liberarsi del corpo?") che la certezza aveva cominciato a sembrare irraggiungibile, un lontano sogno d'infanzia. Mi sentivo come se mi fossi mosso tra abiti vuoti appesi in una soffitta poco illuminata e d'un tratto avessi sbattuto contro un corpo umano caldo, solido e vivo.
Cassie abbassò le gambe anteriori della sedia sul pavimento. «Va bene» disse, «va bene. Torniamo all'inizio. Lo stupro di Sandra Scully. Quando accadde, esattamente?»
La testa di Jonathan si voltò bruscamente verso di me. «Ha ragione» gli dissi. «Scadenza dei termini.» Non era vero perché, come avevamo avuto modo di scoprire, non c'era prescrizione per lo stupro, ma era irrilevante: non avevamo alcuna possibilità di incriminarlo comunque.
Mi rivolse una lunga e diffidente occhiata. «Estate dell'84» si decise alla fine. «Non saprei dirle la data.»
«Abbiamo delle dichiarazioni che lo situano nelle prime due settimane di agosto» disse Cassie e aprì il file. «Le sembra corretto?»
«Potrebbe benissimo essere.»
«Ci sono anche dichiarazioni che attestano la presenza di testimoni.»
Si strinse nelle spalle. «Non saprei.»
«Per la verità, Jonathan, ci è stato detto che lei li inseguì nel bosco e che tornò indietro dicendo: "Maledetti ragazzini". A me sembra che lei sapesse di chi si trattava.»
«Forse sì. Non ricordo.»
«Come si sentiva all'idea che dei bambini sapessero quello che avevate fatto?»
Un'altra alzata di spalle. «Lo ripeto, non ricordo.»
«Cathal sostiene…» Cassie sfogliò le pagine. «Cathal Mills afferma che lei era terrorizzato all'idea che andassero alla polizia. Lui dice che, cito testualmente, "era in un tale stato di paura da farsela nelle mutande", fine della citazione.»
Nessuna risposta. Jonathan si accomodò meglio sulla sedia, a braccia conserte, solido come un muro.
«Cosa avrebbe fatto per impedire che la denunciassero?»
«Nulla di che.»
Cassie rise. «Andiamo, Jonathan. Sappiamo chi erano quei testimoni.»
«Uno a zero per voi, allora.» Aveva ancora il volto contratto, duro, non cedeva di un millimetro, ma le guance stavano diventando rosse: si stava arrabbiando.
«E pochi giorni dopo lo stupro» proseguì Cassie, «due di loro sparirono.» Si alzò, senza fretta, stiracchiandosi, e attraversò la stanza per andare verso la parete con le foto.
«Peter Savage» disse, appoggiando un dito sulla foto di scuola. «Vorrei che guardasse questa foto, signor Devlin, per favore.» Attese finché Jonathan non sollevò la testa e, di scatto, non si mise a fissare la fotografia con atteggiamento di sfida. «Ci hanno detto che era un leader nato. Avrebbe potuto guidare la campagna "Spostiamo l'autostrada" insieme a lei, se fosse stato vivo. I suoi genitori non possono cambiare casa, lo sa questo? A Joseph Savage, qualche anno dopo, offrirono un lavoro da favola, ma avrebbe comportato il trasferimento a Galway e non se la sentirono: Peter sarebbe potuto tornare a casa un giorno e scoprire che se n'erano andati.»
Jonathan fece per dire qualcosa ma Cassie non gliene diede il tempo. «Germaine Rowan…» Spostò la mano verso la fotografia seguente. «… nota come Jamie. Voleva diventare veterinaria da grande. Sua madre non ha spostato nulla nella sua stanza, continua a spolverarla ogni sabato. Quando, negli anni Novanta, cambiarono i numeri di telefono e si passò a sette cifre, se lo ricorda?, be', Alicia Rowan si recò alla sede centrale di Telecom Éireann e li implorò, in lacrime, di lasciarle tenere il vecchio numero a sei cifre, nel caso in cui un giorno Jamie avesse cercato di chiamare casa.»
«Noi non abbiamo avuto nulla…» cominciò Jonathan, ma lei lo interruppe di nuovo, alzando la voce e coprendo quella di lui.
«E Adam Ryan.» La foto delle mie ginocchia sbucciate. «I suoi genitori si trasferirono per l'enorme pubblicità e per la paura che chiunque l'avesse fatto la prima volta tornasse a riprenderselo una seconda. Spariti dai radar. Ma, ovunque sia, è tutta la vita che si trascina dietro quell'evento. Lei ama Knocknaree, no, Jonathan? Lei ama far parte di una comunità all'interno della quale è vissuto fin da quando era piccolo? Anche Adam magari avrebbe fatto la stessa scelta, se gliene avessero dato la possibilità. Ora è là fuori, da qualche parte, in un qualsiasi posto del mondo, e non può più tornare a casa.»
Le parole mi risuonarono dentro come le campane di una città sommersa. Era brava, Cassie: anche se solo per una frazione di secondo, mi sentii invadere da un tale senso di feroce desolazione che mi sarei messo a ululare come un lupo, la testa rovesciata all'indietro.
«Lei sa quello che provano i Savage e Alicia Rowan per lei, Jonathan?» domandò Cassie. «Invidia. Lei ha potuto seppellire sua figlia, ma è anche peggio non poter fare nemmeno quello. Ricorda come si è sentito il giorno in cui Katy non tornava a casa? Sono vent'anni che loro si sentono così.»
«Quelle persone meritano di sapere cosa è successo, signor Devlin» intervenni, a bassa voce. «E non solo per il loro bene. Abbiamo lavorato sull'ipotesi che i due casi siano collegati. Dobbiamo sapere se ci stiamo sbagliando, o l'assassino di Katy potrebbe sfuggirci.»
Qualcosa attraversò lo sguardo di Jonathan. Una strana miscela di orrore e speranza, pensai, ma sparì troppo in fretta perché potessi esserne certo.
«Cosa accadde quel giorno?» insistette Cassie. «Il 14 agosto 1984. Il giorno in cui Peter e Jamie sparirono?»
Jonathan sprofondò di più nella sedia e scosse la testa. «Vi ho detto tutto quello che so.»
«Signor Devlin» incalzai, sporgendomi verso di lui, «è facile capire come sia potuto succedere. Lei era terrorizzato per la faccenda di Sandra.»
«Sapeva che la ragazza non rappresentava una minaccia» proseguì Cassie. «Era innamorata persa di Cathal, non avrebbe detto nulla che lo mettesse nei guai e se anche l'avesse fatto sarebbe stata la sua parola contro la vostra. Le giurie hanno la tendenza a dubitare delle vittime degli stupri, soprattutto di quelle che hanno già avuto rapporti sessuali consenzienti con i loro assalitori. Avreste potuto definirla una troia e tornarvene a casa liberi. Ma quei ragazzini… una sola parola da parte loro e sareste finiti in galera per direttissima. Non potevate sentirvi tranquilli finché fossero rimasti in circolazione.»
Si staccò dal muro, avvicinò una sedia e si sedette accanto a lui. «Non andaste a Stillorgan, quel giorno, vero?»
Jonathan si mosse, si raddrizzò appena nelle spalle. «Sì» scattò. «Invece sì. Io, Cathal e Shane. Al cinema.»
«Cosa andaste a vedere?»
«Quello che dissi ai poliziotti. Sono passati vent'anni.»
Cassie scosse la testa. «No» lo contraddisse. Quella piccola e fredda sillaba ricadde come una bomba di profondità. «Magari uno di voi, scommetterei su Shane… è quello che io avrei lasciato indietro… ci andò davvero al cinema, così da poter raccontare agli altri due la trama del film, nel caso in cui qualcuno avesse fatto domande. Forse ci andaste tutti e tre, per avere un alibi, ma ne usciste non appena si spensero le luci. Ma prima delle sei, due di voi, almeno, erano tornati a Knocknaree, nel bosco.»
«Cosa…» esclamò Jonathan. La sua faccia era deformata da una smorfia di disgusto.
«I ragazzini tornavano sempre a casa per l'ora di cena, alle sei e mezzo, e sapevate che poteva volerci un po' prima di trovarli, all'epoca il bosco era piuttosto esteso. Ma li trovaste. Stavano giocando, non si nascondevano, magari stavano anche facendo un bel po' di rumore. Li coglieste alla sprovvista, proprio come avevano fatto loro con voi, e li prendeste.»