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Marlene si girò verso la madre. «Ha ragione, mamma. Si sente molto meglio, e anch’io. È evidente. Non capisci anche tu?»

«Quello che capisco non ha importanza» rispose Eugenia. «Io non mi sento meglio.»

«Oh, mamma» mormorò Marlene. Poi, alzando la voce, si rivolse a Genarr. «Farò l’analisi.»

XLVI

«Non mi sorprende» sussurrò Siever Genarr.

Stava osservando i grafici intricati, quasi floreali, del computer che scorrevano lentamente, colorati. Eugenia Insigna, al suo fianco, fissava senza comprendere.

«Non ti sorprende, cosa, Siever?» chiese.

«Non sono in grado di darti una spiegazione precisa perché non conosco bene il linguaggio specialistico. E se dovesse spiegarlo Ranay D’Aubisson, la nostra esperta locale del settore, nessuno dei due capirebbe. Comunque, Ranay mi ha fatto notare questo…»

«Sembra un guscio di chiocciola.»

«Risalta grazie al colore. Stando a Ranay, è un indice di complessità, piuttosto che una indicazione diretta di forma fisica. Questa parte è atipica. In genere, non si trova nei cervelli.»

Le labbra di Eugenia tremarono. «Intendi dire che Marlene è già stata colpita?»

«No, assolutamente. Ho detto atipica, non anormale. Non credo sia il caso di spiegare la differenza a una scienziata come te. Devi ammettere che Marlene è diversa. In un certo senso, sono contento che ci sia la chiocciola. Se il suo cervello fosse completamente tipico, dovremmo chiederci: "Perché Marlene è così, allora? Da dove viene la sua percettività? È un’abile simulazione, o siamo degli sciocchi?".»

«Ma come fai a sapere che non è qualcosa di… di…»

«Patologico? Impossibile. Abbiamo tutte le sue analisi cerebrali, dall’infanzia in poi. Questa atipicità è sempre stata presente.»

«Non mi hanno detto nulla. Non me ne hanno mai parlato…»

«Naturale. Quelle vecchie analisi erano piuttosto primitive e non si vedeva, almeno non in maniera tale da balzare agli occhi. Ma adesso che abbiamo questa analisi dettagliata e siamo in grado di vedere chiaramente questo particolare, possiamo esaminare le analisi precedenti e individuarlo. Cosa che Ranay ha già fatto. Credimi, Eugenia, questa tecnica avanzata di analisi cerebrale dovrebbe essere usata anche su Rotor. Pitt ha fatto male a sopprimerla; è stata una delle sue mosse più stupide. È costosa, naturalmente.»

«Pagherò» mormorò Eugenia.

«Non essere sciocca. La spesa è a carico della Cupola. Dopo tutto, questo potrebbe aiutarci a risolvere il mistero del Morbo. Almeno, sarà la spiegazione che darò se dovessero fare domande. Bene, siamo a posto. Il cervello di Marlene è stato registrato con una precisione senza precedenti. Se dovesse subire qualche alterazione, anche minima, si vedrà subito sullo schermo.»

«Non hai idea di quanto sia spaventoso, questo» disse Eugenia.

«Sai, ti capisco. Ma Marlene è così fiduciosa che non posso fare a meno di essere d’accordo con lei. Sono convinto che questo forte senso di sicurezza abbia un fondamento logico.»

«Com’è possibile?»

Genarr indicò il guscio di chiocciola. «Tu non hai questo, e nemmeno io, quindi nessuno dei due è in grado di stabilire da dove provenga il senso di sicurezza di Marlene. Però lei è sicura, quindi dobbiamo lasciarla uscire sulla superficie.»

«Perché dobbiamo esporla a questo rischio? Puoi spiegarmelo?»

«Per due motivi. Primo, Marlene sembra molto decisa, e ho la sensazione che prima o poi otterrà quel che vuole, se è tanto decisa. In tal caso, tanto vale accogliere la sua richiesta di buon grado e mandarla fuori, dato che non riusciremo a trattenerla a lungo. Secondo, è possibile che in questo modo scopriamo qualcosa sul Morbo… non so cosa, però anche un piccolissimo indizio che consenta di ricavare altri dati sul Morbo sarà preziosissimo.»

«Non quanto la mente di mia figlia.»

«La mente di Marlene sarà al sicuro. Tanto per cominciare, anche se ho fiducia in Marlene e credo che non ci siano rischi, farò il possibile per ridurli al minimo, per amor tuo. Innanzitutto, non la lasceremo uscire per un po’. Posso sorvolare Eritro insieme a lei, per esempio. Vedrà laghi e pianure, colline, canyon. Potremmo arrivare addirittura fino al mare. È un mondo che possiede una bellezza spoglia, l’ho visto una volta, ma è brullo, sterile. Marlene non vedrà nessuna forma di vita. Ci sono solo i procarioti nell’acqua, che naturalmente sono invisibili. Può darsi che questa desolazione uniforme le ispiri un senso di ripugnanza, può darsi che Marlene perda completamente interesse per l’esterno. Comunque, se vorrà ancora uscire, se vorrà sentire ugualmente il suolo di Eritro sotto i piedi, faremo in modo che indossi una tutaE.»

«Cosa sarebbe una tutaE?»

«Una tuta protettiva adatta a Eritro. È semplice… è una specie di tuta spaziale, solo che non è pressurizzata perché all’esterno non c’è il vuoto. È fatta di plastica e di tessuto, è leggerissima e non intralcia i movimenti. Il casco con lo schermo protettivo per gli infrarossi è un po’ più massiccio, e ci sono una riserva d’aria artificiale e un dispositivo per la ventilazione. In conclusione, la persona che indossa una tutaE non è esposta all’ambiente esterno di Eritro. Inoltre, ci sarà qualcuno con Marlene.»

«Chi? Non l’affiderei a nessuno, mi fiderei solo di me stessa.»

Genarr sorrise. «Saresti la compagna meno adatta. Non sai nulla di Eritro, e hai paura del pianeta. Non ti permetterei mai di andare là fuori. Ascolta, l’unica persona affidabile non sei tu… sono io.»

«Tu?» Eugenia lo fissò a bocca aperta.

«Perché no? Qui non c’è nessuno che conosca Eritro meglio di me, e se Marlene è immune al Morbo, sono immune anch’io. In dieci anni su Eritro, non ho mai avvertito il minimo disturbo. E soprattutto, so pilotare un mezzo aereo, il che significa che non avremo bisogno di un pilota. Senza contare che, se uscirò con Marlene, potrò osservarla attentamente. Se noterò la minima traccia di anormalità nel suo comportamento, la riporterò nella Cupola perché venga esaminata con l’analizzatore cerebrale in un battibaleno.»

«Quando sarà ormai troppo tardi, naturalmente.»

«No. Non necessariamente. Se pensi che il Morbo colpisca sempre con la massima intensità quando si manifesta, ti sbagli. Non è così. Ci sono stati dei casi leggeri, anche molto leggeri, e le persone colpite in modo lieve possono condurre un’esistenza abbastanza normale. Ma a Marlene non accadrà nulla. Ne sono sicuro.»

Eugenia rimase seduta in silenzio, l’aria sparuta e indifesa.

Istintivamente, Genarr la cinse col braccio. «Su, Eugenia, dimentica tutto per una settimana. Ti prometto che Marlene non uscirà per almeno sette giorni… magari anche di più, se riuscirò a indebolire la sua determinazione mostrandole Eritro dall’aria. E durante il volo si troverà in un ambiente chiuso, a bordo dell’aereo, e sarà al sicuro come qui nella Cupola. E adesso sai che ti dico… sei un’astronoma, no?»

Eugenia lo guardò e disse fiacca: «Certo, lo sai benissimo».

«Il che significa che non guardi mai le stelle. Gli astronomi non lo fanno mai. Guardano solo i loro strumenti. Adesso è scesa la notte sulla Cupola; raggiungiamo la sala d’osservazione e ammiriamo il cielo. La notte è limpidissima, e guardare le stelle è l’ideale per sentirsi tranquilli e in pace. Fidati di me.»

XLVII

Era vero. Gli astronomi non guardavano le stelle. Non era necessario. Un astronomo, tramite il computer opportunamente programmato, dava istruzioni ai telescopi, agli obiettivi e allo spettroscopio.