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Richard non era mai stato schifiltoso come pensava di essere. O meglio, era incredibilmente sensibile quando si trattava di sangue sullo schermo: un film di zombie ben fatto o anche una storia realistica relativa a medici e chirurghi lo lasciavano raggomitolato in un angolo, in iperventilazione, con le mani sugli occhi, a brontolare cose come «Ditemi quando è finito.» Ma se doveva confrontarsi con sangue vero, con vero dolore, si metteva d’impegno e provava a fare qualcosa per migliorare la situazione.

Ripulirono la ferita — che era meno profonda di quanto Richard ricordasse dalla sera precedente — e la bendarono, e la ragazza fece del proprio meglio per non tirarsi indietro durante l’operazione. Richard si ritrovò a chiedersi quanti anni potesse avere, e quale fosse il suo aspetto sotto a tutto quel sudiciume, e perché vivesse in strada e…

«Come ti chiami?» gli chiese.

«Richard. Richard Mayhew. Dick.»

Fece cenno di si con il capo, come stesse imparandolo a memoria. «Richardrichardmayhewdick» ripeté.

Il campanello suonò.

Richard guardò la confusione nel bagno e la ragazza, e si domandò cosa ne avrebbe pensato un osservatore esterno dotato di buon senso. Come, per esempio… «Oh, Signore» disse, immaginando il peggio. «Scommetto che è Jess. Mi ucciderà.» Limitare i danni. Limitare i danni. «Senti» disse alla ragazza. «Tu aspetta qui.»

Si chiuse la porta del bagno alle spalle e si diresse verso il corridoio.

Apri la porta d’ingresso e si produsse in un grandioso e sentito sospiro di sollievo. Non era Jessica. Si trattava di — cosa? Mormoni? Testimoni di Geova? La polizia? Non era in grado di dirlo. Comunque, erano in due.

Indossavano completi neri un po’ unti, un po’ lisi, e persino Richard, che si annoverava tra quanti soffrono di dislessia sartoriale, percepiva che c’era qualcosa di strano nel taglio di quegli abiti. Erano il tipo di completo che avrebbe potuto creare un sarto di duecento anni fa, a cui gli abiti moderni fossero stati soltanto descritti, senza averli visti realmente. Le linee erano sbagliate, e altrettanto dicasi per gli accessori.

Una volpe e un lupo, pensò involontariamente Richard. Poi si chiese perché mai l’avesse pensato.

Il primo uomo, la volpe, era più basso di Richard. Aveva capelli lisci e untuosi e colorito pallido; quando Richard apri la porta fece un ampio sorriso, con appena una frazione di secondo di ritardo. «Un buon mattino a lei, buon signore,» disse «in questa bella e piacevole giornata.»

«Si, certo, buongiorno» rispose Richard.

«Stiamo conducendo un’indagine personale e di natura assai delicata come dire, porta a porta. Le dispiace se entriamo?»

«Be’, non è proprio il momento migliore» fece Richard. Poi chiese, «Siete della polizia?»

Il secondo visitatore, un uomo alto, il lupo, che se ne stava qualche passo dietro al suo amico, tenendo stretta al petto una pila di fotocopie, fino a quel momento non aveva detto nulla, limitandosi ad attendere, imponente e impassibile. Ora scoppiò a ridere, una sola volta, con tono profondo e volgare. C’era qualcosa di insano in quella risata.

«Purtroppo» disse l’uomo più basso «non abbiamo questo privilegio. Una carriera nella legge e nella giustizia, per quanto indubbiamente allettante, non era scritta nelle carte che la Signora Fortuna ha distribuito a mio fratello e a me. No, siamo soltanto privati cittadini. Permettete che faccia le presentazioni. Io sono mister Croup, e questo gentiluomo è mio fratello, mister Vandemar.»

Non sembravano fratelli. Non sembravano niente che Richard avesse già visto.

«Suo fratello?» chiese Richard. «Non dovreste avere lo stesso cognome?»

«Sono colpito. Che cervello, mister Vandemar. Definendolo perspicace e sottile non gli si rende giustizia. Alcuni di noi sono cosi acuti» e si chinò verso Richard, mettendosi sulla punta dei piedi per arrivargli al viso, «che potrebbero addirittura tagliarsi da soli

Richard arretrò di un passo.

«Possiamo entrare?» chiese mister Croup.

«Cosa volete?»

Mister Croup sospirò in quello che ovviamente immaginava fosse un tono alquanto malinconico. «Stiamo cercando nostra sorella» spiegò. «Una bambina ribelle, testarda e volitiva, che ha quasi spezzato il cuore della nostra povera mamma vedova.»

«È scappata» chiari mister Vandemar, mellifluo. Ficcò in mano a Richard una fotocopia. «È un pochino… strana» aggiunse, facendo roteare un dito vicino alla tempia, a indicare che la ragazza era completamente matta.

Richard abbassò lo sguardo sul foglio.

Diceva:

AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA?

Sotto alla scritta c’era una fotografia fotocopiata in bianco e nero di una ragazza che a Richard parve una versione dai capelli lunghi, più curata e pulita, della giovane che aveva lasciato nel bagno.

Ancora più sotto, un’altra scritta:

RISPONDE AL NOME DI PORZIA. MORDE E SCALCIA.
SCAPPATA DA CASA. DITECI SE L’AVETE VISTA. LA RIVOGLIAMO INDIETRO.
PREVISTA RICOMPENSA.

E sotto al tutto, un numero di telefono.

Richard guardò di nuovo la fotografia. Era senza dubbio la ragazza nel suo bagno.

«No» disse. «Purtroppo non l’ho vista. Mi dispiace.»

Mister Vandemar, tuttavia, non lo ascoltava. Aveva alzato la testa e stava annusando l’aria, come chi sentisse l’odore di qualcosa di strano o sgradevole. Richard allungò la mano per restituirgli la fotocopia, ma l’omaccione si limitò a spingerlo via e a entrare nell’appartamento, un lupo in cerca di preda.

Richard lo rincorse.

«Dove crede di andare? Si fermi. Esca subito di qui. Guardi che non può entrare…» perché mister Vandemar aveva proseguito dritto verso il bagno.

Richard si augurò che la ragazza — Porzia? — avesse avuto la presenza di spirito di chiudere la porta a chiave. Invece no, si spalancò alla prima spinta di mister Vandemar, che entrò seguito da un Richard che si sentiva come un cane di piccola taglia che abbaia inutilmente ai tacchi del postino.

La stanza da bagno non era molto grande. Conteneva una vasca, un water, un lavandino, numerose bottiglie di shampoo, una saponetta e un asciugamano. Quando Richard ne era uscito, un paio di minuti prima, conteneva anche una ragazza piuttosto sporca e insanguinata, un lavandino molto insanguinato e un kit di pronto soccorso aperto. Ora brillava di un ordine perfetto.

Non c’erano angoli in cui la ragazza avrebbe potuto nascondersi.

Mister Vandemar usci dal bagno, spinse la porta della camera da letto e vi entrò, guardandosi intorno.

«Non so cosa pensiate di fare» disse Richard. «Ma se voi due non uscite immediatamente da casa mia, telefono alla polizia.»

A quel punto mister Vandemar, che era intento a esaminare il salotto, si voltò verso Richard, che all’improvviso si rese conto di avere una gran paura, come un cagnolino che avesse scoperto che quello che pensava fosse un normale postino era in realtà un enorme alieno mangiatore di cani proveniente da uno di quei film per cui Jessica non aveva mai tempo.

Richard si trovò a chiedersi se mister Vandemar fosse il tipo di persona a cui si implora, «Non farmi del male!» e se, in caso affermativo, la preghiera sarebbe servita a qualcosa.

Quindi il volpino mister Croup disse, «Be’, si, mister Vandemar, cosa le è preso? Immagino che la preoccupazione per la nostra cara, dolce sorellina gli abbia fatto perdere la testa. Ora, domandi scusa a questo signore, mister Vandemar.»

Mister Vandemar annui e si fermò un attimo a pensare. «Credevo di aver bisogno di usare il bagno» disse. «Non era cosi. Mi dispiace.»

Mister Croup cominciò a imboccare il corridoio.

«Bene. Mi auguro vorrete perdonare al mio errante fratello la mancanza di finezza nei rapporti sociali. L’ansia per la nostra povera madre vedova e per nostra sorella, che anche ora, proprio mentre parliamo, vaga per le strade di Londra senza alcuno vicino che le voglia bene e si prenda cura di lei, gli ha quasi sconvolto la mente, glielo garantisco. Ma a parte questo, è un ottimo compagno da avere al proprio fianco. Non è vero, omone?»