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Fisher arrossì. «Perché devo aver parlato con qualcuno? Non posso arrivare a delle conclusioni da solo? Anche se non capisco la fisica teorica come te, non significa che sia subnormale o stupido.»

«No, Crile, non ho mai pensato una cosa del genere, né intendevo insinuarla. Dimmi cosa pensi a proposito di Rotor.»

«Nulla di trascendentale. Penso semplicemente che nello spazio vuoto in pratica non c’è nulla che possa avere distrutto Rotor. Facile dire che adesso Rotor potrebbe essere solo un relitto, ammesso che abbia raggiunto la Stella Vicina, ma cosa dovrebbe averlo distrutto durante il viaggio o una volta a destinazione? Prova a descrivermi la catastrofe. Quale sarebbe stata la causa? Una collisione… un’intelligenza aliena…? Sentiamo.»

«Crile, mi chiedi una cosa impossibile. Non ho nessuna visione mistica. Io mi baso soltanto sull’iperassistenza. È una tecnica rischiosa, delicata, credimi. Non usa in modo costante né lo spazio né l’iperspazio, ma si mantiene sull’interfaccia oscillando da una parte o dall’altra per brevi periodi, passando dallo spazio all’iperspazio e viceversa parecchie volte al minuto, forse. Quindi può darsi che questo tipo di passaggio sia avvenuto un milione di volte, o più, durante il viaggio dal Sistema Solare alla Stella Vicina.»

«E allora?»

«E allora, si da il caso che la transizione sia molto più pericolosa del volo costante nello spazio o nell’iperspazio. Non so fino a che punto i rotoriani avessero approfondito la teoria iperspaziale… non molto, probabilmente, altrimenti sarebbero arrivati senza dubbio al vero volo ultraluce. Nel nostro progetto, in cui abbiamo elaborato dettagliatamente la teoria iperspaziale, siamo riusciti a stabilire l’effetto del passaggio dallo spazio all’iperspazio e viceversa sui corpi.

"Se un oggetto è un punto, durante la transizione non è sottoposto ad alcuna tensione. Se un oggetto non è un punto, però, se è un un blocco di materia, come una nave, per un certo periodo di tempo una parte dell’oggetto si trova nello spazio e una parte nell’iperspazio, sempre. Questo crea una tensione, e l’intensità della tensione dipende dalle dimensioni dell’oggetto, dalla sua costituzione fisica, dalla velocità di transizione, eccetera eccetera. Anche per un oggetto delle dimensioni di Rotor, una sola transizione, o una dozzina se è per questo, non è pericolosa… il pericolo è talmente piccolo da essere trascurabile.

"Quando l’Ultraluce viaggerà verso la Stella Vicina, forse effettueremo una dozzina di transizioni, o forse appena un paio. Sarà un volo sicuro. In un volo iperassistito e basta, invece, le transizioni nel corso dello stesso viaggio possono essere un milione, e le probabilità di una tensione fatale aumentano.»

Fisher parve sgomento. «È una cosa certa?»

«No, non c’è nulla di certo. Siamo nel campo statistico. Una nave potrebbe compiere un milione di transizioni, o un miliardo, senza il minimo danno. D’altra parte, potrebbe essere distrutta alla prima transizione. Comunque, con l’aumento del numero di transizioni, le probabilità che si verifichi un incidente aumentano notevolmente. Secondo me, i rotoriani hanno affrontato il viaggio ignorando perlopiù i pericoli della transizione. Se avessero avuto una conoscenza più approfondita, non sarebbero mai partiti. Dunque, è molto probabile che abbiano sperimentato direttamente gli effetti di questa tensione… una tensione abbastanza debole da consentirgli di trascinarsi a stento fino alla stella, forse… o forse abbastanza forte da disintegrarli. Perciò, potremmo trovare un relitto, o nemmeno quello.»

«O una Colonia ancora in vita» disse Fisher, ribellandosi.

«Certo» ammise Tessa Wendel. «Oppure, contrariamente alle probabilità, la tensione potrebbe distruggerci, e in tal caso non scopriremmo nulla. Ti chiedo solo di non basarti su delle certezze, bensì su delle probabilità. E ricorda che per arrivare a delle conclusioni ragionevoli bisogna conoscere bene la teoria iperspaziale.»

Fisher rimase in silenzio, chiaramente depresso, mentre Tessa lo osservava inquieta.

LXII

La Stazione Quattro era un ambiente strano per Tessa Wendel. Era come se qualcuno avesse costruito una minuscola Colonia per servirsene unicamente come laboratorio, osservatorio e piattaforma di lancio. Non c’erano fattorie, non c’erano abitazioni, mancavano tutti gli impianti e le attrezzature di una vera Colonia, per quanto piccola. Mancava perfino una rotazione attorno al proprio asse che creasse un campo pseudogravitazionale adeguato.

Non era altro che un’astronave affetta da acromegalia. Anche se avrebbe potuto essere occupata permanentemente, a patto che ci fosse un rifornimento continuo di cibo, aria e acqua (il sistema di riciclaggio locale era limitato e inefficiente), era chiaro che nessun individuo avrebbe resistito a lungo lì.

La Quattro sembrava una vecchia stazione costruita agli inizi dell’Era Spaziale e sopravvissuta inspiegabilmente fino al ventitreesimo secolo, era stato il commento amaro di Crile Fisher.

Aveva però una particolarità unica. Offriva una vista panoramica del sistema TerraLuna. Dalle Colonie in orbita attorno alla Terra, era raro riuscire ad avere una visione d’insieme dei due corpi celesti. Dalla Stazione Quattro, invece, la Terra e la Luna non erano mai separate da più di quindici gradi, e via via che la Stazione Quattro ruotava attorno al centro di gravità di quel sistema (che corrispondeva grosso modo alla Terra) il cambiamento di posizione e di fase dei due mondi, e il cambiamento di dimensioni della Luna (che dipendeva dalla posizione in cui veniva a trovarsi il satellite rispetto al pianeta), costituiva uno spettacolo che non cessava mai di affascinare.

Il Sole era escluso automaticamente dal sistema Ecart (Tessa dovette informarsi e scoprì che Ecart stava per "Eclisse artificiale"), e solo quando si avvicinava troppo alla Terra o alla Luna nel cielo della stazione guastava la visuale.

Ora il retroterra culturale coloniale di Tessa Wendel affiorava interamente, infatti le piaceva osservare le evoluzioni della Terra e della Luna, soprattutto perché significava che lei non era più sulla Terra.

Lo disse a Crile, che sorrise arcigno. Crile aveva notato il modo in cui lei si era guardata rapidamente attorno mentre parlava.

«Vedo che a me lo dici tranquillamente, anche se sono un terrestre e potrei offendermi» commentò. «Ma, non temere, non andrò a raccontarlo agli altri.»

«Oh, di te mi fido fino in fondo, Crile.» Tessa gli sorrise felice. Era cambiato parecchio da quella conversazione cruciale. D’accordo, era più cupo… ma meglio la cupezza dell’attesa febbrile di un evento irrealizzabile.

«Pensi davvero che a questo punto il fatto che tu sia una colona li irriti?» chiese Crile.

«Certo. Non lo dimenticano mai. Hanno una mentalità ristretta come la mia… infatti non dimentico mai che sono terrestri.»

«Evidentemente, dimentichi che io sono terrestre.»

«Perché sei Crile… Crile e basta… non c’è nessun’altra categoria per te. E io sono Tessa. E il discorso si chiude qui.»

«Hai elaborato il volo ultraluce per la Terra, invece che per Adelia, la tua Colonia. Non ti da fastidio?» chiese Crile pensieroso.

«Ma non l’ho fatto per la Terra, come non lo avrei fatto per Adelia in circostanze diverse. L’ho fatto per me. Avevo un problema da risolvere, e ci sono riuscita. Adesso passerò alla storia come l’inventrice del volo ultraluce… ecco cos’ho fatto per me. E anche se potrà sembrare pretenzioso, lo faccio anche per l’umanità. Sai, il luogo d’origine di una scoperta non ha importanza. Su Rotor qualcuno ha inventato l’iperassistenza, però adesso l’abbiamo anche noi e tutte le Colonie. Alla fine, anche le Colonie avranno il volo ultraluce. Il progresso giova sempre a tutta l’umanità, indipendentemente dal posto in cui si è compiuto il passo avanti.»