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Richard la segui. Lei prese posto sul divano e apri il libro.

«Allora è un vezzeggiativo di Porzia?» chiese.

«Cosa?»

«Il tuo nome.»

«No.»

«Come si scrive?»

«P-o-r-t-a. Come quelle attraverso cui puoi passare.»

«Oh.» Doveva dire qualcosa, perciò aggiunse: «E che razza di nome è Porta?»

Lei lo guardò con i suoi occhi dallo strano colore e rispose, «E il mio nome.» Dopo di che tornò a Jane Austen.

Richard prese il telecomando e accese il televisore. Poi cambiò canale. Cambiò ancora. Sospirò, e cambiò di nuovo.

«Allora, cosa stiamo aspettando?»

Porta voltò pagina, senza alzare lo sguardo. «Una risposta.»

«Che tipo di risposta?»

Si strinse nelle spalle.

«Oh, non importa.»

In quel momento gli venne in mente che la ragazza aveva una pelle bianchissima, ora che si era ripulita di buona parte dello sporco e del sangue. Si chiese se il pallore fosse determinato da una malattia o dalla perdita di sangue. O se semplicemente non passasse molto tempo all’aria aperta. Forse è stata in prigione. Anche se sembrava un po’ troppo giovane per quello. Forse l’omaccione aveva detto la verità affermando che era pazza…

«Senti, quando sono arrivati quegli uomini…»

«Uomini?» negli occhi dallo strano colore passò un lampo.

«Croup e hmm, Vanderbilt.»

«Vandemar.» Riflette per un istante, poi annui. «Si, suppongo che li si possa chiamare uomini. Due braccia, due gambe e una testa ciascuno.»

Richard riprese il discorso. «Quando sono venuti qui, prima, tu dov ’eri?»

Lei si leccò il dito e voltò pagina. «Ero qui.»

«Ma…»

Smise di parlare, a corto di argomenti. Nell’appartamento non c’era neppure un buco dove avrebbe potuto nascondersi. Però dall’appartamento non era uscita. E tuttavia…

Si udì raspare e una figura scura corse rapida fuori dall’ammasso di videocassette che si trovavano sotto al televisore.

«Gesù!» disse Richard, lanciando il telecomando verso quell’ombra più forte che poteva. Si fracassò sulle videocassette con un gran botto. Della figura scura, nessuna traccia.

«Richard!» disse Porta.

«Va tutto bene» spiegò. «Penso fosse solo un ratto o qualcosa del genere.»

Gli lanciò uno sguardo furioso. «Certo che era un ratto! L’avrai spaventato, poverino!» Si guardò intorno, poi emise un sibilo basso e profondo fischiando tra gli incisivi. «Ehi?» chiamò. Si mise in ginocchio sul pavimento, Mansfìeld Park ormai dimenticato. «Ehi?»

Lanciò un’altra occhiataccia a Richard. «Se gli hai fatto del male» minacciò; poi, dolcemente, alla stanza, «Mi dispiace, è un idiota, ehi?»

«Non sono un idiota» disse Richard.

«Shh!» fece lei. «Ehi?»

Due occhietti neri spuntarono da sotto il divano. Segui anche il resto della testa, che sbirciò fuori con sospetto. Era decisamente troppo grosso per essere un topo, Richard ne era sicuro.

«Ciao!» disse Porta con calore. «Stai bene?»

Allungò la mano. L’animale ci sali sopra, arrampicandosi fino ad accoccolarsi in braccio alla ragazza, che gli accarezzò il fianco con le dita. Era marrone scuro, con una lunga coda rosa. Attaccato al fianco aveva qualcosa che pareva un pezzo di carta ripiegato.

«È un ratto» disse Richard, con la consapevolezza che ci sono occasioni in cui un uomo dovrebbe essere perdonato quando afferma qualcosa di ovvio.

«Si, è cosi. Sei pronto a chiedere scusa?»

«Come?»

«Chiedere scusa.»

Forse non aveva sentito bene. Forse era lui quello che stava diventando pazzo. «A un ratto?»

Porta non disse nulla, ed era un silenzio molto esplicito.

«Mi dispiace» disse Richard al ratto, con grande dignità, «se ti ho spaventato.»

Il ratto guardò Porta.

«No, lo pensa davvero» disse lei. «Non lo dice tanto per dire. Dunque, cosa mi porti?»

Armeggiò sul fianco del ratto e ne trasse un pezzette di carta marroncina piegato e ripiegato molte volte, che era stato legato con quello che a Richard parve proprio un elastico blu acceso.

Lo srotolò: un pezzo di carta marrone dai bordi irregolari, con sopra scritto qualcosa in una grafia molto sottile.

Lei lesse e annui. «Grazie» disse al ratto. «Apprezzo ciò che avete fatto per me.»

Questo sgambettò veloce sul divano, lanciò un’occhiataccia a Richard e in un attimo era già sparito nell’ombra.

La ragazza di nome Porta passò il foglietto a Richard. «Ecco» disse. «Leggi.»

Era tardo pomeriggio nel centro di Londra e, con l’autunno che volgeva al termine, era quasi buio. Richard aveva preso la metropolitana per Tottenham Court Road e ora stava camminando lungo Oxford Street diretto a ovest, il foglietto di carta ben stretto in mano.

«È un messaggio» gli disse allungandogli il bigliettino. «È del Marchese de Carabas.»

Richard era certo di avere già sentito quel nome. «Carino» commentò. «Cos’è, aveva finito le cartoline?»

«Cosi è più rapido.»

Superò le insegne luminose del Virgin Megastore, poi il negozio che come souvenir di Londra vendeva berretti da poliziotto e piccoli autobus rossi, poi il negozio dove vendevano la pizza al taglio, infine svoltò a destra…

«Devi attenerti alle indicazioni scritte qui. Cerca di non farti seguire da nessuno.» Quindi sospirò e aggiunse, «Davvero non ti dovrei coinvolgere fino a questo punto.»

«Se seguo le indicazioni… potrai andartene di qui più in fretta?»

«Si. »

In Hanway Street, una stradina stretta e buia, piena di malinconici negozi di dischi e di ristoranti chiusi, l’unica fonte di luce spioveva dai club privati al primo piano degli edifici. Ci passò sotto.

«’… Gira a destra in Hanway Street, poi a sinistra in Hanway Piace, quindi ancora a destra in Orme Passage. Al primo lampione che incontri ti fermi… Sei sicura che sia giusto?»

«Si.»

Non ricordava di avere mai visto Orme Passage, anche se in Hanway Piace c’era già stato, perché li si trovava un ristorante indiano che piaceva molto a Garry dell’ufficio. Per quel che ne sapeva lui, Hanway Piace era una strada senza uscita.

Il Mandeer: ecco come si chiamava il ristorante. Superò la porta d’ingresso, i gradini che lo invitavano a scendere e a entrare, poi svoltò a sinistra…

Si era sbagliato. C’era davvero un Orme Passage. Poteva persino leggerne il relativo cartello stradale:

ORME PASSAGE W1

Non c’era da stupirsi se non l’aveva notato prima: si trattava di poco più che uno stretto corridoio tra i palazzi, illuminato da uno scoppiettante lampione a gas.

Non se ne trovano più molti di questi, pensò Richard, sollevando le sue istruzioni verso la luce per dare un’ultima controllatina.

«’Poi ruota su te stesso tre volte contro le lancette’?»

«Significa in senso antiorario, Richard. »

Ruotò, per tre volte, sentendosi uno stupido.

«Senti, perché devo fare tutto questo, solo per incontrare un tuo amico. Voglio dire, non ha senso…»

«Ne ha di senso, invece. Davvero. Fallo, giusto per accontentarmi, va bene?»

E gli aveva sorriso.

Smise di girare. Camminò fino al termine del corridoio. Niente. Un bidone della spazzatura di metallo e, accanto a esso, qualcosa che poteva essere una pila di stracci.

«Ehi?» disse Richard. «C’è nessuno? Sono l’amico di Porta. Ehi?»