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Era come se qualcuno avesse preso una piccola corte medievale e l’avesse trasportata, per quanto possibile, su una carrozza di un treno della metropolitana, pensò Richard.

Un araldo si portò la tromba alle labbra e lanciò uno squillo stonato. Un immenso uomo anziano, in pantofole e con un’enorme veste da camera foderata di pelo, attraversò traballando la porta di collegamento con il vagone successivo, il braccio appoggiato sulla spalla di un giullare con un logoro abito da buffone.

L’omone era davvero immenso. Su un occhio portava una benda che lo faceva sembrare leggermente disorientato e confuso, come un uccello con un occhio solo. Sulla barba grigio-rossa c’erano briciole di cibo e dal fondo della logora vestaglia di pelliccia spuntavano quelli che parevano pantaloni di pigiama.

Questo, pensò correttamente Richard, deve essere il Conte.

Il giullare del Conte, un uomo anziano con la bocca contratta e il viso dipinto, sembrava essere sfuggito a un’esistenza fatta di caratteri invisibili in fondo alle locandine dei music hall un centinaio di anni prima. Condusse il Conte a uno scranno intagliato nel legno che aveva l’aspetto di un trono piuttosto malfermo, dove il Conte si sedette. Il levriere si alzò, percorse la carrozza con passo felpato e si posizionò accanto ai piedi pantofolati del Conte.

Earl’s Court, la Corte del Conte, pensò Richard. Ma certo. Dopo di che iniziò a chiedersi se a Barons Court ci fosse un Barone e a Ravenscourt un Corvo Imperiale e…

Il piccolo armigero tossi una tosse asmatica e disse, «Allora, voi. Dichiarate il vostro intento!»

Porta si fece avanti. Teneva la testa ben dritta, e pareva più alta e più a proprio agio di quanto Richard l’avesse mai vista, e disse, «Chiediamo udienza a Sua Grazia il Conte.»

Dal fondo del vagone il Conte tuonò: «Halvard, cosa ha detto la giovane ragazza?» Richard si chiese se fosse sordo.

Halvard, l’anziano uomo d’armi, cambiò posizione, mise le mani a coppa intorno alla bocca e strillò, per superare lo sferragliare del treno, «Chiedono udienza, vostra grazia.»

Il Conte spostò da un lato il pesante cappello di pelo e si grattò la testa meditabondo. Sotto il cappello stava diventando calvo. «Davvero? Un’udienza? Che meraviglia. E chi sono, Halvard?»

Halvard tornò a rivolgersi a loro. «Vuole sapere chi siete. Fatela breve, comunque. Non dilungatevi.»

«Sono Lady Porta» annunciò Porta. «Lord Portico era mio padre.»

Sentendo questo, il Conte si illuminò, si chinò in avanti e sbirciò attraverso il fumo con l’unico occhio buono. «Ha detto di essere la figlia maggiore di Portico?» chiese al buffone.

«Si, vostra grazia.»

Il Conte fece cenno a Porta di avvicinarsi. «Vieni qui» disse. «Vieni-vieni-vieni. Lasciati guardare.» Avanzò lungo il corridoio, afferrando le grosse maniglie di corda che pendevano dal soffitto per mantenere l’equilibrio mentre camminava. Davanti allo scranno di legno del Conte fece la riverenza. Lui si grattò la barba e si mise a fissarla.

«Siamo stati tutti sopraffatti dal dolore alla notizia della sfortunata…» cominciò il Conte, poi si interruppe e disse: «Tuo padre… be’, tutta la tua famiglia, è stato…» La voce si affievolì, quindi continuò, «Sai che avevo per lui la massima stima e rispetto, abbiamo fatto qualche affare insieme… Buon vecchio Portico… pieno di idee…» Si fermò. Diede un colpetto sulla spalla del giullare e sussurrò, con un querulo boato, abbastanza potente da superare con facilità il rumore del treno, «Va’ e facci divertire, Tooley. Guadagnati la pagnotta.»

Il buffone trotterellò lungo il corridoio con una smorfia artritica e una boccaccia reumatica. Si fermò di fronte a Richard.

«E tu chi saresti?» chiese.

«Io?» fece Richard. «Hmm. Io? Il mio nome? Be’, è Richard. Richard Mayhew.»

«Io?» squitti il Buffone, in un’anziana e alquanto teatrale imitazione dell’accento scozzese di Richard. «Io? Hmm. Io? Oh, zietto! Questo non è un uomo, ma un citrullo con il gonnellino!»

I cortigiani ridacchiarono poco interessati.

«E io» disse de Carabas al giullare, con un sorriso accecante, «sono il Marchese de Carabas.»

Il buffone strizzò gli occhi.

«De Carabas il ladro?» chiese. «De Carabas il dissotterratore di cadaveri? De Carabas il traditore?» Si rivolse ai cortigiani intorno a loro. «Ma questo non può essere de Carabas! Perché? Perché de Carabas è stato bandito dalla presenza del Conte molto tempo fa. Forse si tratta piuttosto di una faina troppo cresciuta.»

I cortigiani ridacchiarono, a disagio, questa volta, e iniziò a propagarsi il sordo brusio di una conversazione preoccupata. Il Conte non disse nulla, ma strinse con forza le labbra e cominciò a tremare.

«Mi chiamo Hunter» disse Hunter al giullare.

Al che i cortigiani tacquero. Il giullare apri la bocca come stesse per dire qualcosa, la guardò e richiuse la bocca.

L’accenno di un sorriso si affacciò all’angolo delle labbra perfette di Hunter. «Continua» disse. «Di’ qualcosa di buffo.»

Il giullare si fissava la punta delle scarpe consunte. Poi mormorò, «Il mio segugio è privo di naso.»

Il Conte era rimasto a fissare il Marchese de Carabas come una miccia a combustione lenta, occhio spalancato, labbra sbiancate, incapace di credere all’evidenza dei propri sensi. Quindi esplose saltando in piedi, un vulcano dalla barba grigia, un anziano ma feroce guerriero. La testa sfiorava il tetto della carrozza. Puntò il dito verso il Marchese e gridò, sputacchiando per la rabbia: «Questo non lo tollero, no di certo! Fatelo venire avanti!»

Halvard agitò una lugubre lancia in direzione del Marchese, che a passo lento si avviò verso la testa del treno, fino ad arrivare accanto a Porta, di fronte al trono del Conte. Il levriere emise un ringhio sordo.

«Tu» fece il Conte, infilzando l’aria con un dito tremante. «Ti conosco, de Carabas. Non ho dimenticato. Sarò anche vecchio, ma non ho dimenticato.»

Il Marchese fece un inchino.

«Posso ricordare a vostra grazia» disse cortesemente «che avevamo fatto un patto? Io ho negoziato il trattato di pace tra la vostra gente e Raven’s Court, e in cambio voi eravate d’accordo a concedermi un piccolo favore.»

Allora esiste una Raven’s Court, pensò Richard. Chissà com’è? Chissà se c’è un corvo?

«Un piccolo favore?» disse il Conte. Aveva assunto un intenso color barbabietola. «È cosi che lo chiami? Ho perso decine di uomini per la tua stupidità durante la ritirata da White City. Ho perso un occhio.»

«E se mi è permesso dirlo, vostra grazia,» disse garbatamente il Marchese «avete una benda molto affascinante. Si adatta alla perfezione al vostro viso, mettendolo in risalto.»

«Ho giurato…» esplose il Conte, la barba che si rizzava, «ho giurato… che se mai avessi rimesso piede sui miei domini, ti avrei…» esitò. Scosse il capo, quindi riprese. «Mi tornerà alla mente. Io non dimentico.»

«Avrebbe potuto non gradire particolarmente la tua vista?» sussurrò Porta a de Carabas.

«Be’, non la gradisce» bofonchiò lui in risposta.

Di nuovo Porta si fece avanti. «Vostra grazia,» disse con voce alta e chiara, «de Carabas è qui con me come mio ospite e mio compagno. Per la fratellanza che c’è sempre stata tra la vostra famiglia e la mia, per l’amicizia che legava mio padre e…»

«Ha abusato della mia ospitalità» tuonò il Conte. «Ho giurato che… se mai fosse entrato di nuovo nei miei domini l’avrei fatto sbudellare e lasciato a rinsecchire… come, come qualcosa che è stato, hmm, prima sbudellato e poi, be’, messo a seccare, hmm…»