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Neil Gaiman

Nessun dove

Nessun dove semplicemente non esisterebbe se non fosse per Lenny Henry. Perciò questo libro è dedicato a lui e a Polly McDonald: ostetrici gemelli che non si somigliano affatto tranne che nell’essere entrambi insopportabilmente alti.

È dedicato anche a Clive Brill e Beverly Gibson, che sono tutti e due di statura normale.

«Non sono mai stato a St John’s Wood. Non oso. Avrei paura della sterminata oscurità di abeti bianchi, timore di imbattermi in un calice rosso sangue e nel batter d’ali dell’Aquila.»

G.K. CHESTERTON, Il Napoleone di Notting Hill

PROLOGO

Richard Mayhew non si stava divertendo molto quella notte, l’ultima prima di andare a Londra.

Aveva iniziato la serata in modo piacevole: si era divertito a leggere i messaggi di saluto e a ricevere l’abbraccio di numerose signorine di sua conoscenza non del tutto prive di attrattiva; si era divertito ad ascoltare gli avvertimenti relativi ai rischi e ai pericoli di Londra e per il dono dell’ombrello bianco con la piantina della metropolitana londinese che i ragazzi gli avevano acquistato tutti insieme; aveva apprezzato i primi boccali di birra; poi, però, a ogni ulteriore boccale si era reso conto di divertirsi decisamente meno, e da quel momento se ne stava seduto a tremare sul marciapiedi davanti al pub, valutando gli opposti pro e contro del dare di stomaco e del non dare di stomaco, senza divertirsi affatto.

All’interno del pub, gli amici continuavano a festeggiare la prossima partenza di Richard con un entusiasmo che, a suo modo di vedere, cominciava ad apparire quasi sinistro.

Si teneva stretto all’ombrello arrotolato, domandandosi se andare a Londra fosse davvero una buona idea.

«È meglio che fai attenzione» disse una voce stridula e senile. «Ti cacceranno via senza lasciarti dire né ai né bai. Oppure ti metteranno dentro. Non mi stupirei affatto.» Due occhi penetranti lo fissavano da un viso adunco e sudicio. «Tutto bene?»

«Si, grazie» rispose Richard.

Il volto nero di polvere si addolci.

«Tieni, poverino» disse ficcandogli in mano una moneta da cinquanta pence. «È da tanto che vivi in strada?»

«Non sono un senzatetto» spiegò Richard imbarazzato, tentando di restituire il denaro alla donna. «La prego, lo tenga lei. Io sto bene. Sono soltanto uscito a prendere un po’ d’aria. Domani parto per Londra» aggiunse.

Lei lo scrutò con sospetto, quindi si riprese i cinquanta pence e li fece sparire sotto gli strati di scialli e cappotti che la ricoprivano.

«Sono stata a Londra» gli confidò. «Ero sposata li, ma lui era un poco di buono. Mia mamma me l’aveva detto di non sposarmi con uno di fuori, ma anche se a guardarmi oggi non si direbbe, allora ero giovane e bella e ho seguito quello che mi diceva il cuore.»

«Sono sicuro che era bellissima» commentò Richard. La certezza di stare per sentirsi male cominciava lentamente ad affievolirsi.

«Proprio una grande idea! Io una casa non ce l’ho, quindi so come ci si sente» disse la vecchia signora. «È per questo che ti credevo uno di strada. Che ci vai a fare a Londra?»

«Ho trovato lavoro» le rispose pieno di orgoglio.

«Che tipo?» chiese lei.

«Be’, in Borsa» disse Richard.

«Io facevo la ballerina» spiegò la vecchia signora, mettendosi goffamente a dondolare lungo il marciapiede, mormorando tra sé e sé una musichetta stonata. Poi prese a ondeggiare da una parte all’altra come un fuso sul punto di terminare il movimento rotatorio, per arrivare infine a fermarsi proprio di fronte a Richard.

«Fammi vedere la mano» gli disse «e ti leggerò il futuro.»

Fece come gli era stato detto.

La donna prese nella vecchia mano quella di Richard e batté più volte le palpebre, come un gufo con un topo nello stomaco che cominciasse ad avere qualcosa da obiettare sul fatto di essere stato inghiottito.

«Hai davanti a te una strada molto lunga…» disse.

«Vado a Londra» ribadì Richard.

«Non solo Londra…» Fece una pausa. «E non la Londra che conosco io.»

Iniziò a piovere.

«Mi dispiace» disse la vecchia signora. «Comincia tutto con delle porte.»

«Porte?»

Lei annui. La pioggia si fece più intensa. «Starei attenta alle porte, se fossi in te.»

Un po’ malfermo sulle gambe, Richard si alzò. «Va bene» disse, incerto sul modo in cui si dovrebbero prendere in considerazione informazioni del genere. «Lo farò. Grazie.»

La porta del pub venne aperta, e luce e rumore si riversarono in strada.

«Richard? Va tutto bene?»

«Si, sto benone. Rientro tra un attimo.»

La vecchia signora si stava già allontanando con passo traballante, bagnandosi sotto la pioggia.

Richard si senti in dovere di fare qualcosa per lei, anche se non poteva certo darle del denaro. Le corse dietro. «Prenda!» le disse. Iniziò ad armeggiare con l’ombrello, nel tentativo di trovare il pulsante per aprirlo. Poi un clic, ed ecco sbocciare una smisurata mappa della metropolitana.

La vecchia signora glielo tolse di mano, annuendo.

«Hai un buon cuore. A volte è quanto basta per essere al sicuro ovunque si vada.» Poi scosse la testa. «Nella maggior parte dei casi, però, non è cosi.»

Quando una folata di vento tentò di strapparglielo, strinse l’ombrello con forza, aggrappandosi con entrambe le braccia. Quindi se ne andò nella notte piovosa, una figura bianca coperta dai nomi delle stazioni della metropolitana: Earl’s Court, Marble Arch, Blackfriars, White City, Victoria, Angel, Oxford Circus…

Con lucidità da ubriaco, Richard si ritrovò a ponderare sull’eventualità che a Oxford Circus ci fosse davvero un circo: uno di quelli con pagliacci, belle donne e bestie feroci.

La porta del pub si apri: un’esplosione di rumore, quasi il volume del locale fosse stato messo al massimo.

«Richard, mezza sega, questa dannatissima festa è per te e ti stai perdendo tutto il divertimento.»

Rientrò nel pub, l’impulso di vomitare dissolto in tutte quelle stranezze.

«Sembri un ratto annegato» commentò qualcuno.

«Ma se non l’hai mai visto un ratto annegato» ribadi Richard.

Qualcun altro gli allungò un bicchiere di whisky. «Tieni, manda giù. A Londra uno scotch come si deve non lo trovi di certo.»

«Sono sicuro che lo troverò» disse Richard con un sospiro. Dai capelli, l’acqua gli colava dritta nel bicchiere. «A Londra c’è tutto.»

Si scolò il bicchiere di whisky, poi un altro, quindi la serata diventò nebulosa e si concluse in una serie di immagini frammentate: dopo di che ricordava soltanto la sensazione di stare per lasciare un luogo che aveva un preciso significato per un altro più grande e antico che di significato non ne aveva; e di aver vomitato a più non posso in un canale di scolo in cui scorreva acqua piovana, chissà dove e a quale ora antelucana; e una figura bianca, come una sorta di piccolo scarafaggio tondeggiante, che si allontanava da lui camminando sotto la pioggia.

La mattina seguente Richard prese il treno per Londra, stazione di Euston. Sua madre gli diede una tortina cucinata da lei appositamente per il viaggio, e un thermos di tè; e Richard Mayhew se ne andò a Londra sentendosi da schifo.

UN ALTRO PROLOGO

QUATTROCENTO ANNI PRIMA

Era la metà del sedicesimo secolo, in Toscana, e stava piovendo: una pioggia fredda e spregevole che faceva diventare grigio il mondo.

Dal piccolo monastero sulla collina si levò verso il cielo del mattino una densa chiazza di fumo nero.

Due uomini se ne stavano seduti sulla collina, a osservare l’edificio che prendeva fuoco.