«Non tendermi dei tranelli» disse Genarr stizzito. «Certo che lo sapevo. Pensi che la mia memoria non funzioni più? Da quel che hai detto, deduco… sì, sono ancora capace di dedurre, visto?… deduco che, anche se avete i dati di una mia analisi precedente e avete potuto confrontarli con l’analisi cerebrale appena fatta, non avete trovato nulla di significativo. È così?»
«È evidente che non presenta nessuna anomalia di rilievo, però potremmo trovarci di fronte a una situazione subclinica.»
«Non trovando nulla?»
«Una alterazione impercettibile può sfuggire, se non la si cerca in modo specifico. In fin dei conti, lei è svenuto, e di solito non è soggetto a perdite di conoscenza, Comandante.»
«Fate un’altra analisi, adesso che sono sveglio, e se avrò qualcosa di talmente impercettibile da sfuggire al vostro esame, me lo terrò e sopravviverò. Ma parlami di Marlene. Sei sicura che stia bene?»
«Ho detto che pare che stia bene, Comandante. La ragazza non ha rivelato alcuna anomalia comportamentale. Non è svenuta.»
«Ed è nella Cupola, sana e salva?»
«Sì, è stata lei ha riportarla qui, appena prima che svenisse. Non ricorda?»
Genarr arrossì e borbottò qualcosa.
L’espressione della D’Aubisson si fece sardonica. «Perché non ci dice esattamente quello che ricorda, eh, Comandante? Ci racconti tutto. Anche un particolare qualsiasi potrebbe essere importante.»
Il disagio di Siever Genarr aumentò, mentre si sforzava di ricordare. Gli sembrava di concentrarsi su un episodio successo molto tempo prima, nebuloso… come se stesse cercando di ricordare un sogno.
«Marlene stava togliendosi la tutaE… Vero?»
«Verissimo. È rientrata senza tuta, e abbiamo dovuto mandare qualcuno a recuperarla.»
«Be’, naturalmente, ho provato a fermarla, quando ho visto cosa stava facendo. Ricordo che la dottoressa Insigna ha gridato, che è stata lei a mettermi in guardia. Marlene era lontana da me, accanto al ruscello. Ho provato a chiamarla, ma per lo shock non sono riuscito a parlare all’inizio. Ho cercato di raggiungerla subito, di… di…»
«Correre da lei» suggerì Ranay.
«Sì. Ma… ma…»
«Si è accorto di non riuscire a correre. Era quasi paralizzato. Giusto?»
Genarr annuì. «Sì. Più o meno. Ho provato a correre, ma… hai mai avuto uno di quegli incubi in cui sei inseguito da qualcuno e vuoi fuggire però non riesci a muoverti?»
«Sì. Li hanno tutti. Di solito capita quando si hanno le braccia o le gambe aggrovigliate nelle coperte.»
«Sembrava proprio un sogno. Alla fine, mi è tornata la voce e ho gridato, ma senza la tutaE Marlene non poteva sentirmi, sicuramente.»
«Si sentiva sul punto di svenire?»
«No. Solo impotente, confuso. Come se non valesse nemmeno la pena di provare a correre. Poi Marlene mi ha visto ed è corsa da me. Deve aver capito che ero in difficoltà.»
«La ragazza a quanto pare era perfettamente in grado di correre. Giusto?»
«Mah… credo. Mi ha raggiunto, mi sembra. Poi… Sarò sincero, Ranay. Non ricordo quel che è successo dopo.»
«Siete rientrati nella Cupola insieme» disse calma la D’Aubisson. «La ragazza la sosteneva, Comandante. E una volta nella Cupola lei è svenuto e adesso… è qui a letto.»
«E tu pensi che abbia il Morbo.»
«Penso che le sia successo qualcosa di anormale, però non riesco a trovare nulla nella sua analisi cerebrale, e sono perplessa. Ora sa tutto.»
«È stato lo shock di vedere Marlene in pericolo. Per togliersi la tutaE, doveva avere…» Genarr si interruppe di colpo.
«Contratto il Morbo? È così?»
«È quel che ho pensato.»
«Pare che la ragazza stia bene. Vuole dormire ancora un po’?»
«No. Sono sveglio. Procedi con l’altra analisi cerebrale, e fai in modo che risulti negativa, perché mi sento molto meglio adesso che mi sono tolto questo peso. E poi mi occuperò del mio lavoro, arpia.»
«Anche se l’analisi cerebrale apparentemente è normale, lei rimarrà a letto per almeno ventiquattr’ore, Comandante. In osservazione.»
Genarr eruppe in un gemito melodrammatico. «Non puoi farlo. Non posso starmene qui a fissare il soffitto per ventiquattr’ore.»
«Non dovrà fissare il soffitto. Le metteremo un sostegno, così potrà leggere un libro o guardare l’olovisione. Potrà anche ricevere un paio di visite.»
«Immagino che anche i visitatori mi osserveranno.»
«Può darsi che vengano interrogati circa il suo comportamento… non ci sarebbe nulla di strano. E adesso, andiamo a prendere l’analizzatore cerebrale.» Ranay D’Aubisson si voltò, poi tornò a girarsi accennando un sorrisetto. «È possibilissimo che lei stia bene, Comandante. Le sue reazioni mi sembrano normali. Ma dobbiamo essere sicuri, no?»
Genarr bofonchiò e, quando Ranay D’Aubisson gli volse di nuovo le spalle e si allontanò, salutò la sua uscita con una smorfia. Anche quella era una reazione normale, decise.
Quando riaprì gli occhi, Genarr vide Eugenia Insigna che lo fissava con aria triste.
Sorpreso, si drizzò a sedere. «Eugenia!»
Lei gli sorrise, ma il suo sguardo rimase triste.
«Hanno detto che potevo entrare, Siever. Hanno detto che stavi bene.»
Genarr si sentì sollevato. Sapeva di star bene, ma era bello sentire che qualcun altro confermava la sua opinione.
Disse in tono spavaldo: «Certo che sto bene. Analisi cerebrale normale… addormentato, sveglio, sempre. Ma come sta Marlene?».
«Anche la sua analisi è perfettamente normale» rispose Eugenia, ma la sua espressione non mutò.
«Come vedi, sono stato il suo canarino, come avevo promesso. Il fenomeno, di qualunque cosa si sia trattato, ha colpito prima me.» Dopo di che, Genarr si fece serio. Non era il momento di scherzare. «Eugenia… non so proprio come giustificarmi. Innanzitutto non stavo osservando Marlene, e poi ero troppo paralizzato dall’orrore per intervenire. Ho fallito completamente, e dire che ti avevo assicurato che non ci sarebbero stati problemi, che avrei badato io a Marlene. Francamente, non ho scuse.»
Eugenia stava scuotendo la testa. «No, Siever. Non è stata colpa tua. Sono contenta che ti abbia riportato alla Cupola.»
«Non è stata colpa mia?» Genarr era frastornato. Certo che era stata colpa sua.
«No, assolutamente. C’è qualcosa di molto peggiore del gesto sciocco di Marlene o della tua incapacità di reagire… molto peggiore, ne sono certa.»
Genarr raggelò. Qualcosa di molto peggiore? E cosa? «Cosa stai cercando di dirmi?»
Si girò verso di lei, scoprendosi, lasciando penzolare le gambe dal letto. Poi, quando si accorse di avere le gambe nude e di non essere per nulla presentabile in camicia da notte, si affrettò ad avvolgersi nella coperta leggera.
«Eugenia, siediti e dimmi tutto, per favore. Marlene sta bene? Mi stai nascondendo qualcosa?»
Eugenia si sedette e guardò Genarr seria. «Sta bene, dicono. L’analisi cerebrale è normalissima. Stando a quelli che sono al corrente dell’esistenza del Morbo, non c’è nessun sintomo.»
«Be’, allora perché te ne stai lì con quella faccia, come se fosse la fine del mondo?»
«Penso che sia la fine del mondo, Siever… di questo mondo.»
«Che significa?»
«Non so spiegarlo. Non riesco a trovare un filo logico. Devi parlare con Marlene per capire. Proseguirà per la sua strada, Siever. Non è turbata per quel che ha fatto. Sostiene di non potere esplorare Eritro nella maniera giusta con la tutaE addosso… di non poterlo sentire bene, per usare la sua espressione… quindi non ha più intenzione di mettere la tuta.»