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Lungo tutta la strada, Richard non si era mai fermato a pensare. Non che l’avesse fatto esattamente di sua propria volontà. In un qualche angolo della parte ragionevole e assennata del cervello, qualcuno — un Richard Mayhew ragionevole e assennato — gli diceva quanto era stato ridicolo, che avrebbe dovuto limitarsi a chiamare la polizia o un’ambulanza; che era pericoloso sollevare una persona ferita; che aveva realmente, seriamente, irritato Jessica; che quella sera avrebbe dovuto dormire sul divano; che stava rovinando l’unico completo buono; che la ragazza puzzava in modo terribile… ma si ritrovò a mettere un piede davanti all’altro e, con i crampi alle braccia e un forte dolore alla schiena, ignorando le occhiate dei passanti, continuò a camminare. Giunse al portone del palazzo in cui abitava e incespicando sali le scale, poi arrivò davanti alla porta del suo appartamento e si rese conto di avere dimenticato le chiavi sul tavolino in corridoio, all’interno…

La ragazza allungò una mano sudicia verso la porta, che si apri.

Non avrei mai pensato di essere cosi contento per non avere chiuso bene la porta, pensò Richard, che portò dentro la ragazza — richiudendo la porta dietro di sé con un piede — e la adagiò sul letto.

Lo sparato della sua camicia elegante era zuppo di sangue.

Lei pareva non del tutto cosciente. Gli occhi si muovevano sotto le palpebre.

Le tolse la giacca di pelle. La parte superiore del braccio sinistro e la spalla presentavano un lungo taglio. Richard trattenne il fiato.

«Senti, chiamo un medico» disse con tono tranquillo. «Mi ascolti?»

Gli occhi della ragazza si spalancarono, pieni di paura. «Per favore, no. Starò bene. Non è grave come sembra. Ho solo bisogno di dormire. Niente dottori.»

«Ma il tuo braccio — la spalla…»

«Starò bene. Domani. Per favore!» Era poco più che un sussurro.

«Be’, suppongo, d’accordo» e lasciando un po’ di spazio al buonsenso disse, «Senti, posso chiederti…?»

Ma si era già addormentata.

Usci dalla stanza in punta di piedi, richiudendosi la porta alle spalle. Quindi si sedette sul divano, davanti al televisore, domandandosi cosa aveva fatto.

DUE

Si trovava da qualche parte nel sottosuolo, molto in fondo: forse in un tunnel, o nelle fogne. La luce era ridotta a qualche debole sprazzo, che definiva il buio, piuttosto che disperderlo.

Non era solo. C’erano altre persone che gli camminavano accanto.

Che correvano, ora, attraverso la parte interna della fognatura, inzaccherandosi di melma e di sporcizia. Goccioline d’acqua cadevano lentamente, limpide come cristallo nell’oscurità.

Svoltò un angolo, ed eccola là che lo aspettava.

Era enorme. Riempiva completamente lo spazio della fognatura: la testa massiccia abbassata, corpo e fiato fumanti nell’aria gelida. Una sorta di cinghiale, pensò all’inizio, poi si rese conto che era una sciocchezza: non esistono cinghiali cosi grandi. Aveva le dimensioni di un toro, di una tigre, di un’automobile.

La Bestia lo fissò, indugiò per un centinaio di anni, mentre lui sollevava la lancia.

Quindi caricò.

Scagliò la lancia, ma era già troppo tardi, e senti che la Bestia gli aveva tagliato il fianco con le zanne affilate come rasoi, senti che la sua vita si stava spegnendo nel fango: e si accorse di essere caduto a faccia in giù nell’acqua, che si era tinta di rosso acceso e creava densi mulinelli di sangue che lo soffocavano…

Tentò di gridare, tentò di svegliarsi, ma riusciva soltanto a respirare fango e sangue e acqua, e a provare un grande dolore…

«Brutto sogno?» chiese la ragazza.

Richard si mise a sedere sul sofà, respirando a fatica. Le tende erano ancora tirate, ma sapeva che era mattina. Cercò a tentoni il telecomando, che chissà come gli si era incuneato tra le reni, e spense il televisore.

«Si» rispose. «Più o meno.»

Strofinò via le tracce di sonno che gli incrostavano gli occhi e fece l’inventario di se stesso, notando con piacere di essersi tolto le scarpe e la giacca prima di addormentarsi. Lo sparato della camicia era coperto di sangue secco e sporcizia.

La ragazza senza casa non diceva nulla. Aveva un aspetto disastroso: pallida e minuta, sotto al sudiciume e al sangue ormai asciutto e di colore marrone. Era vestita con una quantità di abiti uno sopra l’altro: vestiti curiosi, velluti impolverati, pizzi inzaccherati, buchi attraverso i quali si potevano intravvedere ulteriori strati e stili.

Richard pensò che sembrava uscire da un’incursione di mezzanotte nella sezione riservata alla Storia della moda nel Victoria and Albert Museum, e avesse ancora indosso tutto ciò che aveva arraffato.

Richard non sopportava le persone che affermano cose ovvie, quelle che ti vengono a riferire situazioni di cui non potresti non accorgerti da solo neppure volendo: «Piove» oppure, «Ti si è appena rotto il fondo del sacchetto della spesa e tutto il tuo cibo è finito nella pozzanghera» o anche, «Ooh! Scommetto che fa male!»

«Sei sveglia, allora» disse Richard, odiandosi.

«Che baronia è questa?» domandò la ragazza. «Che feudo?»

«Hmm. Come, scusa?»

Si guardò intorno con aria sospettosa. «Dove sono?»

«Appartamento quattro, Newton Mansions, Little Comden Street…»

Si fermò. Lei aveva aperto le tende e stava osservando la vista alquanto ordinaria che si godeva dalla finestra di Richard. Osservava a occhi spalancati le auto e gli autobus, e il piccolo insieme disordinato di negozi — un giornalaio, un panettiere, una farmacia e una rivendita di alcolici — sotto di loro.

«Sono a Londra Sopra» disse.

«Si, sei a Londra» ribadì Richard. Sopra a cosa? si chiese. «Penso che probabilmente ieri sera eri in stato di shock o qualcosa di simile. Il taglio sul braccio era molto brutto.» Attese che dicesse una parola, che spiegasse. Lei gli lanciò un’occhiata, poi abbassò di nuovo lo sguardo verso gli autobus e i negozi. Richard continuò: «Io, be’, ti ho trovata sul marciapiede. C’era un sacco di sangue.»

«Non preoccuparti» gli disse con aria seria. «La maggior parte del sangue apparteneva a qualcun altro.»

Lasciò ricadere la tenda.

Quindi si esaminò il taglio sul braccio.

«Bisogna farci qualcosa» disse. «Vuoi darmi una mano?»

Richard cominciava a sentirsi in acque un po’ troppo profonde per le sue possibilità. «In realtà non me ne intendo molto di pronto soccorso» disse.

«D’accordo,» fece lei «se sei davvero tanto schizzinoso, vuol dire che ti limiterai a tenere le bende e ad annodare le estremità che non riesco a raggiungere. Ce le hai le bende, vero?»

Richard annui. «Oh si» disse. «Nella scatola del pronto soccorso. Sotto il lavandino.»

Dopo di che andò in camera a cambiarsi, e si chiese se sarebbe mai stato possibile rimediare al disastro che aveva sulla camicia (la sua camicia migliore, quella che gli aveva comprato, oddio, Jessica, chissà come sarà nervosa).

L’acqua sanguinolenta gli rammentava qualcosa, una specie di sogno che gli era capitato di fare, forse, ma che non riusciva a ricordare nemmeno fosse stata in gioco la sua stessa vita.

Tolse il tappo e lasciò defluire il liquido dal lavandino, che riempi nuovamente di acqua pulita a cui aggiunse un torbido schizzo di Dettoclass="underline" l’odore pungente del disinfettante gli parve oltremodo sensato e salutare: un rimedio per la stranezza della situazione e per la sua ospite. Lei si chinò, per farsi sciacquare il braccio e la spalla con l’acqua tiepida.