«Ma hai controllato la tua struttura mentale dopo essere rientrato dal viaggio in aereo?»
«Certo. Subito. Non sono stupido. L’analisi completa non è ancora pronta, però dall’esame preliminare non risulta nessun cambiamento.»
«Allora, cos’hai intenzione di fare a questo punto?»
«La cosa logica. Marlene ed io lasceremo la Cupola, usciremo sulla superficie di Eritro.»
«No!»
«Prenderemo delle precauzioni. Sono già stato all’esterno.»
«Tu, forse» disse Eugenia, ostinata. «Marlene, mai.»
Genarr sospirò. Girandosi, fissò la finestra finta nella parete dell’ufficio, quasi stesse cercando di penetrare con lo sguardo quella barriera e di vedere il paesaggio rossastro che si nascondeva là dietro. Poi tornò a voltarsi verso Eugenia.
«Là fuori c’è un mondo nuovo e immenso, che appartiene solo a noi» disse. «Possiamo prenderlo e trasformarlo tenendo conto della lezione del passato, evitando di commettere gli errori sciocchi commessi col nostro mondo originario. Questa volta possiamo costruire un mondo valido, pulito, decente. Possiamo abituarci alla sua luce rossa. Possiamo renderlo vivo con le nostre piante e i nostri animali. Possiamo far prosperare la terra e il mare e imprimere al pianeta una spinta evolutiva.»
«E il Morbo?»
«Potremmo eliminarlo, e fare di Eritro un luogo ideale per noi.»
«Se eliminiamo il calore e la gravità e modifichiamo la composizione chimica, anche Megas può trasformarsi in un luogo ideale.»
«Sì, Eugenia, però devi ammettere che il Morbo rientra in una categoria diversa rispetto al calore, alla gravità, e alla chimica planetaria.»
«Ma è altrettanto letale.»
«Eugenia, mi pare di averti detto che Marlene è la persona più importante che abbiamo.»
«Per me, certamente.»
«Per te, è importante solo perché è tua figlia. Per noi altri, è importante per quello che può fare.»
«E cosa può fare? Interpretare il nostro linguaggio corporeo? Giocarci qualche scherzetto?»
«È convinta di essere immune al Morbo. Se è immune, potremmo scoprire…»
«Se è immune. No, è una fantasia infantile, e lo sai. Non aggrapparti a qualcosa di così inconsistente.»
«C’è un mondo là fuori, e io lo voglio.»
«Mi sembra di sentire parlare Pitt. Per avere quel mondo, vuoi mettere a repentaglio mia figlia?»
«Nella storia umana, si è messo in gioco molto di più per molto meno.»
«Ah, bell’esempio la storia umana, allora. In ogni caso, sta a me decidere. È mia figlia.»
E Genarr, la voce bassa e colma di rammarico, disse: «Ti amo, Eugenia, ma ti ho persa una volta. Ho sognato di provare a cancellare questa perdita, magari… ma adesso temo che dovrò perderti di nuovo, e per sempre. Perché, vedi, sono costretto a dirti che non sta a te decidere. E non sta nemmeno a me. Sta a Marlene decidere. E qualsiasi decisione prenda, la metterà in pratica, in qualche modo. E dato che può darsi benissimo che Marlene abbia la capacità di conquistare un mondo e di offrirlo al genere umano, io l’aiuterò fino in fondo, anche se tu sei contraria. Devi accettarlo, Eugenia… ti prego».
24 Rivelatore
Orile Fisher studiò l’Ultraluce, impassibile. Era la prima volta che la vedeva, e lanciando una rapida occhiata a Tessa Wendel notò che la scienziata stava sorridendo, senza dubbio orgogliosa della propria creazione.
L’Ultraluce si trovava in una enorme caverna, all’interno di una tripla rete di sicurezza. C’erano degli esseri umani presenti, ma la maggior parte della manodopera era costituita da robot computerizzati (nonumanoidi).
Fisher aveva visto molte astronavi, modelli diversi destinati agli impieghi più disparati, però non ne aveva mai vista una come l’Ultraluce… una dall’aspetto così ripugnante.
Se l’avesse vista senza sapere cos’era, forse non avrebbe nemmeno intuito che si trattava di un’astronave. Cosa poteva dire, allora? Non voleva fare arrabbiare Tessa. E d’altra parte, era chiaro che Tessa voleva la sua opinione e si aspettava degli elogi.
Così, il tono piuttosto spento, Crile Fisher disse: «Ha una grazia strana, misteriosa… ricorda abbastanza una vespa…».
Tessa aveva sorriso all’espressione "una grazia strana, misteriosa", e Fisher si era reso conto di avere scelto le parole giuste. Poi però la scienziata sbottò: «Che significa, "ricorda abbastanza una vespa"?»
«Mi riferisco a un insetto» spiegò Crile. «Lo so che su Adelia non siete molto pratici di insetti.»
«Li conosciamo, gli insetti» replicò Tessa. «Non avremo l’abbondanza caotica della Terra…»
«Probabilmente non avete le vespe. Sono insetti che pungono, piuttosto simili a…» Crile indicò L’Ultraluce. «Anche le vespe hanno un grosso rigonfiamento anteriore, un altro rigonfiamento dietro, e un raccordo centrale stretto.»
«Davvero?» Tessa guardò l’Ultraluce e nei suoi occhi brillò una scintilla improvvisa di interesse. «Quando puoi, trovami l’immagine di una vespa. Può darsi che capisca meglio la struttura della nave vedendo l’insetto… o viceversa.»
«Ma allora, come mai ha questa forma, se non è stata ispirata dalla vespa?»
«Ci serviva una geometria che massimizzasse la possibilità di spostamento dell’intera nave come blocco compatto. L’ipercampo, in realtà, tende a estendersi verso l’esterno cilindricamente, all’infinito, e noi lo lasciamo libero, entro certi limiti. D’altra parte, bisogna pur controllarlo, non si può cedere completamente, e infatti si deve isolarlo nei rigonfiamenti. L’ipercampo è appena all’interno dello scafo, alimentato e racchiuso da un intenso campo elettromagnetico alternato, e… Ma a te non interessano tutte queste cose, vero?»
«Non credo» disse Fisher, abbozzando un sorriso. «Ho sentito abbastanza. Ma dato che finalmente ho avuto il permesso di vedere questa…»
«Su, non fare l’offeso, adesso.» Tessa gli cinse la vita con il braccio. «Potevano entrare solo gli addetti ai lavori. Certe volte non sopportavano neppure la mia presenza. Secondo me, continuavano a brontolare, a lamentarsi di avere tra i piedi una colona sospetta e troppo ficcanaso per i loro gusti, e scommetto che se non fossi stata io a inventare l’ipercampo mi avrebbero subito sbattuta fuori. Adesso, però, la situazione si è normalizzata abbastanza, e ho potuto fare in modo che tu venissi qui a vedere la nave. In fin dei conti, un giorno anche tu sarai a bordo di questa nave, e volevo che l’ammirassi.» Tessa esitò, quindi aggiunse: «E che mi ammirassi».
Crile la guardò. «Lo sai che ti ammiro, Tessa, indipendentemente da tutto questo.» E le cinse le spalle.
«Continuo a invecchiare, Crile… è un processo inarrestabile. E sono anche soddisfattissima di te… incredibile. Sono con te da quasi otto anni, e non ho più sentito il desiderio di conoscere altri uomini, di fare nuove esperienze in questo campo.»
«È tanto grave la cosa? Forse è dipeso solo dal progetto, sei stata troppo impegnata. Adesso che la nave è ultimata, probabilmente proverai un senso di liberazione, e avrai abbastanza tempo per riprendere la caccia.»
«No. Non avverto più quello stimolo, non l’avverto proprio. Ma… e tu? So che ti trascuro a volte…»
«Nessun problema. Quando mi trascuri per il tuo lavoro, mi va benissimo. Desidero la nave quanto te, cara, e c’è un incubo che mi perseguita… la paura che quando la nave sarà finalmente pronta, noi saremo troppo vecchi e non ci lasceranno partire.» Fisher sorrise, ma era un sorriso mesto. «Tieni presente, Tessa, che non sei l’unica a invecchiare, che anch’io ho superato da un pezzo la gioventù. Tra meno di due anni, ne compirò cinquanta. Ma devo chiederti una cosa… e te la chiederò, anche se sono un po’ riluttante perché ho paura di rimanere deluso.»