Non c'è niente come l'alcol per scatenare i più acuti rimorsi: sapevo di avere incasinato le cose fino in fondo, in ogni modo possibile e immaginabile. Ma non aveva molta importanza, perché la soluzione ora era improvvisamente chiara in maniera sconcertante. Sentivo che quanto era accaduto, dall'incubo Kavanagh all'orribile interrogatorio di Jonathan, alle notti insonni e ai piccoli tradimenti della mente, tutto era stato mandato da un dio gentile e saggio per condurmi fino a quel momento. Avevo evitato il bosco di Knocknaree come la peste, penso che avrei interrogato tutta l'Irlanda e mi sarei scervellato fino a farmi esplodere la testa prima di metterci piede, ma ero stato bastonato fino a non avere più difese contro l'unica cosa che era di un'ovvietà accecante: ero la sola persona che, al di là di ogni dubbio, era depositaria di almeno alcune delle risposte, e se c'era qualcosa che avrebbe potuto farle riemergere quel qualcosa era il bosco… "Ricominciare dall'inizio."
Lo so che suona semplicistico, ma non so neppure come iniziare a descrivervi cosa significò, per me, quella lampadina da mille watt che mi si accendeva nella testa, quel faro che mi diceva che dopotutto non mi ero perso in un territorio sconosciuto: sapevo esattamente dove andare. Quasi scoppiai a ridere, seduto sul letto con la luce del primo mattino che filtrava tra le tende. Sarei dovuto essere in preda alla madre di tutti i doposbornia, invece mi sentivo come se avessi dormito per una settimana. Scoppiavo di energie come un ventenne. Mi feci la doccia, mi rasai e rivolsi un allegro "buongiorno" a Heather, tanto che, colta alla sprovvista, parve anche un po' sospettosa. Poi andai in città in auto, intonando l'ultima, orribile hit del momento che mandava la radio.
Trovai parcheggio a Stephen's Green e pensai che fosse un buon segno. È quasi impossibile, a quell'ora del mattino, e lungo la strada per l'ufficio acquistai alcune cose. In una piccola libreria nei pressi di Grafton Street trovai una bellissima copia di Cime tempestose, pagine spesse con i margini marrone, rilegata con un lussuoso tessuto rosso stampato in oro "da Ellis Bell", come recitava il frontespizio. Poi andai da Brown Thomas e comprai una maneggevole anche se complicata macchinetta per fare il cappuccino. Cassie andava matta per il caffè con la schiuma. Avevo pensato di regalargliela a Natale ma, non so bene per quale motivo, non l'avevo fatto. Andai a piedi in ufficio senza preoccuparmi di spostare l'auto. Mi sarebbe costata un occhio della testa di tassametro, ma era una di quelle allegre giornate di sole che ti spingono alla stravaganza.
Cassie era già alla sua scrivania con una pila di documenti davanti. Sam e gli altri agenti, per mia fortuna, non si vedevano in giro. «Buongiorno» disse, con una fredda occhiata di avvertimento.
«Ecco qua» esordii e le depositai le due buste davanti al naso.
«Cos'è?» chiese, sospettosa.
«Quello» risposi, e indicai l'aggeggio per il caffè, «è il tuo regale di Natale in ritardo. E questa è un'offerta di scuse. Sono veramente dispiaciuto, Cass, e non solo per ieri, ma per come sono stato in queste ultime settimane. Mi sono comportato da vero stronzo e hai tutto il diritto di essere furiosa con me. Ma ti prometto solennemente che non sarà più così. D'ora in poi sarò un essere umano normale.»
«Sarebbe una novità» commentò Cassie, e il peso che avevo sul cuore sparì. Aprì il libro – adora Emily Brontë – e fece scorrere le dita sul frontespizio.
«Sono perdonato? Mi metto in ginocchio se vuoi, dico sul serio.»
«Mi piacerebbe proprio» rispose Cassie, «ma qualcuno potrebbe vederti e le chiacchiere di corridoio farebbero nascere un casino infernale. Ryan, sei un cretino. Hai rovinato il mio broncio perfetto.»
«Non ce l'avresti fatta a mantenerlo comunque» la presi in giro, ma ero incredibilmente sollevato. «Per l'ora di pranzo ti sarebbe passata.»
«Non esagerare. Vieni qui, avanti.» Allungò un braccio, io mi piegai e l'abbracciai rapidamente. «Grazie.»
«Prego, non c'è di che» dissi. «E, sul serio, niente più atteggiamenti odiosi.»
Cassie mi osservò mentre mi toglievo la giacca. «Senti» riprese, «non è che sei stato solo un rompicazzo tremendo. Mi hai fatto preoccupare. Se non vuoi più avere a che fare con… no, ascolta… potresti far cambio con Sam, seguire la pista Andrews e lasciare che si occupi lui della famiglia. Dal punto in cui è arrivato chiunque potrebbe continuare la sua indagine. Non abbiamo bisogno di suo zio o cose del genere. Sam non farà domande, lo conosci. Non c'è ragione che tu ci perda la testa su questa faccenda.»
«Cass, sto bene, in pace con me stesso e con Dio» risposi. «Ieri è stata una specie di sveglia per me. Giuro su tutto ciò che ti viene in mente che ho capito come affrontare questo caso.»
«Rob, ricordi che mi avevi detto di prenderti a calci se avessi cominciato a fare lo strambo? Be', lo sto facendo. Metaforicamente, per il momento.»
«Senti, dammi altri sette giorni. Se per la fine della prossima settimana penserai ancora che non riesco a gestire la cosa, farò cambio con Sam. Okay?»
«Okay» concesse, anche se non sembrava ancora convinta. Ero talmente d buonumore che quell'inatteso slancio protettivo, che di norma mi avrebbe fatto saltare la mosca al naso, mi parve commovente. Forse perché sapevo che non era più necessario. Le strinsi una spalla con un gesto goffo e mi diressi alla mia scrivania.
«A dire il vero» continuò Cassie mentre mi sedevo, «tutta questa faccenda di Sandra Scully dimostra che il proverbio "non tutto il male vien per nuocere" ha un suo fondamento di verità. Non vedevamo l'ora di mettere le mani sulle cartelle mediche di Rosalind e di Jessica, no? Be', abbiamo Katy che mostra segni di abuso fisico, Jessica presenta sintomi psicologici e ora Jonathan ammette lo stupro. Credo che abbiamo materiale circostanziale a sufficienza per ottenerle.»
«Maddox» le dissi, «sei un genio.» Quello era l'aspetto che mi aveva impensierito di più: che avessi fatto la figura dell'idiota lanciando la squadra in una specie di inutile caccia alle oche. A quanto pareva, non era stata poi così inutile. «Ma credevo tu pensassi che Devlin non fosse il nostro uomo.»
Cassie scrollò le spalle. «Non esattamente. Nasconde qualcosa, magari solo l'abuso… sì, insomma, non per minimizzare, ma hai capito cosa intendo. Oppure vuole coprire Margaret, o… non sono sicura quanto te che sia colpevole, ma mi piacerebbe vedere cosa c'è in quelle cartelle, tutto qui.»
«Anch'io non ne sono certo.»
Inarcò un sopracciglio. «Ne sembravi piuttosto sicuro, ieri.»
«A proposito» dissi, cambiando argomento, un po' a disagio, «sai se mi ha denunciato? Non ho le palle per controllare.»
«Visto che ti sei scusato così carinamente, ignorerò il tuo meraviglioso tentativo di incastrarlo. A me non ha detto nulla e comunque lo sapresti se l'avesse fatto: sentirebbero strillare O'Kelly fino a Knocknaree. Per lo stesso motivo, immagino che neppure Cathal Mills abbia denunciato me per avergli detto che ha un pisellino piccolo piccolo.»
«Non lo farà. Te lo vedi seduto alla scrivania di un qualche sergente a spiegare che hai insinuato che ha il cazzetto moscio? Ma con Devlin la faccenda è diversa. È già abbastanza fuori di testa di suo…»
«Non sparlare di Jonathan Devlin» intervenne Sam, irrompendo nella sala operativa. Era tutto rosso in viso e sovreccitato, con il colletto storto e una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi. «Giuro che, se non pensassi che potrebbe prenderla male, lo bacerei.»