Mi strattonò per il polso. La sua mano era forte, pressante. Sentivo il mio battito pulsare nella presa. «Ci sto.»
«Sì!» gridò Peter, vibrando un pugno nell'aria. L'urlo echeggiò tra gli alberi, alto, selvaggio e trionfante.
«Quando?» chiese Jamie. Le brillavano gli occhi per il sollievo, aveva la bocca aperta e sorrideva, era in punta di piedi, pronta a prendere il volo non appena Peter avesse dato il via. «Ora?»
«Frena, frena» le disse Peter con un largo sorriso stampato in faccia. «Dobbiamo prepararci. Andiamo a casa e recuperiamo tutti i soldi che abbiamo. Abbiamo bisogno di provviste, ma dobbiamo comprarle a poco a poco, così nessuno si insospettisce.»
«Wurstel e patate» proposi. «Possiamo accendere un fuoco con i rametti…»
«No, niente fuoco, lo vedrebbero. Non prendete roba da cuocere. Cibi in scatola, fagioli in salsa di pomodoro e quei cerchietti di pasta precotti ad esempio. Devi dire che sono per tua madre.»
«Qualcuno deve procurarsi un apriscatole…»
«Ci penso io, mia madre ne ha uno in più, non se ne accorgerà.»
«Sacchi a pelo e torce…»
«Sì, bravo, ma aspetteremo l'ultimo minuto per quelle cose, non vogliamo che si accorgano che non ci sono più…»
«Possiamo lavare i vestiti nel fiume…»
«… e infilare i rifiuti in un tronco cavo, così nessuno potrà trovarli…»
«Quanti soldi avete ragazzi?»
«Quelli che mi hanno regalato per la comunione sono tutti sul conto postale, non li posso prendere.»
«Allora, roba che costa poco. Ci procureremo… latte e pane…»
«Bleah, il latte va a male!»
«Ma no, lo mettiamo al fresco nel fiume, in un sacchetto di plastica…»
«Jamie beve il latte raggrumato!» gridò Peter. Fece un salto verso il muro e cominciò ad arrampicarsi verso la cima.
Jamie saltò dietro di lui. «No che non lo bevo, tu lo bevi!» Gli afferrò una caviglia e cominciarono ad azzuffarsi, là in cima, ridendo a crepapelle. Li raggiunsi e Peter mi trascinò nella baruffa. Lottammo, vocianti e ridanciani, senza fiato, pericolosamente in equilibrio. «Adam mangia gli scarafaggi!» «Vaffanculo, è successo quando eravamo piccoli…»
«Zitti!» Peter si districò da noi e si accovacciò, immobile, facendoci segno di tacere. «Cos'è stato?»
Fermi e in allerta come lepri spaventate, ci mettemmo in ascolto. Il bosco era fermo, fin troppo, come in attesa. La normale animazione pomeridiana di uccelli e insetti e animaletti invisibili si era interrotta come per ordine della bacchetta di un direttore d'orchestra. Solo da qualche parte, davanti a noi…
«Che ca…» bisbigliai.
«Shhh…» Musica, o una voce, o semplicemente uno scherzo del fiume sulle rocce, il vento nel tronco cavo di un albero… Il bosco aveva un milione di voci che cambiavano a ogni stagione e tutti i giorni. Era impossibile conoscerle tutte.
«Andiamocene» disse Jamie, con gli occhi scintillanti. «Andiamocene» e si lanciò giù dal muro come uno scoiattolo volante. Si tenne a un ramo, penzolò, si lasciò cadere rotolando e si mise a correre. Peter aveva già saltato dopo di lei, prima ancora che il ramo avesse smesso di oscillare. Scesi faticosamente anch'io e mi misi al loro inseguimento «Aspettatemi, aspettatemi…»
Il bosco non era mai stato così lussureggiante e selvaggio. Le foglie lanciavano bagliori di luce solare come fossero girandole e i colori erano così brillanti che ci potevi vivere, l'odore della terra, così ricca e fertile, era amplificato e inebriante come il vino della messa. Schizzammo tra nuvole di moscerini, saltammo fossi e ceppi d'alberi in putrefazione, i rami turbinavano attorno a noi come acqua, le rondini compivano acrobazie lungo il nostro percorso e tra gli alberi, a lato, giuro, c'erano tre cervi che stavano al nostro passo. Mi sentivo leggero, fortunato e libero, non avevo mai corso così velocemente o saltato senza sforzo così in alto. Un colpo di reni e avrei potuto prendere il volo.
Per quanto corremmo? I nostri punti di riferimento preferiti dovevano essersi spostati per consentirci quella corsa veloce perché li superammo tutti; saltammo la lastra di pietra e ci librammo nella radura con un solo balzo, tra le sferzate dei rovi di mora e i conigli che sollevavano il muso per vederci passare. Smuovemmo il pneumatico dell'altalena nella nostra scia e ci fermammo alla quercia cava. E davanti a noi, così dolce e selvaggio da far male, così pieno di lusinga…
Gradatamente mi accorsi che nel sacco a pelo ero zuppo di sudore, che la schiena contro il tronco dell'albero era così rigida che tremavo, che annuivo con colpi secchi e convulsi della testa, come un giocattolo. Il bosco era nero e vuoto come sarebbe stato agli occhi di un cieco. In lontananza, si udiva un rapido picchiettio come di gocce di pioggia sulle foglie, minuscole e in espansione. Lottai per ignorarlo, per continuare a seguire quel fragile filo d'oro della memoria, per non abbandonarlo in quell'oscurità, o non avrei più ritrovato la via di casa.
La risata che scivolava alle spalle di Jamie come in uno sfarfallio di lucenti bolle di sapone, api che ronzavano in un raggio di sole, le braccia di Peter che si aprivano nel salto di un ramo caduto, un grido entusiasta. I nodi dei lacci delle scarpe che mi si allentavano, scampanii di allarme che salivano insistenti da qualche parte dentro di me, le case si dissolvevano come bruma dietro di noi… Siete sicuri? Siete sicuri? Peter, Jamie, aspettate… fermatevi…
Il picchiettio si andava estendendo a tutto il bosco, si alzava e si abbassava, si avvicinava da ogni lato. Era nei rami alti sopra la mia testa, nella boscaglia dietro di me, piccolo, rapido e preciso. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca. "Pioggia" mi dissi con quello che era rimasto della mia mente, "è solo pioggia", ma non riuscivo a sentirne nemmeno una goccia. Lontano, dall'altra parte del bosco, si levò un urlo, un suono acuto, insensato.
Avanti Adam, sbrigati, sbrigati…
L'oscurità davanti a me si stava muovendo, si addensava. C'era un rumore, come di vento che facesse stormire le foglie, un forte vento che investiva il bosco per cercarsi un sentiero. Pensai alla torcia, ma le dita, già attorno all'impugnatura, erano raggelate. Sentivo che quel filo d'oro si tendeva, tirava. Qualcosa dall'altra parte della radura respirò, qualcosa di grosso.
Giù al fiume. Fermata in scivolata, i rami dei salici che ondeggiavano e l'acqua che sparava schegge di luce come milioni di piccoli specchi, accecanti, stordenti. Occhi dorati dalle ciglia lunghe come quelli dei gufi.
Corsi. Mi liberai a fatica dall'impaccio del sacco a pelo e mi lanciai nel bosco, lontano dalla radura. Rovi mi attanagliavano le gambe, ghermivano i miei capelli, battiti d'ala mi esplodevano nelle orecchie. Urtai violentemente con la spalla contro il tronco di un albero e rimasi senza fiato. Buche e avvallamenti invisibili mi si aprivano improvvisi sotto i piedi così che non riuscivo a correre abbastanza velocemente. Le gambe sparivano fino alle ginocchia nel sottobosco. Era come se stesse realizzandosi il più tipico degli incubi dell'infanzia. Dell'edera rampicante mi finì sulla faccia e urlai, credo. Non sarei mai uscito da quel bosco, questo lo sapevo, avrebbero ritrovato il sacco a pelo e… per un istante visualizzai, come nella realtà, Cassie con la felpa rossa che si inginocchiava nella radura tra le foglie che cadevano dagli alberi e toccava il tessuto con una mano guantata… e poi più nulla, per sempre.
Poi vidi uno spicchio di luna nuova tra le nuvole in movimento e seppi di essere fuori, di essere allo scavo. Il terreno era insidioso, si scivolava e cedeva sotto il peso. Inciampai, agitai le braccia scompostamente per mantenere l'equilibrio e mi scorticai lo stinco contro una sporgenza del vecchio muro, ma rimasi in piedi e continuai a correre. Sentivo nelle orecchie un respiro affannoso ma non avrei saputo dire se era il mio. Come tutti i detective, avevo dato per scontato che fossi io il cacciatore. Non mi aveva neppure lontanamente sfiorato l'idea che potessi essere invece la preda.