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Ma lì su Eritro c’era un silenzio meraviglioso.

Giunse al ruscello. L’acqua le scorreva accanto gorgogliando. Marlene raccolse un ciottolo dentellato e lo gettò nell’acqua, e si sentì un tonfo leggero. I suoni non erano proibiti su Eritro; erano semplicemente distribuiti con parsimonia come ornamenti occasionali che servivano a rendere più prezioso il silenzio circostante.

Batté il piede sul fondo argilloso della sponda. Di nuovo un lieve tonfo, e un’impronta vaga. Si chinò, chiuse la mano a coppa, prese un po’ d’acqua, e la versò sul terreno di fronte a sé. Il terreno si inumidì e diventò più scuro in certi punti… chiazze cremisi sullo sfondo rosa. Versò altra acqua, poi premette il piede destro con forza. Quando alzò la scarpa, c’era un’impronta più profonda.

C’erano delle rocce sparse qua e là nel ruscello, e Marlene le usò come appoggi per guadare.

Quindi proseguì, camminando spedita, dondolando le braccia, respirando a fondo. Sapeva che lì la percentuale di ossigeno era più bassa rispetto a Rotor. Se avesse corso, si sarebbe stancata in fretta, ma non aveva nessuna voglia di correre.

Correndo, non avrebbe potuto gustare con calma il suo mondo.

Voleva guardare ogni cosa!

Si voltò. La Cupola era ancora visibile, soprattutto la bolla che ospitava gli strumenti astronomici. Marlene si irritò. Non era abbastanza lontana. Voleva poter girare su se stessa e vedere l’orizzonte come un cerchio perfetto anche se irregolare, ininterrotto, senza alcun segno della presenza umana (a parte lei).

Doveva chiamare la Cupola? Dire a sua madre che sarebbe sparita per un po’? No, avrebbero solo litigato. Tanto, ricevevano la sua portante, e avrebbero capito che era viva, stava bene, e si stava muovendo nella zona. Se l’avessero chiamata, li avrebbe ignorati, decise Marlene. Oh, sì! Dovevano lasciarla in pace.

I suoi occhi si stavano abituando al rosa di Nemesis e del terreno tutt’intorno. Non era solo rosa. C’erano cento sfumature… porpora, arancione, quasi giallo in certi punti. Col tempo, con il progressivo adattamento, quel mondo sarebbe diventato una nuova tavolozza di colori per Marlene, variegata come Rotor, ma più riposante.

Cosa sarebbe successo se un giorno gli uomini si fossero insediati su Eritro, introducendo la vita, costruendo città? Lo avrebbero rovinato? O avrebbero tenuto presente l’esempio della Terra e si sarebbero comportati in modo diverso, prendendo quel mondo intatto e trasformandolo in qualcosa che si avvicinasse al loro ideale, ai loro desideri?

Ai desideri di chi?

Ecco il problema. Non tutti avrebbero avuto le stesse idee, e avrebbero litigato, perseguendo fini inconciliabili. Sarebbe stato meglio che Eritro rimanesse deserto?

Ma sarebbe stato giusto, dal momento che gli uomini avrebbero potuto goderselo tanto? Marlene non voleva lasciarlo, questo era certo. Su Eritro provava un senso di calore. Non sapeva perché, ma si sentiva più a suo agio lì che su Rotor.

Era qualche vago ricordo atavico della Terra? I suoi geni sentivano il richiamo di un mondo enorme e sterminato, un desiderio intenso che una minuscola città artificiale che ruotava nello spazio non poteva soddisfare? Com’era possibile? La Terra era diversissima da Eritro a parte le dimensioni. E se la Terra era nei suoi geni, perché non era nei geni di ogni essere umano?

Ma una spiegazione doveva esserci. Marlene scosse la testa quasi volesse liberarsi la mente, e prese a volteggiare come se si trovasse in mezzo a uno spazio infinito. Strano che Eritro non sembrasse spoglio, sterile. Su Rotor, si vedevano acri di cereali e frutteti, una caligine verde e ambra, e l’irregolarità rettilinea delle strutture umane. Lì su Eritro, invece, si vedeva soltanto il terreno ondulato, disseminato di rocce di ogni dimensione che sembravano sparse alla rinfusa da qualche mano gigantesca… strane forme cupe e silenziose, e in mezzo e attorno scorrevano rigagnoli e ruscelletti. E non c’era vita, se si escludevano le miriadi di minuscole cellule simili a germi che rifornivano l’atmosfera di ossigeno grazie all’energia della luce rossa di Nemesis.

E Nemesis, come qualsiasi nana rossa, avrebbe continuato a emettere la propria energia con parsimonia per un paio di centinaia di miliardi di anni, facendo in modo che Eritro e i suoi piccoli procarioti rimanessero al caldo e tranquilli durante tutto quel periodo. Il Sole della Terra e altre stelle luminose ancor più giovani sarebbero morte, ma Nemesis avrebbe continuato a brillare immutata, Eritro avrebbe ruotato intorno a Megas immutato, e anche l’esistenza dei procarioti sarebbe andata avanti fondamentalmente immutata.

Gli esseri umani non avevano il diritto di scendere su quel mondo immutato e di cambiarlo. Però se fosse stata sola su Eritro, Marlene avrebbe avuto bisogno di cibo… e di compagnia.

Poteva tornare alla Cupola di tanto in tanto, per le provviste, o per soddisfare il suo bisogno di contatti umani, continuando però a trascorrere la maggior parte del tempo sola con Eritro. Ma gli altri non l’avrebbero seguita? Come poteva impedirglielo? E anche se fossero stati in pochi, non avrebbero rovinato l’eden? Non lo stava già rovinando lei… anche lei da sola?

«No!» gridò Marlene. Gridò perché era smaniosa di vedere se sarebbe riuscita a far vibrare l’atmosfera aliena e a costringerla a trasmetterle delle parole.

Sentì la propria voce, ma il terreno piatto soffocò qualsiasi eco. Il grido si spense non appena fu uscito dalle sue labbra.

Marlene ruotò ancora su se stessa. La Cupola era un’ombra indistinta all’orizzonte. Si poteva quasi ignorarla… quasi. Marlene non voleva vederla affatto. Voleva vedere solo se stessa ed Eritro.

Udì il lieve sospiro del vento, e capì che stava soffiando più forte. Non abbastanza forte da sentirsi. E la temperatura non era scesa, né era sgradevole.

Solo un lieve "Ahhhhh…"

Marlene lo imitò allegra. «Ahhhhhh…»

Alzò lo sguardo al cielo, incuriosita. Le previsioni del tempo avevano detto che la giornata sarebbe stata serena. Era possibile che su Eritro scoppiassero all’improvviso dei temporali? Il vento sarebbe aumentato sempre più, fino a diventare sferzante? Le nubi sarebbero sfrecciate nel cielo, e sarebbe scesa la pioggia prima che lei potesse tornare alla Cupola?

Che sciocchezza! Un pensiero sciocco come quello dei meteoriti. Certo che pioveva su Eritro, ma adesso c’erano soltanto alcune nuvolette rosa sopra di lei. Si muovevano pigre sullo sfondo scuro e sgombro del cielo. Sembrava che non ci fosse nessun temporale in vista.

«Ahhhhh» mormorò il vento. «Ahhhhh eeeee…»

Un doppio suono. Marlene corrugò la fronte. Cosa poteva produrre quel suono? Il vento da solo, no di certo. Avrebbe dovuto incontrare un ostacolo e superarlo per modulare il proprio sibilo. E lì attorno non c’erano ostacoli.

«Ahhhhh eeeee ehhhh…»

Un triplo suono, adesso. Con l’accento sul secondo suono.

Marlene si guardò intorno, perplessa. Non capiva da dove provenisse. Se si sentiva quel suono, doveva esserci qualcosa che vibrava, eppure lei non vedeva nulla, non percepiva nulla.

Eritro sembrava deserto e silenzioso. Non poteva produrre alcun suono.

«Ahhhhh eeeee ehhhh…»

Di nuovo. Più chiaro. Aveva l’impressione che fosse nella sua testa, e a quel pensiero ebbe un tuffo al cuore, rabbrividì. Le venne la pelle d’oca, sulle braccia… se ne accorse senza bisogno di guardare.

No, la sua testa non poteva avere nulla che non andasse. Nulla!

Rimase in attesa, ed eccolo di nuovo. Più forte. Ancor più chiaro. Il tono più deciso, tutt’a un tratto… come se stesse imparando e migliorando.

Imparando? Imparando, cosa?

E a malincuore, molto a malincuore, Marlene pensò: "È come se qualcuno incapace di pronunciare le consonanti stesse cercando di pronunciare il mio nome…"