Richard e Porta attraversarono il cancello, e nessuno diede loro una seconda occhiata. Sui gradini di pietra che portano all’ingresso del museo si era formata una coda a cui si unirono anche Richard e Porta. Un uomo dai capelli bianchi accompagnato da una signora molto orgogliosa della pelliccia di visone che indossava, si mise ordinatamente in coda dietro di loro.
Un pensiero colpì Richard: «Possono vederci?» chiese.
Porta si rivolse al signore dietro di lei, lo fissò e disse «Salve.»
L’uomo si guardò attorno con un’espressione stupita sul volto, come non fosse certo di cosa avesse attirato la sua attenzione. Quindi si accorse di Porta che gli stava proprio di fronte. «Salve…?» disse.
«Sono Porta» si presentò la ragazza. «E questo è Richard.»
«Oh…» fece l’uomo. Poi si frugò in tasca, ne estrasse un sigaro e si dimenticò di loro.
«Ecco. Visto?» disse Porta.
«Penso di si» ribatté lui.
Per qualche tempo non dissero nulla, mentre la coda procedeva lentamente verso l’unico ingresso aperto del museo. Porta controllò lo scritto sulla pergamena, quasi a cercare rassicurazione. Quindi Richard chiese, «Un traditore?»
«Volevano solo farci innervosire» rispose Porta. «Cercavano di turbarci.»
«E hanno fatto un lavoro dannatamente buono, se è per questo» commentò Richard. Attraversarono la porta aperta ed eccoli nel British Museum.
Mister Vandemar era affamato, perciò tornarono indietro passando da Trafalgar Square.
«Spaventarla» mormorò mister Croup, disgustato. «Spaventarla. Come siamo ridotti.»
In un cestino dei rifiuti, mister Vandemar aveva trovato un mezzo panino alla lattuga e gamberetti e lo stava facendo diligentemente a pezzettini da lanciare sul selciato di fronte a sé per attirare un piccolo stormo di piccioni tiratardi.
«Dovevamo seguire la mia idea» disse mister Vandemar. «L’avremmo spaventata molto di più se gli avessi strappato la testa mentre lei non guardava. Poi gli facevo salire la mano su dalla gola e agitavo le dita all’interno. Strillano sempre» disse in confidenza «quando cadono le palle degli occhi.»
Fece una dimostrazione con la mano destra, conficcando le dita verso l’alto per poi agitarle con forza.
Mister Croup proprio non voleva sentirne parlare. «Perché diventare cosi schifiltoso a questo punto del gioco?» domandò.
«Non sono schifiltoso, mister Croup» ribadì mister Vandemar. «Mi piace tanto quando cadono le palle degli occhi. Prendere gli occhi e sbatacchiare.»
Alcuni piccioni grigi, in giro anche se era passata l’ora di andare a dormire, si avvicinarono tutti impettiti per beccare i frammenti di pane e gamberetti, disdegnando la lattuga.
«Non lei,» disse mister Croup «il principale. Uccidetela, rapitela, spaventatela. Perché non si decide?»
Mister Vandemar aveva terminato il panino, perciò balzò sul gruppo di piccioni, che fecero ricorso alle ali producendo dei suoni secchi e qualche occasionale e lamentoso cuu.
«Gran bella presa, mister Vandemar» disse mister Croup con aria di approvazione.
Mister Vandemar stringeva in mano un piccione stupito e sconvolto che brontolava e si dimenava per liberarsi, cercando senza successo di beccargli le dita.
Mister Croup sospirò, con tono drammatico. «Be’, comunque, non c’è dubbio che adesso abbiamo messo la volpe nel pollaio» disse soddisfatto.
Mister Vandemar teneva il piccione all’altezza della faccia. Si udi un rumore di mandibole, quando gli staccò la testa con un morso e iniziò a masticare.
Le guardie di sicurezza stavano dirigendo gli ospiti del museo verso un corridoio che sembrava quasi fungere da sala di attesa. Porta le ignorò completamente e prosegui verso i saloni del museo con Richard alle calcagna.
Attraversarono la sala egizia, salirono parecchie rampe di scale e giunsero in una stanza che un cartello indicava con il nome di Gotico inglese del primo periodo.
«Secondo questa pergamena» disse la ragazza «l’Angelus è proprio qui.»
Porta abbassò lo sguardo sulla pergamena. Lo rialzò per guardarsi intorno. Fece una smorfia di dissenso e ridiscese le scale, percorrendo di nuovo la strada da cui erano arrivati.
Richard provava un’intensa sensazione di déjà vu, prima di rendersi conto che si, certo che il posto gli pareva familiare: era li che passava i fine settimana all’epoca di Jessica. E cominciava a sembrargli una cosa accaduta a qualcun altro tanto, tanto tempo prima.
«Allora, l’Angelus non c’era?» chiese Richard.
«No, non c’era» rispose Porta con una foga che Richard ritenne un po’ eccessiva rispetto alla domanda.
«Oh» disse. «Tanto per sapere.»
Entrarono in un’altra stanza. Richard si chiese se stava cominciando a soffrire di allucinazioni per l’eccesso di zuccheri assunti alla Corte del Conte o per deprivazione sensoriale. «Sento della musica» disse. Sembrava un quartetto d’archi.
«La festa» disse Porta.
Giusto. Le persone in smocking con cui avevano fatto la coda. No, l’Angelus non sembrava essere neppure là. Porta si incamminò verso il salone successivo e Richard le andò subito dietro. Avrebbe voluto rendersi più utile.
«Questo Angelus» chiese «che aspetto ha?»
Per un attimo pensò che stesse per sgridarlo per aver fatto la domanda, invece si fermò e si sfregò la fronte. «Qui dice solo che ha sopra l’immagine di un angelo. Ma non dovrebbe essere tanto difficile trovarlo. In fondo,» aggiunse speranzosa «quante cose con sopra un angelo potranno mai esserci?»
NOVE
Jessica era leggermente sotto pressione. Era preoccupata, nervosa e agitata. Aveva catalogato la collezione, provveduto a far si che il British Museum ospitasse la mostra, organizzato i lavori di restauro dei più importanti oggetti in esposizione, collaborato ad appendere e posizionare la collezione e redatto la lista degli invitati al meraviglioso vernissage.
Che importava che non avesse un ragazzo, diceva agli amici. Tanto, anche in caso contrario non avrebbe avuto un minuto di tempo da dedicargli. Eppure, sarebbe bello, pensò, in un attimo di pausa: qualcuno con cui visitare le gallerie d’arte nel fine settimana. Qualcuno con cui…
No. Non voleva raggiungere quell’angolo della sua mente. Non lo poteva fissare cosi come non avrebbe potuto afferrare una goccia di mercurio, e si concentrò di nuovo sulla mostra.
Anche adesso, all’ultimo minuto, c’erano ancora talmente tante cose che potevano andare storte. Più di un cavallo era caduto sull’ultimo ostacolo. Più di un generale troppo sicuro di sé aveva visto una vittoria certa trasformarsi in sconfitta nei minuti finali della battaglia.
Jessica intendeva semplicemente assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto.
Indossava un vestito di seta verde, un generale senza spalline che passa in rassegna le sue truppe, fingendo stoicamente che il signor Stockton non avesse mezz’ora di ritardo.
Le truppe consistevano in un capo cameriere, una decina di persone di servizio, tre donne delle società di catering, un quartetto d’archi e il suo assistente, un giovane di nome Clarence. Jessica era convinta che Clarence avesse avuto il posto perché a) dichiaratamente gay, e b) altrettanto dichiaratamente nero, quindi era per lei una fonte di continua irritazione il fatto che fosse di gran lunga l’assistente migliore, più efficente e competente che avesse mai avuto.
Ispezionò il tavolo dei beveraggi. «Siamo a posto con lo champagne? Si?»
Il capo cameriere le indicò la cassa di champagne sotto il tavolo.
«E con l’acqua minerale gassata?»
Un altro cenno del capo. Un’altra cassa.