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Se solo fosse un pochino più ambizioso, mormorava tra sé, e quindi gli regalava libri dai titoli come Vestito per il successo e Le centoventicinque abitudini dell’uomo di successo, e manuali per la gestione degli affari come si trattasse di una campagna militare, e Richard ringraziava sempre e altrettanto sempre si prefiggeva di leggerli tutti. Gli comprava i capi di abbigliamento che pensava dovesse indossare — e lui lo faceva, durante la settimana; e un giorno, ritenendo fosse il momento giusto, gli disse che sarebbero dovuti andare a cercare un anello di fidanzamento.

«Perché esci con lei?» chiese Garry, della sezione conti aziendali, diciotto mesi dopo. «E terrificante.»

Richard scosse il capo. «È dolcissima quando la conosci bene.»

Garry appoggiò il troll che aveva preso dalla scrivania di Richard. «Mi sorprende che ti lasci ancora giocare con questi.»

«La questione non è mai stata sollevata» rispose Richard.

In realtà la questione era stata sollevata. Jessica, però, si era convinta che la raccolta di troll di Richard rappresentasse un tenero segno di eccentricità, paragonabile alla collezione di angeli del signor Stockton, ed era giunta alla conclusione che i grandi uomini collezionano sempre qualcosa.

Non è che Richard collezionasse davvero troll. Piuttosto, in un vago e decisamente vano tentativo di infondere un po’ di personalità al suo mondo lavorativo, aveva piazzato troll di plastica in zone strategiche della scrivania, dove si trovava anche una fotografia di Jessica su cui quel giorno faceva bella mostra di sé un bigliettino adesivo post-it giallo.

Era venerdì pomeriggio.

Richard aveva notato che gli avvenimenti di un certo rilievo sono vigliacchi: non si presentano uno a uno, ma preferiscono procedere in massa e lanciarsi su di te tutti in una volta.

Prendiamo questo particolare venerdì, per esempio.

Era, come Jessica gli aveva fatto notare almeno una dozzina di volte nel mese precedente, il giorno più importante della sua vita. Non il più importante nella vita di lei, è ovvio. Quello si sarebbe verificato in futuro quando, Richard non aveva dubbi in proposito, l’avrebbero nominata primo ministro, o regina, o Dio. Ma era con assoluta certezza il più importante nella vita di lui. Perciò era un vero peccato che, a dispetto del post-it giallo che Richard aveva lasciato sulla porta del frigorifero di casa e dell’altro post-it appiccicato sulla fotografia di Jessica sulla scrivania, se ne fosse del tutto e completamente dimenticato.

Per di più, c’era il rapporto Wandsworth, i cui tempi di consegna erano scaduti e che aveva assorbito praticamente tutti i suoi pensieri. Richard controllò un’altra sfilza di numeri; poi si accorse che pagina 17 era sparita e si mise all’opera per stamparne una copia; ed ecco un’altra pagina, e sapeva che se solo l’avessero lasciato finire in pace… se, miracolo dei miracoli, il telefono non avesse squillato…

Squillò. Premette il pulsante del vivavoce.

«Pronto? Richard? L’amministratore delegato vuole sapere quando gli consegnerai il rapporto.»

Richard guardò l’orologio. «Cinque minuti, Sylvia. È quasi concluso. Devo solamente aggiungere la proiezione profitti e perdite.»

«Grazie, Dick. Scendo poi a prenderlo.»

Sylvia era, come amava spiegare, la «PR dell’AD», e si muoveva sempre in un’atmosfera di assoluta efficienza.

Spense il vivavoce; il telefono squillò di nuovo, immediatamente.

«Richard» disse chi stava all’altro capo del filo, con la voce di Jessica, «sono Jessica. Te ne sei dimenticato, vero?»

«Dimenticato?» Cercò di ricordare cosa poteva avere dimenticato. Guardò verso la fotografia di Jessica in cerca di ispirazione, e trovò tutta quella di cui aveva bisogno sotto forma di bigliettino giallo appiccicato sulla di lei fronte.

«Richard? Solleva il ricevitore.»

Sollevò il ricevitore, leggendo contemporaneamente l’annotazione sul post-it.

«Scusa, Jess. No, non me ne sono dimenticato. Ore diciannove, ristorante italiano Ma Maison. Ci incontriamo là?»

«Jessica, Richard. Non Jess.» Tacque per un istante. «Dopo quello che è successo l’ultima volta? Non penso proprio. Tu riusciresti a perderti sul balcone di casa!»

Richard stava per ribattere che chiunque avrebbe potuto scambiare la National Gallery con la National Portrait Gallery, e che non era stata lei a passare l’intera giornata fuori sotto la pioggia (cosa che a suo parere era divertente almeno quanto aggirarsi in uno qualsiasi dei due musei in questione fino a farsi venire male ai piedi), ma pensò fosse meglio soprassedere.

«Vengo a prenderti a casa» disse Jessica. «Cosi facciamo due passi insieme fino al ristorante.»

«D’accordo, Jess. Scusa… Jessica.»

«Hai confermato la prenotazione, non è vero Richard?»

«Si» menti Richard tutto serio. L’altro telefono sulla scrivania si era messo a squillare con insistenza. «Jessica, guarda, io…»

«Bene» disse Jessica, e interruppe la conversazione.

La più grossa somma di denaro che Richard avesse mai speso in assoluto era servita per l’anello di fidanzamento di Jessica, diciotto mesi prima.

Sollevò il ricevitore dell’altro telefono.

«Ciao Dick» disse Garry. «Sono io, Garry.»

Garry lavorava a qualche metro da Richard, e lo salutò agitando la mano da dietro una luccicante scrivania del tutto priva di troll.

«È ancora valida la proposta di andare a bere qualcosa insieme? Hai detto che potevamo esaminare il rendiconto Merstham.»

«Metti giù quel dannato telefono, Garry. Certo che è ancora valida.»

Richard abbassò il ricevitore. C’era un numero telefonico in fondo al bigliettino giallo, che Richard si era diligentemente scritto parecchie settimane prima. E aveva prenotato: ne era quasi certo. Però non aveva confermato la prenotazione. L’intenzione l’aveva sempre avuta, ma c’erano state cosi tante cose da fare e tutto quel tempo a disposizione. Ma gli avvenimenti di un certo rilievo procedono in massa…

Adesso Sylvia era in piedi accanto a lui. «Dick? Il rapporto Wandsworth?»

«Quasi pronto, Sylvia. Guarda, aspetta solo un secondo, puoi?»

Fini di digitare con forza il numero, e fece un sospiro di sollievo quando una voce rispose. «Ma Maison. Cosa posso fare per lei?»

«Vorrei un tavolo per tre per stasera» disse Richard. «Credo di avere prenotato. E se l’ho fatto, vorrei confermare la prenotazione. Se invece non l’ho fatto, mi chiedo se potrei prenotare ora. Per favore.»

No, non era segnata alcuna prenotazione per la sera a nome Mayhew. O Stockton. O Bartram — il cognome di Jessica. E quanto a prenotare un tavolo…

Non erano le parole che Richard trovò decisamente sgradevoli, ma il tono di voce con cui l’informazione venne trasmessa. Un tavolo per questa sera avrebbe dovuto essere prenotato anni prima, magari dai genitori di Richard. Un tavolo per questa sera era impossibile: persino se il papa, il primo ministro e il presidente francese si fossero presentati là quella sera senza una conferma di prenotazione, sarebbero stati rispediti in strada.

«Ma è per il capo della mia fidanzata. So che avrei dovuto telefonare prima. Siamo soltanto in tre, non potrebbe gentilmente…»

Avevano riattaccato.

«Richard?» disse Sylvia. «L’amministratore delegato aspetta.»

«Pensi» domandò Richard «che me lo darebbero un tavolo se richiamassi offrendo una grossa mancia?»

Nel sogno erano tutti insieme, a casa. I suoi genitori, suo fratello, sua sorella. Erano in piedi nella sala da ballo. Erano cosi pallidi, cosi seri. Ianua, sua madre, le sfiorò la guancia e le disse che era in pericolo. Nel sogno, Porta rise e rispose che lo sapeva. La madre scosse il capo: no, no — adesso era in pericolo. Adesso.