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Solo in seguito, quando Ranay D’Aubisson fu uscita per tornare nel proprio appartamento rotoriano, la risolutezza ferrea di Janus Pitt gli permise di considerarsi il nemico giurato di Marlene Fisher. Perché la vittoria fosse autentica, Marlene doveva essere distrutta e il Morbo doveva rimanere un mistero insoluto. In un colpo solo, Pitt si sarebbe sbarazzato di una ragazza scomoda che altrimenti, un giorno, avrebbe potuto generare delle creature come lei; e di un mondo scomodo che altrimenti, un giorno, avrebbe potuto generare una popolazione indesiderabile, dipendente e immobile come la popolazione della Terra.

LXIV

Sedevano insieme nella Cupola: Siever Genarr attento, Eugenia Insigna preoccupatissima, e Marlene Fisher visibilmente impaziente.

Eugenia disse: «Ricorda, Marlene… non fissare Nemesis. Lo so che ti hanno avvisata della pericolosità degli infrarossi, ma il fatto è che Nemesis è anche una stella della classe UV Ceti, una variabile a brillamenti. Di tanto in tanto c’è un’eruzione sulla sua superficie, e un’esplosione di luce bianca. Dura appena un paio di minuti, ma è sufficiente a provocare uno shock alla retina, ed è un fenomeno che può verificarsi in qualsiasi istante.»

«Gli astronomi non sono in grado di prevederlo?» chiese Genarr.

«Finora, no. È uno dei molti aspetti caotici della natura. Non abbiamo ancora decifrato le leggi che stanno alla base della turbolenza stellare, e secondo alcuni non riusciremo mai a decifrarle del tutto. Sono troppo complèsse.»

«Interessante» osservò Genarr.

«Non che le esplosioni non siano gradite. Il tre per cento dell’energia che Eritro riceve da Nemesis proviene da quelle esplosioni.»

«Non sembra granché.»

«È importante, però. Senza le esplosioni, Eritro sarebbe un mondo gelido, e sarebbe molto meno facile vivere qui. Sono un problema per Rotor, che ogni volta che si verifica un’esplosione deve regolare in fretta il carico di luce solare che utilizza e intensificare il campo d’assorbimento delle particelle.»

Marlene, che stava guardando i due adulti mentre conversavano, intervenne finalmente con una nota di esasperazione. «Avete intenzione di continuare per un pezzo? Lo fate solo per tenermi qui. Lo capisco benissimo.»

«Dove andrai, una volta fuori?» chiese Eugenia.

«In giro. Al fiume, o ruscello… o quello che è.»

«Perché?»

«Perché è interessante… dell’acqua che scorre all’aperto, e non si vede l’inizio né la fine, e sai che non viene pompata indietro…»

«Sì, invece… dal calore di Nemesis» precisò Eugenia.

«Questo non conta. Voglio dire che non sono degli esseri umani a farlo. Voglio stare là, a guardarla scorrere.»

«Non berla» disse la madre, severa.

«Non ho nessuna intenzione di berla. Posso resistere un’ora senza bere. Se avrò fame, o sete, o… qualsiasi altro bisogno… rientrerò. Stai facendo tanto rumore per nulla.»

Genarr sorrise. «Immagino che tu voglia riciclare tutto qui nella Cupola.»

«Sì, certo. Logico, no?»

Il sorriso di Genarr si allargò. «Sai, Eugenia, penso proprio che la vita sulle Colonie abbia cambiato per sempre l’umanità. Adesso la necessità di riciclare è ben radicata in noi. Sulla Terra, le cose si gettavano semplicemente, dando per scontato un riciclaggio naturale, che a volte, ovvio, non avveniva.»

«Genarr, sei un sognatore» disse Eugenia. «Può darsi che gli esseri umani imparino le buone abitudini sotto pressione, ma attenua la pressione e vedrai che le cattive abitudini si rifaranno vive subito. È più facile andare in discesa che in salita. È il secondo principio della termodinamica. E se dovessimo colonizzare Eritro, prevedo già che lo riempiremo di rifiuti in men che non si dica.»

«No, non lo faremo» disse Marlene.

«Perché no, cara?» chiese con garbo Genarr.

«Perché no» fu la risposta insofferente della ragazza. «Adesso posso uscire?»

Genarr guardò Eugenia. «Be’, lasciamola andare, a questo punto. Non possiamo trattenerla in eterno. E poi, per quel che vale, Ranay D’Aubisson, che è appena tornata da Rotor, ha esaminato tutti i dati raccolti fin dall’inizio e ieri mi ha detto che l’analisi cerebrale di Marlene sembra così stabile che è convinta che a Marlene non accadrà nulla di spiacevole su Eritro.»

Marlene, che si era girata verso la porta, pronta a raggiungere la camera stagna, tornò a voltarsi. «Aspetta, zio Siever… quasi me ne dimenticavo. Devi stare attento alla dottoressa D’Aubisson.»

«Perché? È un ottimo neurofisico.»

«Non mi riferivo a questo. Era contenta quando stavi male dopo l’escursione all’esterno, ed era piuttosto delusa quando ti sei ripreso.»

Eugenia parve sorpresa e chiese automaticamente: «Perché dici questo?»

«Perché lo so.»

«Ma… non capisco. Siever, non vai d’accordo con la D’Aubisson?»

«Certo. Andiamo perfettamente d’accordo. Mai una parola rabbiosa. Ma se Marlene dice che…»

«Marlene potrebbe sbagliarsi, no?»

E Marlene intervenne subito. «Ma non mi sbaglio.»

«Non ne dubito, Marlene» disse Genarr. E rivolto a Eugenia: «La D’Aubisson è una donna ambiziosa. Se dovesse succedermi qualcosa, a rigor di logica dovrebbe essere lei il mio successore. Ha molta esperienza, e sicuramente saprà affrontare la situazione nel migliore dei modi se il Morbo scoppierà ancora. Inoltre, è più anziana di me, e forse pensa di non avere più molto tempo da perdere. Se era ansiosa di prendere il mio posto, se si è rallegrata un po’ quando stavo male, in fondo posso capirla. Può darsi che non si renda nemmeno conto di provare questi sentimenti».

«Se ne rende conto, invece. Benissimo» disse Marlene, sinistra. «Stai in guardia, zio Siever.»

«Va bene. Sei pronta, adesso?»

«Certo.»

«Allora, lascia che ti accompagni alla camera d’equilibrio. Vieni con noi Eugenia, e cerca di non fare quella faccia da funerale.»

Così, per la prima volta, Marlene uscì sulla superficie di Entro sola e senza alcuna protezione. Erano le 21,20 del 15 gennaio 2237, ora standard terrestre. Era metà mattina, su Eritro.

30 Transizione

LXV

Crile Fisher si sforzò di reprimere la propria eccitazione, cercò di mantenere la stessa espressione calma degli altri.

Non sapeva dove fosse Tessa Wendel in quel momento. Non poteva essere lontana, perché l’Ultraluce era abbastanza piccola… però gli scompartimenti della nave erano disposti in maniera tale che due persone potevano benissimo non vedersi.

Gli altri tre membri dell’equipaggio erano semplici paia di mani per Fisher. Ognuno di loro aveva un compito da svolgere, e lo stava svolgendo. Solo Fisher non aveva un compito specifico… a parte quello di stare attento a non intralciare gli altri, forse.

Guardò i tre compagni (due uomini e una donna) in modo quasi furtivo. Li conosceva abbastanza, e aveva parlato spesso con loro. Erano tutti giovani. Il più anziano era ChaoLi Wu, trentotto anni, tecnico iperspaziale. C’erano poi Henry Jarlow, trentacinque anni, e Merry Blankowitz, la più giovane del gruppo, ventisette anni e fresca di laurea.

Tessa Wendel, coi suoi cinquantacinque anni, era vecchissima rispetto agli altri, però era l’inventrice, la progettista, la semidea del volo.

Era Fisher quello in soprannumero, che non c’entrava. Tra non molto avrebbe compiuto cinquant’anni, e non aveva nessuna specializzazione. In base all’età o al bagaglio di conoscenze, non aveva il diritto di trovarsi a bordo.