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«Hai avuto tutto quello che ti ho promesso, questo è solo un ritardo da niente. E andrà tutto come deve andare. Non cambia nulla. Hai capito bene quello che ti sto dicendo?»

«Andrà tutto come deve andare un cazzo, doppiogiochista di merda. Ti sei fregato i miei soldi e te la sei svignata. Adesso mi ritrovo con un mucchio di terreni che non valgono un cazzo e la polizia alle calcagna. E poi come fanno a… come cazzo fanno a sapere che sono miei quei terreni, eh? E io che mi ero fidato.»

Ci fu una breve pausa. Sam respirò nervosamente, poi trattenne di nuovo il respiro. La voce profonda chiese, improvvisamente: «Da quale telefono mi chiami?»

«Non sono cazzi tuoi» rispose Andrews, stizzito.

«Cosa ti ha chiesto la polizia?»

«Mi hanno chiesto… di quella ragazzina.» Andrews soffocò un rutto. «Quella ragazzina che è stata ammazzata. Suo padre è uno di quelli che mi hanno citato… quel gran figlio di puttana pensa che io c'entri qualcosa.»

«Adesso tu chiudi questo telefono» disse la voce profonda in tono gelido. «Parla con la polizia solo in presenza di un avvocato e non ti preoccupare per le citazioni. E guai a te se mi telefoni di nuovo.» Ci fu un clic e la conversazione finì.

«Be'» dissi dopo un momento. «Questa roba non era né pizza, né sushi e nemmeno cuori infranti.»

Sam non disse nulla. Le ultime due registrazioni si riferivano a chiamate verso lo stesso cellulare sconosciuto che adesso era spento, senza segreteria telefonica. "Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile" fu la risposta di una scialba voce femminile alla prima. "La preghiamo di riprovare più tardi." Alla seconda, si sentì il ruggito strozzato di rabbia di Andrews che sbatteva giù il telefono.

«Be'» dissi, «congratulazioni.» Non era una prova accettabile in tribunale, ma era sufficiente per mettere Andrews sotto pressione. Cercavo di essere generoso, ma il Rob autocommiserativo che era in me era già lì pronto a dire che era sempre la solita storia: mentre la mia parte di indagine naufragava in una serie senza precedenti di false piste e disastri vari, Sam continuava felicemente la serie positiva, un successo dopo l'altro. Se fossi stato io a seguire la pista Andrews, di sicuro quest'ultimo non si sarebbe messo a telefonare a nessuno, tranne che all'anziana madre. «A questo punto O'Kelly smetterà di romperti le palle.»

Sam non aveva ancora aperto bocca. Mi voltai verso di lui. Era così pallido da essere quasi verdastro.

«Cosa c'è?» gli chiesi, allarmato. «Va tutto bene?»

«Mai stato meglio» rispose. «Altroché.» Si chinò e spense il registratore. La mano gli tremava leggermente e vidi una patina lucida e malsana sul suo volto.

«Oh, Cristo» dissi. «No, non stai bene per niente.» L'improvvisa eccitazione per quella vittoria poteva avergli fatto venire un attacco di cuore, un ictus o chissà cosa. Magari aveva una qualche malformazione congenita mai diagnosticata. Nella mitologia delle squadre di polizia circolavano storie del genere, di detective che stavano alle calcagna di un sospetto, superavano difficoltà epiche e poi ci restavano secchi proprio quando scattavano le manette. «Hai bisogno di un dottore?»

«No» disse bruscamente. «No.»

«E allora che diavolo c'è?»

Un istante dopo, capii. Mi stupii, in effetti, di non esserci arrivato prima. Il timbro della voce, l'accento, l'inflessione: li avevo già sentiti, li sentivo ogni giorno, ogni sera. Un po' smussati, senza quel lato abrasivo, ma la somiglianza c'era ed era inequivocabile.

«Ma quello era…» cominciai. «Non era per caso tuo zio?»

Gli occhi di Sam saettarono dai miei alla porta, ma non c'era nessuno. «Sì» rispose, dopo un attimo. «Era lui.» Respirava in fretta, con affanno.

«Ne sei proprio sicuro?»

«Conosco la sua voce. Ne sono certo.»

Per quanto sia spiacevole dirlo, il mio primo istinto fu quello di mettermi a ridere. Era sempre stato così onesto («Quello che ho nel cuore ho sulle labbra, ragazzi»), solenne come un marine al discorso sulla bandiera in uno di quegli orrendi film di guerra americani. All'inizio mi aveva fatto tenerezza – quella fiducia assoluta è una cosa che si può perdere una volta sola, come la verginità, e non avevo mai conosciuto nessuno che fosse riuscito a tenersela oltre i trent'anni – ma adesso avevo l'impressione che Sam fosse andato avanti felice e contento nella vita per pura e semplice fortuna. Mi era difficile raggranellare il necessario senso di umana comprensione per averlo visto scivolare su una buccia di banana e finire gambe all'aria.

«E adesso che cosa farai?» chiesi.

Mosse la testa da una parte all'altra, con gli occhi chiusi, sotto le luci al neon. Doveva averci già pensato: eravamo gli unici due nella stanza, un favore e un dito premuto sul tasto "record" e sarebbero rimaste soltanto le altre telefonate, compresa quella sulla partita di golf di domenica.

«Mi lasci il weekend?» disse lui. «Lunedì porto questa roba da O'Kelly. Adesso… non me la sento. Non riesco a essere lucido. Ho bisogno di un po' di tempo.»

«Certo» risposi. «Parlerai con tuo zio?»

Sam mi guardò. «Farebbe sparire tutte le prove, non credi? Prima che inizi l'indagine.»

«Sì, mi sa di sì.»

«Ma se non gli dico niente e scopre che avrei potuto avvertirlo e non l'ho fatto…»

«Mi dispiace» dissi. Mi chiesi, fugacemente, dove diavolo fosse finita Cassie.

«Sai qual è la cosa pazzesca?» disse Sam, dopo un po'. «Che se tu mi avessi chiesto stamattina da chi sarei andato a chiedere consiglio se mi fosse capitata una storia come questa, avrei risposto Red.»

Non riuscii a pensare a nulla da replicare. Guardai il suo volto dai lineamenti marcati e gradevoli e improvvisamente mi sentii stranamente distante da lui, da tutta la scena. Fu una sensazione come di vertigine, come se, dall'alto, guardassi le cose svolgersi in una scatola, giù, cento metri più in basso. Rimanemmo seduti lì per parecchio tempo, fino a quando non entrò O'Gorman e si mise a berciare qualcosa che aveva a che fare con una partita di hurling. Sam si mise il nastro registrato in tasca, prese le sue cose e se ne andò.

Quel pomeriggio, quando andai fuori a fumarmi una sigaretta, Cassie mi seguì.

«Hai da accendere?» mi chiese.

Era dimagrita, gli zigomi erano più evidenti, e mi chiesi se era un processo già in corso, dovuto allo stress dell'Operazione Vestale, o se, e il pensiero mi procurò uno spiacevole brivido di malessere, era la conseguenza di quegli ultimi giorni. Pescai l'accendino e glielo porsi.

Era un pomeriggio freddo e nuvoloso, le foglie cadute si accumulavano contro i muri. Cassie si mise di schiena al vento per accendersi la sigaretta. Era truccata. Mascara e un'ombra di rosa sulle guance, ma il viso, chino sopra le mani a coppa, era ancora troppo pallido, quasi grigio. «Che succede, Rob?» chiese, sollevando la testa.

Sentii lo stomaco stringersi. Tutti abbiamo dovuto affrontare una qualche terribile conversazione almeno una volta nella vita, ma non conosco nessuno che pensi sia davvero utile a qualcosa, non conosco nemmeno un caso in cui sia servita, e avevo sperato contro ogni evidenza che Cassie si sarebbe rivelata una di quelle rare donne che riescono a evitarla. «Niente, non succede proprio niente» risposi.

«Perché sei strano con me?»

Mi strinsi nelle spalle. «Sono uno straccio, il caso è un disastro e queste ultime settimane mi hanno distrutto. Niente di personale.»

«Andiamo, Rob, non è vero. C'è anche qualcosa di personale. Ti comporti con me come se avessi la lebbra da quando…» Sentii tutto il corpo irrigidirsi. La voce di Cassie si spense.

«No, non è vero» protestai. «Ho solo bisogno di spazio, okay?»

«No, non so nemmeno che cosa intendi dire. So solo che con me sei strano e io non posso farci niente se non ne capisco il motivo.»