«In realtà, sì. Però la distanza tra Rotor e Nemesis è molto minore della distanza che un tempo separava Rotor dal Sole, quindi Nemesis sembra più grande.»
«Siamo a quattro milioni di chilometri da Nemesis, vero?»
«Ma eravamo a centocinquanta milioni di chilometri dal Sole. Se fossimo così lontani da Nemesis, riceveremmo meno dell’uno per cento della luce e del calore che riceviamo ora. E se fossimo ad appena quattro milioni di chilometri dal Sole, ci volatilizzeremmo. Il Sole è molto più grande, molto più luminoso e molto più caldo di Nemesis.»
Marlene non stava guardando Genarr, ma a quanto pareva il suo tono di voce era sufficiente. «Da come parli, zio Siever, ho l’impressione che ti piacerebbe essere ancora accanto al Sole.»
«Sono nato là, quindi a volte soffro di nostalgia.»
«Ma il Sole è così caldo e luminoso. Dev’essere pericoloso.»
«Non lo guardavamo. E non dovresti guardare nemmeno Nemesis troppo a lungo. Basta guardare, cara.»
Genarr lanciò un’altra rapida occhiata a Nemesis, comunque. Era sospesa nel cielo occidentale, rossa e immensa, diametro apparente quattro gradi di arco, o otto volte quello del Sole visto dalla vecchia posizione di Rotor. Era un cerchio di luce rossa tranquillo, ma Genarr sapeva che di tanto in tanto, raramente, s’infiammava e per pochi minuti su quella faccia serena appariva una chiazza bianca dolorosa per gli occhi di chi osservava. Le macchie solari di lieve entità, rosso scuro, erano più comuni, ma non così evidenti.
Sottovoce, Genarr diede un ordine all’aereo, che virò in maniera tale da volgere a Nemesis la parte posteriore.
Marlene, pensosa, guardò un’ultima volta la stella, poi si girò, concentrandosi sul panorama di Eritro che scorreva sotto di loro.
«Ci si abitua a questa distesa ininterrotta color rosa» disse. «Dopo un po’, non sembra più così rosa.»
Anche Genarr l’aveva notato. I suoi occhi cominciavano a cogliere tonalità e sfumature diverse, e adesso quel mondo sembrava meno monocromatico. I fiumi e i laghetti erano più rossastri e più scuri del terreno, e il cielo era scuro. L’atmosfera di Eritro diffondeva in minima parte la luce rossa di Nemesis.
L’aspetto più scoraggiante di Eritro, comunque, era la sterilità del suolo. Rotor, per quanto su scala ridotta, aveva campi verdi, grano giallo, frutta multicolore, animali rumorosi… tutti i colori e i suoni caratteristici di un luogo abitato dall’uomo.
Lì, solo silenzio e cose inanimate.
Marlene aggrottò le ciglia. «C’è vita su Eritro, zio Siever…»
Genarr non capì se Marlene stesse facendo un’affermazione, gli stesse rivolgendo una domanda, o stesse rispondendo al pensiero rivelato dal suo linguaggio corporeo. Stava sottolineando qualcosa, o voleva essere rassicurata?
«Certo. Parecchia» spiegò Genarr. «E diffusa ovunque. Non è solo nell’acqua. Ci sono procarioti anche nel sottilissimo strato di acqua attorno ai granelli di terreno.»
Poco dopo, all’orizzonte apparve l’oceano; dapprima era semplicemente una linea scura, che si trasformò in una fascia sempre più ampia via via che il velivolo si avvicinava.
Genarr guardò Marlene con la coda dell’occhio, osservando le sue reazioni. Naturalmente, la ragazza aveva letto degli oceani terrestri, e doveva avere visto delle immagini olovisive, ma non c’era nulla che potesse preparare all’esperienza diretta. Genarr, che una volta (una volta!) era stato sulla Terra come turista, aveva visto la sponda di un oceano. Però non aveva mai sorvolato un oceano, non si era mai allontanato dalla terraferma, e non era sicuro delle proprie reazioni.
L’oceano scorse sotto di loro, e la sponda diventò una linea più chiara alle loro spalle, e rimpicciolì sempre più, fino a scomparire. Genarr guardò giù provando una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Ricordò le parole di un poema arcaico che parlava del "mare scuro come vino". Sotto di loro, l’oceano assomigliava in effetti a una massa ondeggiante di vino rosso, con chiazze di schiuma rosa qui e là.
Non c’erano punti di riferimento in quella distesa d’acqua smisurata, e nemmeno punti dove atterrare. Il concetto stesso di «ubicazione» non significava più nulla. Eppure Genarr sapeva che per ritornare bastava ordinare all’aereo di riportarli a terra. Il computer di bordo controllava sempre la posizione in base alla velocità e alla direzione seguita, e sapeva dov’era la terraferma… conosceva perfino la posizione della Cupola.
Passarono sotto a uno spesso banco di nubi, e l’oceano diventò nero. Una parola di Genarr, e l’aereo salì, portandosi al di sopra delle nuvole. Nemesis tornò a brillare, mentre in basso l’oceano non era più visibile. C’era invece un mare di goccioline rosa che fluttuavano e si sollevavano qui e là, e di tanto in tanto all’esterno dei finestrini scorrevano brandelli di nebbia.
Poi le nubi si aprirono e nello squarcio si scorse di nuovo il mare rosso vino.
Marlene osservò la scena a bocca aperta, respirando piano. «È tutta acqua, vero, zio Siever?» mormorò.
«Migliaia di chilometri, in ogni direzione, Marlene… e profonda dieci chilometri in alcuni punti.»
«Se si cade lì dentro, si annega, immagino…»
«Non preoccuparti. Questo aereo non cadrà nell’oceano.»
«Lo so» disse Marlene, sbrigativa.
C’era un altro spettacolo da mostrarle, pensò Genarr.
Marlene interruppe il flusso dei suoi pensieri. «Ti stai agitando di nuovo, zio Siever.»
Stava abituandosi a dare per scontata la capacità di penetrazione di Marlene, rifletté Genarr divertito. «Non hai mai visto Megas, e mi stavo chiedendo se fosse il caso di mostrartelo. Sai, Eritro presenta sempre la stessa faccia a Megas, e la Cupola è stata costruita nell’emisfero opposto, quindi Megas non è mai nel nostro cielo. Continuando a volare in questa direzione, però, entreremo nell’emisfero cismegano, e vedremo sorgere Megas all’orizzonte.»
«Mi piacerebbe vederlo.»
«Allora lo vedrai, ma ti avviso… Megas è grande, molto grande, quasi il doppio di Nemesis, e sembra quasi che stia per caderci addosso. È una vista che certe persone non riescono a sopportare. Non cadrà, però. È impossibile. Cerca di ricordarlo.»
Proseguirono, salendo più in alto e aumentando la velocità. L’oceano sotto di loro era una distesa increspata ininterrotta, oscurata di tanto in tanto dalle nubi.
A un certo punto, Genarr disse: «Se guardi di fronte a te, un po’ a destra, comincerai a scorgere Megas all’orizzonte. Andremo in quella direzione».
All’inizio sembrava solo una piccola chiazza di luce lungo l’orizzonte, ma crebbe lentamente, espandendosi. Poi, d’un tratto, l’arco sempre più ampio di un cerchio rosso cupo si innalzò sopra l’orizzonte. Era nettamente più scuro di Nemesis, ancora visibile sulla destra alle loro spalle, un po’ più bassa nel cielo.
Mentre Megas ingrandiva, ben presto apparve evidente che non si trattava di un cerchio luminoso intero, ma di un semicerchio, piuttosto.
«Ecco… questo è quello che chiamano «fasi», vero?» fece Marlene, con interesse.
«Esatto. Vediamo solo la parte illuminata da Nemesis. Man mano che Eritro gira attorno a Megas, sembra che Nemesis si avvicini sempre più a Megas, e noi vediamo una percentuale sempre più piccola della metà illuminata del pianeta. Poi quando Nemesis si trova appena sopra Megas, o appena sotto, vediamo soltanto una sottile curva luminosa che segna il bordo di Megas, l’unica parte visibile del suo emisfero illuminato. A volte Nemesis si sposta dietro Megas, e abbiamo un eclisse. Allora compaiono tutte le stelle fioche, non solo le più luminose che si vedono anche quando Nemesis è nel cielo. Durante l’eclisse, si vede un grande cerchio di oscurità che non contiene nemmeno una stella, e quel cerchio indica la posizione di Megas. Quando Nemesis riappare sull’altro lato, a poco a poco si scorge di nuovo una sottile curva luminosa.»