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Come avesse fatto Crile a ottenere il permesso di andare su Rotor, era un mistero. Eugenia non lo sapeva, e non lo aveva mai scoperto.

Le norme che regolavano l’immigrazione erano rigide. Quando una Colonia raggiungeva un numero di abitanti considerevole, si poneva un freno all’immigrazione; in primo luogo, perché i mezzi di sostentamento erano limitati, quindi la popolazione non doveva superare certi limiti se non si volevano creare dei disagi; in secondo luogo, perché si cercava disperatamente di mantenere stabile l’equilibrio ecologico. La gente che veniva dalla Terra (o anche da altre Colonie) per affari importanti doveva sottoporsi a noiose procedure di decontaminazione, stare in isolamento per un certo periodo, e ripartire volente o nolente il più presto possibile.

Eppure, Crile il terrestre era lì. Una volta si era lamentato delle settimane di attesa che rientravano nella fase di decontaminazione, e di fronte alla sua perseveranza lei aveva provato un senso di contentezza e di compiacimento. Chiaramente, Crile doveva desiderarla moltissimo se aveva accettato quella situazione.

Ma, a volte, sembrava chiuso e distratto, e lei si chiedeva cosa lo avesse spinto veramente a superare tanti ostacoli per arrivare su Rotor. Forse la forza motivante non era stata lei, bensì il bisogno di fuggire dalla Terra. Aveva commesso un crimine? Si era fatto un nemico mortale? Aveva abbandonato una donna di cui si era stancato? Eugenia non aveva mai osato chiederglielo.

E lui non aveva mai detto nulla.

Anche se gli avevano consentito l’accesso su Rotor, rimaneva il problema della durata della sua permanenza. L’Ufficio Immigrazione avrebbe dovuto rilasciare un permesso speciale perché lui diventasse un cittadino effettivo di Rotor, e, in circostanze normali, questo era poco probabile.

Per Eugenia, tutte le cose che rendevano Crile Fisher inaccettabile agli occhi dei rotoriani rappresentavano motivi ulteriori di fascino. Il fatto che fosse nato sulla Terra, secondo lei, gli conferiva una diversità, una carica di seduzione. I veri rotoriani inevitabilmente lo avrebbero disprezzato, considerandolo uno straniero, cittadinanza o no… ma Eugenia trovava che perfino questo particolare fosse fonte di eccitazione erotica. Avrebbe lottato per lui, e avrebbe trionfato, contro un mondo ostile.

Quando Crile aveva cercato un lavoro che gli consentisse di guadagnare del denaro e di occupare una nicchia nella nuova società, era stata lei a fargli notare che, se avesse sposato una rotoriana, rotoriana da tre generazioni, quel matrimonio sarebbe stato un notevole incentivo per la concessione della cittadinanza da parte dell’Ufficio Immigrazione.

Crile era parso sorpreso, come se finora non avesse pensato a quella possibilità, poi la sorpresa era diventata felicità. Eugenia era rimasta un po’ delusa. Sarebbe stato molto più lusinghiero sposarsi per amore, non per ottenere la cittadinanza… "Be’, se questo è necessario…" aveva pensato poi.

Così, dopo il tipico lungo fidanzamento rotoriano, si erano sposati.

La vita era continuata senza grandi cambiamenti. Crile non era un amante appassionato, ma non lo era nemmeno prima del matrimonio. Le aveva offerto un affetto distratto, un calore occasionale, e lei era quasi felice, arrivava quasi a toccarla, la felicità, anche se non vi si immergeva mai completamente. Crile non era mai volutamente crudele o cattivo, e aveva rinunciato al suo mondo per lei, aveva sopportato parecchi disagi per stare con lei. Erano senza dubbio punti a suo favore, ed Eugenia li considerava tali.

Anche ottenuta la cittadinanza, che gli era stata concessa dopo il matrimonio, nell’animo di Crile era rimasto un fondo di insoddisfazione. Eugenia se ne rendeva conto e in parte lo comprendeva. Aveva la cittadinanza, d’accordo, però non era un vero rotoriano indigeno, e molte delle attività più interessanti su Rotor gli erano precluse. Eugenia non sapeva che tipo di istruzione avesse ricevuto, perché lui non ne parlava mai. Non sembrava incolto, e non c’era nulla di male nell’essere autodidatti, ma Eugenia sapeva che sulla Terra, a differenza delle Colonie, la gente non considerava l’istruzione superiore qualcosa di scontato.

Quel pensiero la turbava. La provenienza terrestre di Crile Fisher non era un problema per lei, ed era disposta ad affrontare gli amici e i colleghi su questo punto. Ma se Crile fosse stato un terrestre incolto, sarebbe riuscita ad accettarlo? Non lo sapeva.

La questione non era mai sorta, però, e, quando lei parlava del proprio lavoro alla Sonda Remota, Crile ascoltava paziente. Eugenia non aveva mai saggiato il suo livello di istruzione discutendo dei dettagli tecnici, naturalmente. Tuttavia, a volte, lui faceva delle domande o delle osservazioni a quel riguardo, e lei le apprezzava, perché riusciva sempre a convincersi della loro intelligenza.

Fisher lavorava in una fattoria, un lavoro rispettabilissimo, perfino essenziale, ma che occupava un posto non molto elevato nella scala sociale. Non si lamentava, non protestava, questo era vero, però non ne parlava mai né dimostrava un briciolo di entusiasmo. Aveva sempre un’aria scontenta.

Quindi Eugenia aveva imparato a evitare di salutarlo allegramente con frasi tipo: "Com’è andata oggi al lavoro, Crile?"

Le poche volte che glielo aveva chiesto, nei primi tempi, lui aveva risposto asciutto con un: "Oh, niente di eccezionale". E non aveva aggiunto altro, le aveva solo rivolto una breve occhiata seccata.

Alla fine, Eugenia era restia a parlargli perfino dei piccoli problemi e delle rivalità dell’ambiente di lavoro e degli errori seccanti. Anche quello avrebbe potuto rappresentare un confronto sgradito tra le rispettive occupazioni.

Eugenia doveva ammettere che certi timori erano infondati… un esempio della sua insicurezza, non di quella del marito. Fisher non dava segno di impazienza quando lei era costretta a discutere della giornata di lavoro svolta. A volte, con un lieve interesse, le chiedeva addirittura dell’iperassistenza, un argomento di cui lei però sapeva poco o nulla.

Gli interessava la politica rotoriana, e manifestava una tipica insofferenza terrestre per la piccolezza dei suoi orizzonti. Eugenia aveva lottato con se stessa per non lasciare trasparire il proprio dispiacere.

Poi, tra loro era sceso il silenzio, rotto soltanto da discussioni banali riguardanti i film che avevano visto, gli impegni sociali, la routine quotidiana.

Non era infelicità vera e propria. La torta si era trasformata rapidamente in pane, ma c’erano cose peggiori del pane.

C’era anche un piccolo vantaggio. Lavorare in condizioni di massima sicurezza significava non parlare a nessuno del proprio lavoro, ma quanti finivano col sussurrare qualche mezza confidenza alla moglie o al marito? Eugenia non lo aveva fatto, perché le tentazioni per lei erano poche, dal momento che il suo lavoro non richiedeva il rispetto di norme di sicurezza rigorose.

Ma quando la scoperta della Stella Vicina, la sua scoperta, fosse stata dichiarata top secret, Eugenia sarebbe riuscita a mantenere il segreto? Senza dubbio, la cosa più normale da fare sarebbe stata parlare al marito della grande scoperta che avrebbe scritto per sempre il nome di Eugenia Insigna nei trattati di astronomia. Avrebbe potuto addirittura dirlo a Crile prima che a Pitt, magari precipitandosi in casa gridando: "Indovina cos’è successo! Indovina! Ho una notizia sensazionale…"

Invece era stata zitta. A Fisher non sarebbe interessato, aveva pensato. Forse Fisher parlava del loro lavoro con gli altri… coi coltivatori o con i laminatori… con lei, no.

Così, Eugenia non aveva fatto fatica a non dirgli nulla di Nemesis. Era un argomento chiuso, tra loro, non suscitava rimpianti, aveva cessato di esistere… fino al giorno terribile in cui il loro matrimonio era fallito.