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Ma era stato su Rotor. E questo contava. E Tessa Wendel lo voleva con sé, e questo contava ancor di più. E anche Tanayama e Koropatsky volevano che partisse, il che contava più di qualsiasi altra cosa.

La nave stava avanzando pesantemente nello spazio. Fisher lo sapeva, anche se non c’era nessun segno concreto che lo indicasse. Era qualcosa che Fisher sentiva, a livello viscerale. Pensò rabbioso: "Sono stato nello spazio molto più a lungo di tutti gli altri messi assieme, più volte, su più navi. Io capisco subito che questa nave non è agile, scattante, elegante. Lo sento. Loro, no!"

L’Ultraluce doveva fare a meno di certe caratteristiche. I normali propulsori che spingevano le astronavi normali attraverso il vuoto erano ridotti, limitati, sull’Ultraluce. Inevitabile, perché la maggior parte della nave era occupata dai motori iperspaziali.

Tessa apparve all’improvviso, i capelli un po’ scarmigliati, leggermente sudata.

«Tutto bene, Tessa?» chiese Fisher.

«Oh, sì.» Tessa appoggiò il posteriore a uno dei comodi avvallamenti della parete (molto utili, considerata la bassa pseudogravità mantenuta a bordo). «Nessun problema.»

«Quando entreremo nell’iperspazio?»

«Tra poche ore. Vogliamo raggiungere le coordinate giuste, in modo che tutte le sorgenti gravitazionali distorgano lo spazio come calcolato.»

«Per poterne tener conto esattamente?»

«Appunto.»

«Allora il volo iperspaziale non sembra molto pratico. E se non sai dov’è ogni cosa? Se hai fretta e non puoi fermarti a calcolare ogni contrazione gravitazionale?»

Tessa guardò Fisher e all’improvviso sorrise. «Non mi hai mai chiesto niente del genere, prima. Perché adesso me lo chiedi?»

«Perché è la prima volta che faccio un viaggio iperspaziale. Date le circostanze, è un interrogativo che sorge spontaneo con la massima urgenza.»

«Sono anni che mi trovo di fronte a interrogativi di questo tipo. Benvenuto nel club.»

«Rispondimi.»

«Volentieri. In primo luogo, ci sono delle apparecchiature che misurano l’intensità gravitazionale complessiva, considerata nei suoi aspetti scalari e tensoriali, in qualsiasi punto dello spazio, anche se non si conosce la zona in cui ci si trova. Il risultato non è precisissimo, sarebbe più preciso se si misurassero minuziosamente tutte le sorgenti gravitazionali facendo poi la somma… ma è abbastanza preciso, se il tempo è prezioso. E se il tempo è ancor più prezioso e, per così dire, devi premere il pulsante dell’iperspazio sperando che la gravità non sia molto rilevante, e per caso ti sbagli leggermente, allora la transizione sarà seguita da qualcosa equivalente grosso modo a uno scossone… come varcare una soglia inciampando con la punta della scarpa. Se possiamo evitarlo, benissimo, ma in caso contrario non è detto che debba essere per forza una cosa fatale. Naturalmente, trattandosi della prima transizione, ci piacerebbe che avvenisse nel modo più dolce possibile, per motivi psicologici… se non altro.»

«E se hai fretta, pensi che la gravità sia trascurabile, e invece non è così?»

«Devi augurarti che non accada.»

«Hai parlato di tensioni durante la transizione. Questo significa che la nostra prima transizione potrebbe essere fatale, anche tenendo conto della gravità.»

«Potrebbe. Ma le probabilità che si verifichi un incidente fatale in una transizione sono bassissime.»

«Anche se non fosse fatale, potrebbe essere spiacevole, no?»

«È più difficile rispondere a questa domanda, perché in questo caso si tratta di esprimere un giudizio soggettivo. Devi renderti conto che non c’è accelerazione. Con l’iperassistenza, una nave deve raggiungere la velocità della luce, e perfino superarla per certi periodi, usando un campo iperspaziale a bassa energia. Il rendimento è basso, le velocità sono alte, i rischi notevoli, e francamente non so quali possano essere i disagi. Col volo ultraluce, usando un campo iperspaziale ad alta energia, noi compiamo la transizione a velocità normali. Magari viaggiamo a una velocità di mille chilometri al secondo, e un attimo dopo filiamo a mille milioni di chilometri al secondo senza accelerazione. E dato che non c’è accelerazione, non la sentiamo.»

«Com’è possibile che non ci sia accelerazione se la velocità aumenta in un attimo di un milione di volte?»

«Perché la transizione è l’equivalente matematico dell’accelerazione. Tuttavia, mentre il corpo umano reagisce all’accelerazione, non reagisce alla transizione.»

«Ma come si fa a stabilirlo?»

«Inviando degli animali nell’iperspazio da un punto a un altro punto. Sono nell’iperspazio solo per una frazione di microsecondo, ma è la transizione spazioiperspazio che ci interessa, e questa transizione avviene in entrambe le direzioni anche per un passaggio brevissimo nell’iperspazio.»

«E avete provato con gli animali?»

«Certo. Arrivati a destinazione, non potevano raccontarci le loro impressioni, però erano illesi, tranquilli. Chiaramente non avevano subito alcun danno. Abbiamo provato con decine di animali di ogni genere. Perfino con le scimmie, e sono sopravvissute tutte benissimo… a parte un caso.»

«Ah! E in quell’unico caso, cos’è successo?»

«L’animale era morto, mutilato in modo… grottesco. Ma l’incidente è stato provocato da un errore di programmazione. Non è stata la transizione. E qualcosa del genere può accadere anche a noi. È improbabile, però è possibile. Equivarrebbe a varcare una soglia, inciampare, cadere e rompersi il collo. Sono cose che capitano, però non ci aspettiamo che capitino tutte le volte che varchiamo una soglia. Va bene?»

«Non ho scelta, immagino» osservò Fisher, torvo. «Va bene.»

Due ore e ventisette minuti dopo, la nave passò indenne nell’iperspazio, senza che i membri dell’equipaggio avvertissero nulla, e il primo volo ultraluce a velocità molto superiori a quella della luce ebbe luogo.

La transizione avvenne alle 21,20 del 15 gennaio 2237, ora standard terrestre.

31 Nome

LXVI

Silenzio!

A Marlene piaceva moltissimo… soprattutto perché poteva romperlo se solo lo desiderava. Si chinò a raccogliere un sassolino e lo gettò contro una roccia. Un lieve tonfo, poi il sassolino cadde sul terreno e si fermò.

Poiché aveva lasciato la Cupola con gli indumenti che avrebbe indossato su Rotor, era perfettamente libera.

Si era allontanata dalla Cupola avviandosi direttamente verso il ruscello, senza nemmeno soffermarsi a controllare i punti di riferimento.

Le ultime parole di sua madre erano state una implorazione piuttosto debole… «Ti prego, Marlene, ricorda che hai detto che rimarrai in vista della Cupola.»

Marlene aveva sorriso un istante, ma non aveva prestato attenzione. Forse sarebbe rimasta nei paraggi, o forse no. Non intendeva lasciarsi imporre restrizioni, indipendentemente dalle promesse che era stata costretta a fare per il quieto vivere. In fin dei conti, aveva con sé un ricetrasmettitore di segnali. Avrebbero potuto localizzarla in qualsiasi momento. E lei avrebbe potuto servirsi dell’apparecchio per individuare la direzione della Cupola.

Se avesse avuto un incidente, se fosse caduta o si fosse fatta male in qualche modo, avrebbero potuto soccorrerla.

Se l’avesse colpita un meteorite… be’, sarebbe morta. Non ci sarebbe stato nulla da fare, anche se fosse stata vicino alla Cupola. Anche col pensiero inquietante dei meteoriti, era tutto così meraviglioso e tranquillo su Eritro.

Su Rotor, sempre rumore.

Dovunque si andasse, l’aria vibrava di onde sonore che martellavano i timpani stanchi. Sulla Terra doveva essere anche peggio… otto miliardi di esseri umani, trilioni di animali, tempeste, scrosci d’acqua dal mare e dal cielo. Una volta aveva provato ad ascoltare una registrazione intitolata Rumori della Terra, era trasalita, e si era stancata quasi subito.