Ci eravamo preparati quella parte in precedenza, naturalmente: avevamo studiato tutto a puntino, elaborato una teoria che permettesse di inserirci tutto quello che avevamo verificato fin nei minimi dettagli. Ma c'era qualcosa che si agitava in me, una piccola sensazione di disagio che sgomitava e si contorceva… "No, non è andata così…" Ma era troppo tardi: avevamo iniziato e non c'era modo di fermarci.
«Non ci siamo mai andati in quel maledetto bosco quel giorno. Noi…»
«Toglieste loro le scarpe per impedirgli di scappare. Poi uccideste Jamie. Non ne saremo certi fino a quando non troveremo i cadaveri, ma scommetto che usaste una lama. L'accoltellaste o le tagliaste la gola. In un modo o nell'altro il suo sangue finì nelle scarpe di Adam. Forse le usaste apposta per raccogliere il sangue, nel tentativo di non lasciare troppe tracce. Magari pensaste di gettarle nel fiume, insieme ai corpi. Ma poi, Jonathan, mentre eravate alle prese con Peter, vi distraeste e non prestaste attenzione a Adam. Lui si riprese le scarpe e si mise a correre a perdifiato. C'erano segni di lacerazioni sulla sua maglietta: credo che uno di voi stesse per accoltellarlo ma lui riuscì a sfuggirgli… e ve lo perdeste. Adam conosceva quel bosco meglio di voi e si nascose fino a quando le squadre di ricerca non lo trovarono. Come vi faceva stare la cosa, Jonathan? Sapere di aver fatto quello che avevate fatto per niente perché c'era ancora un testimone libero?»
Jonathan fissava il vuoto, con la mascella serrata. Mi tremavano le mani. Le feci scivolare sotto il tavolo.
«Vede, Jonathan» riprese Cassie, «è per questo che penso che foste solo in due. Tre ragazzi grandi e grossi contro tre bambini, non ci sarebbe stata gara. Non avreste avuto bisogno di togliere loro le scarpe per non farli scappare, sarebbe bastato che teneste un bambino a testa e Adam non avrebbe mai fatto ritorno a casa. Ma se eravate solo in due, cercare di bloccarne tre…»
«Signor Devlin» dissi. La mia voce aveva uno strano suono, echeggiante. «Se lei è quello che non era presente, se lei è quello che era andato al cinema per fornire l'alibi, be', allora deve dircelo. C'è una grossa, grossissima differenza tra essere un assassino ed essere solo un complice.»
Jonathan mi guardò come anche Cesare doveva aver guardato Bruto. Tu quoque, Brute… «Siete fuori di testa, tutti e due» rispose. Respirava rumorosamente con il naso. «Voi… vaffanculo tutto quanto. Non li toccammo neanche quei ragazzini.»
«Lo so che non era lei il capobanda, signor Devlin» dissi. «Era Cathal Mills. Ce l'ha detto lui. Cito: "Jonner non avrebbe mai e poi mai avuto le palle anche solo per pensarci". Se lei fu solo complice, o anche solo un testimone, faccia un favore a se stesso e ce lo dica ora.»
«Sono solo un mucchio di stronzate. Cathal non ha confessato nessun omicidio, perché di omicidi non ne abbiamo commessi. Non ho la più pallida idea di cosa sia successo a quei ragazzini e non me ne frega niente. Non ho niente da dire su di loro. Voglio solo sapere chi ha fatto questo a Katy.»
«Katy» ripeté Cassie, sollevando le sopracciglia. «Okay, come vuole. Torneremo dopo su Peter e Jamie. Parliamo di Katy.» Spinse indietro la sedia con uno stridio, facendo sobbalzare Jonathan, e si avvicinò alla parete. «Queste sono le cartelle mediche di Katy. Quattro anni di patologie gastriche inspiegabili, che finiscono la scorsa primavera quando dice alla sua insegnante di danza che smetterà, e in un batter d'occhio, non sta più male. Il medico legale sostiene che era tutto a posto. Vuole sapere cosa ci dice questa faccenda? Ci dice che qualcuno stava avvelenando Katy. Non è difficile: un po' di candeggina per le pulizie qui, una dose di detersivo per sgrassare il forno là, anche l'acqua salata è sufficiente. Succede di continuo.»
Stavo osservando Jonathan. Il rossore dovuto alla rabbia gli era defluito dalle guance. Ora era bianco, bianco come un morto. La sensazione di disagio che avevo provato poco prima evaporò come foschia e d'un tratto fui di nuovo certissimo: lui sapeva.
«E non si trattava di un estraneo, Jonathan, non si trattava di un costruttore che ce l'aveva con lei. Era qualcuno che aveva accesso a Katy quotidianamente, qualcuno di cui lei si fidava. Ma questa primavera, quando Katy ha avuto la seconda chance alla Royal Ballet School, quella fiducia stava cominciando a ridursi. Si rifiutò di continuare a prendere quella roba. Forse minacciò di dirlo. E poi, solo qualche mese dopo…» Cassie diede una manata a una delle commoventi foto post mortem. «… Katy muore.»
«Stava coprendo sua moglie, signor Devlin?» chiesi con gentilezza. Riuscivo a respirare a stento. «Di solito, quando un bambino viene avvelenato, è la madre. Se cercava solo di tenere unita la sua famiglia, possiamo aiutarla. Possiamo fare in modo che la signora Devlin riceva l'aiuto di cui ha bisogno.»
«Margaret adora le nostre figlie» disse Jonathan. La voce era tesa come la corda di una chitarra. «Non lo farebbe mai.»
«Mai cosa?» volle sapere Cassie. «Non farebbe mai star male Katy, o non l'ammazzerebbe mai?»
«Nulla in assoluto. Mai e poi mai.»
«Quindi chi ci resta?» domandò Cassie. Era appoggiata al muro, indicava la foto post mortem e lo osservava imperturbabile come la protagonista di un dipinto. «Rosalind e Jessica hanno entrambe un alibi solidissimo per la notte in cui Katy è morta. Chi resta?»
«Non ci provi nemmeno a insinuare che io possa aver fatto del male a mia figlia» minacciò Jonathan. «Non ci provi nemmeno.»
«Abbiamo tre bambini assassinati, signor Devlin, tutti e tre uccisi nello stesso luogo, tutti e tre uccisi molto probabilmente per coprire altri crimini. E abbiamo una persona che è sempre nel bel mezzo di entrambi i casi: lei. Se ha una buona spiegazione per la cosa, è meglio che la tiri fuori ora.»
«Questa è una stronzata, una cazzata incredibile, non ci posso credere» disse Jonathan. Stava alzando pericolosamente la voce. «Katy è… qualcuno ha ammazzato mia figlia e voi volete una spiegazione da me? È il vostro lavoro questo, cazzo. Siete voi quelli che dovrebbero dare a me delle spiegazioni, non accusarmi di…»
Mi ritrovai in piedi ancora prima di rendermene conto. Gettai il blocco per gli appunti, che produsse un rumore secco, mi puntellai sulle mani e mi sporsi sul tavolo, fermandomi a pochi centimetri dalla sua faccia. «Uno del posto, Jonathan, trentacinque anni o più, che vive a Knocknaree da oltre vent'anni. Uno che non ha un alibi solido. Uno che conosceva Peter e Jamie, che aveva accesso quotidiano a Katy e con un forte movente per ucciderli tutti. Di chi cazzo stiamo parlando, secondo lei? Mi dica il nome di un'altra persona che corrisponda a questa descrizione e giuro su Dio che potrà uscire da quella porta e non le romperemo più le scatole. Avanti, Jonathan. Ce ne dica uno. Uno solo.»
«Allora arrestatemi!» ruggì Jonathan. Allungò le mani strette a pugno, polso contro polso. «Avanti, se siete così sicuri, cazzo, con tutte le vostre prove… arrestatemi! Avanti!»
Non so dirvi, e mi chiedo se riuscite a immaginarlo anche voi, con quanta parte di me avrei voluto farlo. Mi passò tutta la vita davanti agli occhi, come si dice che succeda a chi sta annegando: notti di lacrime in gelidi dormitori, zig-zag in bicicletta al grido di: "Guarda mamma, senza mani", sandwich con burro e zucchero, caldi per essere rimasti in tasca, voci di detective continuamente nelle orecchie. Ma sapevo che non avevamo abbastanza prove, che il castello sarebbe crollato e che in dodici ore lui sarebbe uscito da quella porta libero come un uccellino e colpevole come il peccato. Non ero mai stato altrettanto sicuro di qualcosa in vita mia. «Vaffanculo» dissi, tirandomi su le maniche della camicia. «No, Devlin. No. Te ne sei stato qui a prenderci per il culo tutta la sera e ne ho le scatole piene.»
«Arrestatemi, oppure…»
Mi buttai su di lui col braccio alzato pronto a colpirlo. Fece un salto all'indietro in posizione di difesa, mandando la sedia a rotolare con un gran fracasso. Ma Cassie era già su di me e mi stava tenendo il braccio con entrambe le mani. «Cristo, Ryan! Fermati!»