Mi versai una tazza di caffè al whisky. Il sapore forte e adulto fu stranamente rassicurante. Gli squarci di cielo andavano scurendosi sopra di me, passando dal turchese a un indaco brillante. Gli uccelli si posavano sui rami e, dopo stridii e battibecchi furiosi, si sistemavano per la notte. I pipistrelli attraversavano il sito emettendo i loro suoni striduli e tra i cespugli si udiva ora un rapido balzo, ora uno tramestio, poi silenzio… In lontananza, nel quartiere, un bambino cantilenava a voce alta Ally Ally in free…
Senza che la cosa mi sorprendesse più di tanto, come se lo avessi sempre saputo, arrivai gradatamente a pensare che se fossi riuscito a ricordare qualcosa di utile l'avrei riferito a O'Kelly. Non subito, magari avrei aspettato un paio di settimane per riannodare qualche capo slegato e sistemare faccende mie, per così dire. Perché quando ne avessi parlato con O'Kelly, avrei potuto dire addio alla mia carriera.
Solo qualche ora prima, quel pensiero sarebbe stato come una mazzata. In qualche modo, quella sera, sembrava quasi un'ipotesi seducente, scintillava nell'aria, allettante lì di fronte a me, e me la rigirai con una sorta di sontuoso stordimento. Essere un detective della Omicidi, l'unica cosa per cui mi fossi mai impegnato seriamente, la cosa intorno alla quale mi ero costruito il guardaroba, l'andatura, un linguaggio, insomma la mia intera vita: l'idea di gettare via tutto in un colpo solo… era inebriante osservarla librarsi nel cielo come un palloncino. Avrei potuto cominciare a lavorare come investigatore privato, pensai, affittare un ufficetto in un malandato edificio georgiano, far stampare il mio nome a lettere dorate sul vetro smerigliato della porta, andare al lavoro quando ne avevo voglia e dribblare con perizia la legge, oltre a rompere le scatole a un furibondo O'Kelly per ottenere informazioni riservate. Mi chiesi, come in sogno, se Cassie mi avrebbe seguito. Mi sarei comprato un cappello floscio, un impermeabile e avrei condito il tutto con un arguto senso dell'umorismo. Me la immaginai seduta come una sciantosa al bar degli hotel, con un provocante abito rosso addosso e una macchina fotografica nel rossetto per incastrare gli uomini d'affari che tradivano le mogli… Quasi mi sfuggì una risata.
Mi accorsi che stavo per addormentarmi, e non lo avevo previsto. Lottai per restare sveglio. Ma tutte le notti insonni mi si stavano scaricando addosso in una volta sola, come sparate dritte in vena. Pensai al thermos del caffè e mi parve che prenderlo richiedesse uno sforzo immane. Il sacco a pelo si era riscaldato col calore del mio corpo e mi ero sistemato bene tra gli avvallamenti del terreno e dell'albero. Mi sentivo meravigliosamente comodo, quasi narcotizzato. Sentii la tazza del thermos scivolarmi dalle dita, ma non riuscii ad aprire gli occhi.
Non so quanto dormii. Ma mi ritrovai dritto a sedere e con un grido pronto a erompere prima ancora di essere completamente sveglio. Qualcuno aveva detto, in modo chiaro e distinto, e proprio nel mio orecchio: «Cos'è stato?».
Rimasi lì seduto a lungo, a sentire il sangue che mi saliva al collo. Le luci dell'abitato erano tutte spente. Il bosco era silenzioso, si udiva solo il sospiro del vento tra i rami sopra la mia testa. Da qualche parte giunse il rumore di un rametto spezzato.
Peter che, sul muro del castello, si girava e allungava la mano aperta verso me e Jamie per bloccarci: «Cos'è stato?».
Eravamo stati fuori tutto il giorno, da quando la rugiada aveva cominciato ad asciugarsi sull'erba. Faceva molto caldo, i respiri erano tiepidi come l'acqua del bagno e il cielo era del colore della fiamma di una candela. Avevamo dei brick di limonata nell'erba sotto un albero, per quando ci fosse venuta sete, ma si erano scaldati e appiattiti e le formiche stavano banchettando. Qualcuno stava usando un tagliaerba lungo la strada, qualcun altro aveva la finestra della cucina aperta, la radio a volume alto e stava cantando Wake Me Up Before You Go-Go. Due bambine facevano a turno con un triciclo rosa sul marciapiede e la sorellina smorfiosetta di Peter, Tara, giocava alla maestra nel giardino della sua amica Audrey. Le due ciarlavano con un gruppetto di bambole messe in fila. I Carmichael avevano comprato un irrigatore a spruzzo. Non ne avevamo mai visto uno e tutte le volte che lo usavano ci fermavamo a guardarlo, ma la signora Carmichael era una stronza, Peter diceva che se mettevi piede nel suo giardino ti spaccava la testa con un attizzatoio.
Non avevamo fatto altro che andare in bici. A Peter avevano regalato una Evil Knievel per il suo compleanno – se la facevi impennare, riuscivi a saltare pile intere di vecchi annuari Warlord - così ci stavamo esercitando. Costruimmo una rampa in strada con mattoni e un pezzo di compensato che il padre di Peter aveva nel capanno in giardino – «La faremo sempre più alta» diceva Peter. «Aggiungeremo un mattone al giorno.» – ma traballava da matti e non riuscivo mai a non attaccarmi ai freni prima di prendere il volo.
Jamie provò la rampa un paio di volte, poi rimase lì a bighellonare al bordo della strada, a staccare un adesivo dal manubrio e a scalciare un pedale per farlo girare velocemente. Quella mattina era uscita tardi ed era stata zitta tutto il giorno. Non era mai stata una chiacchierona, ma quel giorno era diverso: il suo silenzio era come una densa nuvola che la circondava, e rendeva irrequieti me e Peter.
Peter volò dalla rampa urlando e atterrò zigzagando furiosamente, mancando di pochissimo le bambine sul triciclo. «Siete degli scemi, ci ammazzerete una di queste volte» esclamò stizzita Tara, senza staccarsi dalle bambole. Indossava una lunga gonna a fiori che scendeva fin sull'erba e un grande cappello dalla forma strana con un nastro attorno.
«Non sei il mio capo» le gridò per tutta risposta Peter. Sterzò sul prato di Audrey e sgusciò davanti a Tara, strappandole il cappello dalla testa. Come se avessero fatto le prove, Tara e Audrey si misero a strillare all'unisono.
«Adam! Prendi!» Lo seguii nel giardino, pur sapendo che saremmo finiti nei guai se la mamma di Audrey fosse uscita. Riuscii ad afferrare il cappello senza cadere dalla bici, me lo misi in testa e feci un giro intorno alla classe delle bambole senza tenere il manubrio. Audrey cercò di buttarmi giù ma la schivai. Era simpatica e non sembrava veramente arrabbiata, così cercai di non passare sopra le sue bambole. Tara si posizionò con le mani sui fianchi e cominciò a urlare a Peter. «Jamie!» gridai. «Vieni!»
Jamie, che era rimasta in strada sbattendo ritmicamente la ruota anteriore contro il bordo della rampa, lasciò cadere la bici, prese la rincorsa e saltò oltre il muro.
Peter e io ci dimenticammo di Tara, che intanto ci urlava dietro: «Sei proprio un disgraziato, Peter Savage, te lo dico io, aspetta solo che la mamma senta come ti comporti…». Frenammo e ci guardammo. Audrey mi strappò il cappello dalla testa e corse via, controllando che non la inseguissi. Lasciammo le bici in strada e scavalcammo il muro dietro a Jamie.
Era al dondolo fatto con il pneumatico e ogni tanto si slanciava dando un calcio al muro. Teneva la testa bassa e riuscivo a vedere solo un paravento di capelli chiari e dritti e la punta del suo naso. Ci sedemmo sul muro e aspettammo.
«Mami mi ha misurata stamattina» disse alla fine, torturandosi una crosticina su una nocca.
Perplesso, pensai allo stipite della porta della cucina: legno bianco lucido, con segni di matita e date a indicare la mia crescita. «Allora?» chiese Peter. «Scemotta.»
«Per le uniformi!» gli gridò contro Jamie. «Sei duro, eh?» Scese dal pneumatico, atterrò pesantemente e si mise a correre nel bosco.