Fisher aveva ancora un’aria infelice. «Quanto ci vorrà, Tessa?»
«E chi può dirlo? Un’eternità, forse. Anche se tutto procederà discretamente, credo proprio che ci vorranno almeno cinque anni.»
«Ma perché? Hai già il volo ultraluce.»
Tessa Wendel si sedette bene, la schiena eretta. «No, Crile. Non essere ingenuo. Ho soltanto una dimostrazione di laboratorio. Posso prendere un oggetto leggero, come una pallina da pingpong, la cui massa è costituita al novanta per cento da un minuscolo motore iperatomico, e farlo muovere a velocità ultraluce. Ma una nave con degli esseri umani a bordo è un discorso completamente diverso. Dovremo essere sicuri di quel che facciamo, e per avere delle basi solide cinque anni sono un’ipotesi ottimistica. Se non avessimo questi computer moderni che consentono simulazioni di altissimo livello, cinque anni sarebbero un sogno irrealizzabile. Magari, anche cinquanta.»
Crile Fisher scosse la testa e non disse nulla.
Tessa Wendel lo osservò pensosa poi, in tono quasi stizzito, chiese: «Che ti prende? Hai tanta fretta anche tu?»
Fisher rispose pacato: «Sicuramente sei ansiosa quanto gli altri di portare a termine il progetto, ma io non vedo l’ora che venga costruita una nave iperspaziale in grado di funzionare».
«Tu, in modo particolare?»
«Sì.»
«Perché?»
«Mi piacerebbe raggiungere la Stella Vicina.»
Tessa lo fissò in cagnesco. «Perché? Sogni di riunirti alla moglie che hai abbandonato?»
Fisher non aveva mai parlato di Eugenia con Tessa Wendel, a parte qualche accenno superficiale, e non aveva intenzione di lasciarsi attirare proprio adesso in una discussione del genere.
«Ho una figlia, là» disse. «Penso che tu possa capire la situazione, Tessa. Hai un figlio.»
Era vero. La Wendel aveva un figlio di poco più di vent’anni, che frequentava l’università su Adelia e di tanto in tanto scriveva alla madre.
L’espressione di Tessa si addolcì. «Crile, non farti illusioni pericolose. D’accordo, i rotoriani sapevano della Stella Vicina, quindi è là che sono andati, te lo concedo. Però, solo con l’iperassistenza, il viaggio dev’essere durato oltre due anni. Non possiamo essere sicuri che siano sopravvissuti a un viaggio del genere. E anche se fossero sopravvissuti, le probabilità di trovare un pianeta adatto all’uomo attorno a una nana rossa sono praticamente nulle. Arrivati alla Stella Vicina, quindi, può darsi che abbiano continuato il viaggio, in cerca di un pianeta abitabile. Andando dove? E come faremmo a trovarli?»
«Immagino che sapessero che non avrebbero trovato un pianeta adatto attorno alla Stella Vicina. Per cui, è probabile che intendessero semplicemente restare in orbita con Rotor attorno alla stella, no?»
«Anche se fossero sopravvissuti al viaggio e fossero entrati in orbita attorno alla stella, sarebbe una vita sterile la loro, forse incompatibile con i modelli civili a lungo andare. Crile, devi prepararti al peggio. E se riuscissimo a organizzare la spedizione e una volta raggiunta la stella non trovassimo nulla, o trovassimo al massimo il relitto vuoto di Rotor?»
«In tal caso, amen. Ma è senz’altro possibile che siano sopravvissuti.»
«E che tu trovi tua figlia? Crile, caro, è prudente basare le tue speranze su così poco? Ammettiamo che Rotor sia sopravvissuto, che tua figlia sia sopravvissuta… lei aveva appena un anno quando l’hai lasciata, nel ‘22. Se apparisse di fronte a te adesso, avrebbe dieci anni, e se raggiungessimo la Stella Vicina al più presto, mettendo a punto la nave in cinque anni, tua figlia avrebbe quindici anni. Non ti riconoscerebbe. E tu non la riconosceresti.»
«Dieci anni, o quindici, o cinquanta… non ha importanza. Se la vedessi, Tessa, la riconoscerei» disse Fisher.
19 Permanenza
Marlene sorrise esitante a Siever Genarr. Si era abituata a entrare nel suo ufficio a proprio piacimento.
«Disturbo? Sei impegnato, zio Siever?»
«No, cara, in realtà questo non è un lavoro impegnativo. È stato ideato apposta perché Pitt potesse liberarsi di me, e io l’ho accettato e l’ho tenuto per liberarmi di Pitt. Non lo confesserei a nessuno, ma sono costretto a dirti la verità dal momento che tu riconosci sempre le bugie.»
«Questo ti spaventa, zio Siever? Ha spaventato il Commissario Pitt, e avrebbe spaventato Aurinel… se gli avessi mostrato le mie capacità.»
«No, non mi spaventa, Marlene, perché mi sono rassegnato. Ho deciso che sono fatto di vetro, per te. Se devo essere sincero, la cosa è riposante. A pensarci bene, mentire è faticoso. Se la gente fosse davvero pigra, non mentirebbe mai.»
Marlene sorrise di nuovo. «È per questo che ti piaccio? Perché ti permetto di essere pigro?»
«Non riesci a capirlo?»
«No. Capisco che ti piaccio, però non sono in grado di comprendere il perché. Dal tuo comportamento, è chiaro che ti piaccio, ma il motivo è nascosto nella tua mente, e al massimo riesco ad avere qualche sensazione vaga, a volte. Lì dentro non posso penetrare.» Marlene rifletté un attimo. «A volte mi piacerebbe poterlo fare.»
«No, è meglio così, dovresti essere contenta. Le menti sono posti sporchi, umidi, sgradevoli.»
«Perché dici questo, zio Siever?»
«Per esperienza. Non ho la tua dote naturale, però sto in mezzo alla gente da molto più tempo di te. Ti piace l’interno della tua mente, Marlene?»
Marlene parve sorpresa. «Non so. Perché non dovrebbe piacermi?»
«Ti piace tutto quello che pensi? Tutto quello che immagini? Ogni tuo impulso? Sii sincera. Anche se non posso leggerti in faccia, sii sincera.»
«Be’, certe volte penso delle cose sciocche, o cattive. Certe volte mi arrabbio e penso di fare delle cose che in realtà non farei. Ma non capita spesso.»
«Non capita spesso? Non dimenticare che sei abituata alla tua mente.
Non l’avverti quasi. È come i vestiti che porti. Non senti il loro contatto, talmente sei abituata a indossarli. I capelli ti scendono sulla nuca, arricciandosi, ma non te ne accorgi. Se i capelli di qualcun altro ti toccassero la nuca, il prurito sarebbe insopportabile. La mente di qualcun altro potrebbe contenere dei pensieri per niente peggiori dei tuoi, ma sarebbero i pensieri di un altro e non ti piacerebbero. Per esempio, potrebbe non piacerti la simpatia che ho per te… se sapessi perché mi piaci. È molto meglio accettare il fatto che tu mi piaci così com’è, e basta, senza cercare le ragioni nella mia mente.»
La domanda di Marlene fu inevitabile. «Perché? Quali sono le ragioni?»
«Be’, mi piaci perché una volta ero come te.»
«Cosa intendi dire?»
«No, non ero una signorina con degli occhi splendidi e delle doti percettive insolite. Voglio dire che ero giovane, sentivo di non essere bello e sentivo che tutti mi detestavano per questo. E sapevo di essere intelligente, e non capivo perché gli altri non mi apprezzassero per la mia intelligenza. Mi sembrava ingiusto… mi disprezzavano per una qualità negativa e ignoravano una qualità positiva. Ero ferito, arrabbiato, Marlene, e ho deciso che non avrei mai trattato gli altri come gli altri trattavano me, ma non ho avuto molte occasioni per mettere in pratica i miei buoni propositi. Poi ho conosciuto te, e avevamo delle cose in comune. Io ero molto più brutto di te, e tu sei molto più intelligente, ma non mi dispiace che tu sia migliore di me.» Genarr fece un ampio sorriso. «È come se avesssi un’altra possibilità, una nuova opportunità… con dei vantaggi. Ma… basta. Non credo che tu sia venuta qui per parlarmi di questo. Non avrò la tua perspicacia, però fin qui ci arrivo.»