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«Ah, sì. So chi è… più o meno. Basta che tu gli dica di non dare retta alle fantasie di una bambina.»

«Non è una bambina. Ha quindici anni.»

«Per lui è una bambina, te lo assicuro. Ho detto che un po’ lo conosco, il giovanotto. Ho l’impressione che abbia molta fretta di diventare adulto, e ricordo che quando avevo la sua età le ragazzine di quindici anni non erano degne della minima attenzione, soprattutto quelle…»

«Capisco» fece Eugenia sarcastica. «Soprattutto quelle basse, grassocce e bruttine. Il fatto che sia intelligentissima non ha nessuna importanza?»

«Per te e per me, certo. Per Aurinel, sicuramente no. Se sarà necessario, parlerò io al ragazzo. Tu parla a Marlene. Dille che è un’idea assurda, che non è vero, e che non deve diffondere delle favole inquietanti.»

«Ma se fosse vero

«Questo non c’entra. Senti, Eugenia, tu ed io abbiamo tenuto nascosta questa eventualità per anni, ed è meglio che continuiamo a tenerla nascosta. Se dovesse diffondersi una voce del genere, verrebbe gonfiata, provocherebbe delle reazioni emotive… del sentimentalismo inutile. Ci distrarrebbe soltanto dal compito a cui ci siamo dedicati da quando abbiamo lasciato il Sistema Solare, e a cui continueremo a dedicarci per generazioni, forse.»

Lei lo guardò. Scioccata. Incredula.

«Non provi proprio nulla per il Sistema Solare, per la Terra, il mondo su cui ha avuto origine il genere umano?»

«Sì, Eugenia, provo sentimenti di tutti i tipi. Ma sono viscerali, e non posso lasciarmi condizionare. Abbiamo abbandonato il Sistema Solare perché pensavamo che per l’umanità fosse giunto il momento di espandersi verso l’esterno. Il nostro esempio sarà seguito da altri, sicuramente; forse sono già in viaggio. Grazie a noi, l’umanità è diventata un fenomeno galattico, e dobbiamo smetterla di pensare in termini ristretti, limitando i nostri orizzonti a un unico sistema planetario. Il nostro compito è qui.»

Si fissarono, poi Eugenia disse: «Mi convincerai di nuovo. Mi hai convinta per tanti anni, ormai…».

«Già, ma il prossimo anno dovrò farlo ancora, e l’anno dopo, idem. Non vuoi convincerti, Eugenia, e mi stanchi. La prima volta doveva bastare.» E Janus Pitt distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi sul computer.

2 Nemesis

IV

La prima volta che l’aveva convinta era stata sedici anni prima, nel 2220, l’anno eccitante in cui le possibilità della Galassia si erano aperte per loro.

Allora Janus Pitt aveva i capelli castano scuro, e non era ancora Commissario di Rotor, anche se tutti lo consideravano un personaggio in ascesa. Però era a capo del Dipartimento dell’Esplorazione e del Commercio, ed era responsabile della Sonda Remota, che in gran parte era frutto delle sue azioni.

Era il primo tentativo di spingere la materia nello spazio con un sistema propulsivo iperassistito.

A quanto si sapeva, solo Rotor aveva messo a punto l’iperassistenza, e Pitt era stato il più accanito fautore della segretezza. A una riunione del Consiglio aveva detto: «Il Sistema Solare è affollato. Dato il numero delle Colonie spaziali, lo spazio disponibile si riduce sempre più. Perfino la fascia degli asteroidi è solo un palliativo. Ben presto sarà affollatissima anche quella. Inoltre, ogni Colonia ha un proprio equilibrio ecologico, che contribuisce alla separazione e all’isolamento. Il commercio viene soffocato per paura di essere infettati dai parassiti o dagli agenti patogeni di qualcun altro. L’unica soluzione, amici consiglieri, è lasciare il Sistema Solare… senza tanto chiasso, all’improvviso. Partiamo e troviamo una nuova patria, dove potere costruire un nuovo mondo, col nostro tipo di umanità, la nostra società, il nostro modo di vivere. Senza iperassistenza è impossibile… ma noi abbiamo l’iperassistenza. Prima o poi anche qualche altra Colonia scoprirà questa tecnica e partirà. Il Sistema Solare sarà un dente di leone ormai secco che spargerà i suoi semi nello spazio.

"Ma se partiremo per primi, forse troveremo un mondo prima che gli altri ci seguano. Potremo insediarci stabilmente, e quando gli altri ci seguiranno e forse si imbatteranno nel nostro nuovo mondo, noi saremo abbastanza forti da mandarli altrove. La Galassia è grande. Dev’esserci per forza qualche altro posto.»

C’erano state delle obiezioni, naturalmente, e violente. Alcuni si opponevano per paura… paura di abbandonare il noto per l’ignoto. Altri si opponevano per sentimentalismo… in quanto legati affettivamente al pianeta d’origine. Altri ancora si opponevano per idealismo… il desiderio di diffondere la conoscenza, perché anche gli altri potessero partire.

Pitt non si aspettava di spuntarla. Ci era riuscito perché Eugenia Insigna gli aveva fornito l’argomento vincente. Si era rivolta subito a lui… un colpo di fortuna incredibile!

Era giovane, allora. Aveva appena ventisei anni; era sposata, ma non era ancora incinta. Era eccitata, rossa in viso, carica di tabulati.

Pitt ricordava di averla guardata in cagnesco per quell’intrusione. Era Segretario del Dipartimento, e lei… be’, lei non era nessuno, anche se avrebbe cessato di essere una persona qualsiasi in quel preciso istante.

Naturalmente, Pitt non poteva saperlo, ed era seccato perché lei era voluta entrare ad ogni costo…

Di fronte all’eccitazione evidentissima della ragazza, Pitt ebbe un sussulto interiore. Intendeva fargli esaminare il materiale astruso che aveva in mano, e con un entusiasmo che lo avrebbe prostrato in breve tempo.

Avrebbe dovuto consegnare un riassunto conciso a uno dei suoi assistenti, invece. Pitt decise di dirglielo. «Vedo che ha dei dati da sottoporre alla mia attenzione, dottoressa Insigna. Li guarderò volentieri, a tempo debito. Perché non li lascia a un mio collaboratore?» E indicò la porta, sperando ardentemente che lei si girasse e uscisse. (Negli anni successivi, nei momenti d’ozio, si sarebbe chiesto a volte cosa sarebbe successo se lei fosse uscita, e avrebbe provato un brivido di terrore a quel pensiero.)

Ma lei disse: «No, no, signor Segretario, devo assolutamente parlare con lei». Le tremava la voce, come se l’eccitazione interiore fosse insopportabile. «È la più grande scoperta che sia stata fatta da… da…» Rinunciò a specificare da quando. «È la più grande.»

Pitt guardò dubbioso i fogli che stringeva. Vibravano, ma lui rimase freddo. Ah, gli specialisti! Pensavano sempre che qualche minuscolo progresso nel loro microsettore avesse una portata sensazionale.

Rassegnato, disse: «Be’, dottoressa, può spiegare di che si tratta in parole povere?»

«Siamo schermati, signore?»

«Perché dovremmo essere schermati?»

«Non voglio che qualcun altro senta, finché non sarò sicura… sicurissima… Devo controllare di nuovo, e ricontrollare, per eliminare qualsiasi dubbio. Anche se in realtà non ho alcun dubbio. Non sto parlando in modo sensato, vero?»

«Vero» ammise freddo Pitt, posando la mano su un contatto. «Siamo schermati. Sentiamo, dunque.»

«È tutto qui. Ora le mostro…»

«No. A parole, prima. E concisa.»

Lei respirò a fondo. «Signor Segretario, ho scoperto la stella più vicina.» Aveva gli occhi spalancati, e il respiro affannoso.

«La stella più vicina è Alfa Centauri, e lo sappiamo da quattro secoli.»

«La più vicina a noi nota, non la più vicina in assoluto. Ne ho scoperta una più vicina. Il Sole ha una compagna remota. Pare incredibile, eh?»

Pitt la studiò. Tipico. Quelli abbastanza giovani, e abbastanza entusiasti e inesperti, s’infiammavano prematuramente ogni volta.

«Ne è sicura?» chiese.

«Sì. Davvero. Lasci che le mostri i dati. È la cosa più eccitante che sia successa nel campo dell’astronomia da…»