Marlene non si scomodò a rispondere, ma Genarr disse: «Vuole solo guardare un ruscello di fronte a noi, Eugenia».
«Sta bene?»
«Certo. È bello l’esterno… una bellezza strana, misteriosa. Dopo un po’ non sembra nemmeno così spoglio… ricorda più che altro un quadro astratto.»
«Lascia perdere la critica artistica, Siever. Non lasciarla allontanare da te.»
«Non preoccuparti. Sono sempre in contatto con lei. Anche adesso sente quello che diciamo, e se non risponde è perché non vuole essere disturbata inutilmente. Eugenia, rilassati. Marlene si sta divertendo. Non fare la guastafeste.»
Genarr era convintissimo che Marlene si stesse divertendo. Si divertiva anche lui.
Marlene stava risalendo il ruscello, correndo lungo la sponda. Genarr non aveva una gran fretta di seguirla. "Si diverta pure" pensò.
La Cupola era stata costruita su un affioramento roccioso, ma in quella direzione la zona era attraversata da una serie di torrentelli che a una trentina di chilometri di distanza confluivano in un fiume piuttosto grande… fiume che poi sfociava nel mare.
I ruscelli erano graditi, naturalmente. Erano la riserva idrica della Cupola, che provvedeva a togliere i procarioti presenti nell’acqua (a «ucciderli», per usare un termine più appropriato). Agli inizi della storia della Cupola, alcuni biologi si erano opposti all’uccisione dei procarioti, ma la cosa era assurda. Quei microorganismi erano talmente numerosi e prolifici che, anche eliminandoli per depurare l’acqua, era impossibile decimare la specie. Poi, quando era scoppiato il Morbo, era nata un’ostilità vaga ma intensa nei confronti di Eritro, e nessuno si era più preoccupato della sorte dei procarioti.
Naturalmente, adesso che apparentemente il Morbo non rappresentava più una minaccia, forse ci sarebbe stata una nuova ondata di sentimenti umanitari ("biotari", un aggettivo più appropriato, secondo Genarr). Genarr condivideva quei sentimenti, ma bisognava pensare anche alle riserve idriche della Cupola.
Immerso nei propri pensieri, Genarr non stava più guardando Marlene, e lo strillo improvviso di Eugenia lo assordò. «Marlene! Marlene! Siever, cosa sta facendo?»
Genarr alzò lo sguardo, e stava per rassicurarla automaticamente, dicendole che andava tutto bene, quando scorse Marlene.
Per un attimo, non capì più cosa stesse facendo. Rimase a fissarla nella luce rosata di Nemesis.
Poi comprese. Marlene stava sganciando il casco, lo stava togliendo… E adesso stava cercando di sfilarsi il resto della tutaE.
Genarr doveva impedirglielo!
Provò a gridare, a chiamarla, ma per l’orrore provocato dall’emergenza improvvisa gli mancò la voce. Cercò di correre da lei, ma le sue gambe sembravano di piombo, in pratica non rispondevano ai comandi urgenti che lui inviava.
Aveva l’impressione di essere prigioniero di un incubo, dove stavano accadendo cose terribili e lui non poteva fare nulla per impedire che accadessero. O forse la sua mente, in quel frangente carico di tensione, si stava dissociando dal corpo.
"È il Morbo, che mi sta colpendo?" si chiese Genarr, in preda al panico. "E se è il Morbo, cosa succederà adesso a Marlene, che si sta esponendo alla luce di Nemesis e all’aria di Eritro?"
26 Pianeta
Crile Fisher aveva visto Igor Koropatsky solo due volte in quei tre anni, dopo che Koropatsky era subentrato a Tanayama diventando, di fatto se non di nome, il capo del progetto.
Comunque, lo riconobbe senza difficoltà quando l’identificatore segnalò la sua immagine. Koropatsky era sempre il solito tipo corpulento dall’aria gioviale. Era elegante, e sfoggiava un grande foulard vaporoso al collo, secondo l’ultima moda.
Fisher invece stava rilassandosi quella mattina e non era molto presentabile, ma non si poteva non ricevere Koropatsky, nemmeno quando arrivava senza preavviso.
Con tatto, Fisher rispose ricorrendo al segnale di «ATTESA», la figura stilizzata di un padrone di casa cordiale (o di una padrona di casa, dato che il sesso era volutamente ambiguo) che alzava una mano con garbo in un gesto che significava universalmente "Solo un attimo", ma che non era grossolano come le parole.
Fisher si affrettò a pettinarsi e a sistemarsi gli indumenti. Avrebbe potuto radersi, ma prolungare l’attesa sarebbe stato offensivo per Koropatsky, rifletté.
La porta si aprì e Koropatsky entrò. Sorridendo affabile, disse: «Buongiorno, Fisher. Disturbo, eh?»
«Nessun disturbo, Direttore» rispose Fisher, sforzandosi di sembrare sincero. «Ma se desidera vedere la dottoressa Wendel… è alla nave, purtroppo.»
Koropatsky sbuffò. «Sai, lo immaginavo. Dunque, non mi resta che parlare con te. Posso sedermi?»
«Sì, certo, Direttore» disse Fisher, mortificato per non averlo invitato subito ad accomodarsi. «Posso offrirle qualcosa?»
«No.» Koropatsky si batté sull’addome. «Mi peso ogni mattina, ed è sufficiente a farmi perdere l’appetito… quasi. Fisher, non ho mai avuto modo di parlarti, da uomo a uomo. Volevo farlo.»
«Volentieri, Direttore. A sua disposizione» borbottò Fisher, cominciando ad avvertire una certa inquietudine. Di che si trattava?
«Il nostro pianeta è in debito con te.»
«Se lo dice lei, Direttore…»
«Eri su Rotor, prima che partisse.»
«È stato quattordici anni fa, Direttore.»
«Lo so. Avevi sposato una rotoriana e avevi una figlia.»
«Sì, Direttore» confermò Fisher sottovoce.
«Però sei tornato sulla Terra appena prima che Rotor lasciasse il Sistema Solare.»
«Sì, Direttore.»
«Grazie a qualcosa che avevi sentito e che hai riferito, e grazie a un altro tuo suggerimento, la Terra è arrivata a scoprire la Stella Vicina.»
«Sì, Direttore.»
«E sei stato tu a portare sulla Terra la dottoressa Tessa Wendel di Adelia.»
«Sì, Direttore.»
«E hai fatto in modo che lavorasse qui per oltre otto anni, e che fosse felice, eh?»
Koropatsky ridacchiò, e probabilmente se fosse stato più vicino gli avrebbe dato un colpetto di gomito in segno di solidarietà maschile, rifletté Fisher.
«Andiamo d’accordo, Direttore.»
«Ma non vi siete mai sposati.»
«Sono già sposato, Direttore.»
«E separato da quattordici anni. Potresti ottenere il divorzio in breve tempo.»
«Ho anche una figlia.»
«Che rimarrebbe tua figlia, anche se ti risposassi.»
«Sarebbe una formalità inutile, sicuramente.»
«Be’, forse…» Koropatsky annuì. «E forse la cosa funziona ancor meglio in questo modo… Sai che la nave ultraluce è pronta a partire. Speriamo di lanciarla all’inizio del 2237.»
«È quanto mi ha detto la dottoressa Wendel, Direttore.»
«I rivelatori neuronici sono stati installati e il loro funzionamento è soddisfacente.»
«Mi è stato detto anche questo, Direttore.»
Koropatsky, stringendo una mano nell’altra sulle ginocchia, annuì energicamente. Poi con un movimento rapido alzò lo sguardo e fissò Fisher. «Sai come funziona?»
Fisher scosse la testa. «No, signore. Non so nulla del funzionamento della nave.»
Koropatsky annuì di nuovo. «Nemmeno io. Dobbiamo fidarci della parola della dottoressa Wendel e dei nostri tecnici. Manca ancora una cosa, però.»
«Oh?» (Un senso gelido di apprensione pervase Fisher. Un ulteriore rinvio?) «Cosa manca, Direttore?»
«Le comunicazioni. Se è possibile spingere una nave oltre la velocità della luce, dovrebbe anche esserci il sistema di inviare delle onde radio o che so io alla stessa velocità. Anzi, secondo me, dovrebbe essere più facile inviare un messaggio ultraluce che far viaggiare una nave a velocità ultraluce.»