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— Invernomuto mi ha detto che eri soltanto una parte di qualcos’altro. Più tardi hai detto che non saresti più esistito se l’operazione fosse andata in porto e Molly fosse riuscita a inserire la parola nella fessura giusta — replicò Case, scegliendo con cura le parole.

Il cranio aerodinamico di Finn annuì.

— D’accordo, e allora con chi tratteremo dopo? Se Armitage è morto, e tu te ne andrai, chi mi dirà esattamente come eliminare dal mio sistema queste malefiche sacche di tossine? Chi farà uscire Molly da qui? Voglio dire, dove finiranno esattamente tutti i nostri stimati culi, una volta che ti avremo affrancato dai controlli?

Finn prese uno stuzzicadenti di legno dalla tasca e lo fissò con occhio critico, come un chirurgo che esamini un bisturi. — Buona domanda — rispose alla fine. — Conosci il salmone? È una specie di pesce. Questi pesci, vedi, sono costretti a nuotare controcorrente. Capisci?

— No.

— Be’, sono anch’io condizionato. E non so perché. Se dovessi sottoporti i miei pensieri, chiamiamole piuttosto ipotesi, sull’argomento, ci vorrebbero due tue vite complete. Perché ci ho pensato moltissimo. E ancora non lo so. Ma una volta che questa storia sarà finita, faremo le cose nella maniera giusta. Io sarò parte di qualcosa di più grosso. Di molto più grosso. — Finn volse lo sguardo in su e sulla matrice. — Ma le parti di me che adesso sono me ci saranno ancora. E tu avrai la tua ricompensa.

Case represse il folle impulso di scagliarsi in avanti, per serrare le dita intorno alla gola della figura, subito sopra il nodo della sdrucita sciarpa color ruggine. Per affondare ben bene i pollici nella laringe di Finn.

— Be’, buona fortuna — concluse Finn. Si girò, le mani in tasca, e strascicando come sempre i piedi ritornò verso l’arco verde.

— Ehi — disse il Flatline, quando Finn ebbe percorso una decina di passi. La figura si arrestò. Fece un mezzo giro su se stessa. — E io? E la mia ricompensa?

— L’avrai — rispose l’altro.

— Cosa significa? — domandò Case, mentre fissava la stretta schiena in tweed che s’allontanava.

— Voglio essere cancellato — disse il costrutto. — Te l’avevo detto, non ricordi?

Straylight ricordava a Case quei centri commerciali ancora deserti nelle primissime ore del mattino che aveva conosciuto quand’era adolescente, nelle località a bassa densità demografica dove le ore piccole portavano un’immobilità irrequieta, una specie di speranzoso torpore, una tensione che t’induceva a osservare gli insetti che svolazzavano intorno alle lampadine ingabbiate sopra gli ingressi dei negozi bui. Periferie subito oltre i confini dello Sprawl, troppo lontane dai clic e dai fremiti dei nuclei ribollenti in cui l’attività proseguiva tutta la notte. Era la stessa sensazione che avresti provato trovandoti circondato dagli abitanti addormentati di un mondo che sta per svegliarsi e che non hai alcun interesse a visitare e a conoscere, un mondo di affari noiosi e monotoni temporaneamente sospesi, un mondo di futilità e di ripetizione che presto si risveglierà.

Adesso Molly aveva rallentato, perché sapeva di essere prossima alla meta, oppure a causa della preoccupazione per la gamba. Il dolore stava ricominciando il suo irregolare calvario attraverso le endorfine, e Case non era sicuro di cosa significasse. Molly non parlava, teneva i denti stretti e regolava attentamente la respirazione. Era passata davanti a molte cose che Case non aveva capito, ma la sua curiosità era svanita. C’era stata una stanza piena di scaffali di libri, un milione di fogli di carta che stavano ingiallendo, pressati fra rilegature di tela o cuoio. A intervalli gli scaffali erano contrassegnati da etichette che ubbidivano a un codice di lettere e di numeri. Una galleria piena zeppa in cui Case, attraverso gli occhi indifferenti di Molly, aveva visto una lastra di vetro impolverata, qualcosa di etichettato come (lo sguardo di Molly aveva esaminato automaticamente la targhetta d’ottone) La mariée mise a nu par ses célibataires, même. Molly aveva allungato la mano per toccarla, le unghie artificiali avevano ticchettato sul Lexan che proteggeva il vetro rotto. Là c’era quello che ovviamente doveva essere l’ingresso alla struttura criogenica dei Tessier-Ashpool, porte circolari di vetro nero bordate di cromo.

Molly non aveva più incrociato nessuno dopo i due africani con il carrello, tanto che per Case quei due avevano assunto una sorta di esistenza fantastica. Li aveva immaginati che planavano delicatamente attraverso i corridoi di Straylight, con i loro lisci crani scuri luccicanti, e muovevano il capo a tempo mentre uno dei due cantava ancora la loro stanca canzoncina. E niente di tutto questo assomigliava neanche alla lontana alla villa Straylight che si sarebbe aspettato, un incrocio fra il castello delle favole di Cath e una fantasticheria semidimenticata dell’infanzia riguardante il santuario della Yakuza.

07:02:18.

Un’ora e mezza.

— Case, fammi un favore. — L’irrigidita Molly si calò su una pila di lastre d’acciaio lucidato, la cui levigatura era protetta da uno strato irregolare di plastica trasparente. Molly attaccò a sminuzzare la plastica della lastra superiore. Le lame scivolarono da sotto il pollice e l’indice. — La gamba non va bene, sai. Non immaginavo di dovermi sorbire un’arrampicata del genere, e l’endorfina non bloccherà il dolore ancora per molto. Così, forse… può anche succedere, no?… ho un problemino. Cosa succede se ci metto le mani sopra prima di Riviera? — E tese la gamba per massaggiare la pelle della coscia attraverso il policarburo dei Moderni e il cuoio parigino. — Voglio che gli dica… che tu gli dica che ero io, capito. Di’ soltanto che era Molly. Lui capirà. D’accordo? — Gettò un’occhiata al corridoio vuoto intorno, alle pareti spoglie. Qui il pavimento era cemento lunare grezzo e l’aria sapeva di resine. — Cazzo, amico, non so neppure se mi stai ascoltando.

CASE.

Molly trasalì, si alzò in piedi, annuì. — Cosa ti ha detto Invernomuto, amico? lì ha raccontato di Marie-France? Era la mezza Tessier, la madre genetica di 3Jane. E di quel pupazzo morto di Ashpool, immagino. Non riesco a capire perché me l’abbia rivelato, laggiù nel cubicolo… un sacco di roba… e perché debba presentarsi come Finn o qualcun altro. Mi ha detto che deve, ma non è una maschera, non è soltanto una maschera, è come se usasse degli autentici profili come valvole, vi s’innesta per comunicare con noi. Un template, come lo chiama lui. Un modello di personalità. — Tirò fuori la Fletcher e si allontanò zoppicando lungo il corridoio.

L’acciaio nudo e l’epossido scabro vennero sostituiti da quella che Case reputò dapprima una galleria aperta con l’esplosivo nella solida roccia. Quando Molly ne esaminò l’orlo, Case vide che in realtà lì l’acciaio era rivestito di placche d’una sostanza che assomigliava e dava la sensazione della gelida pietra. Molly s’inginocchiò a sfiorare con le dita la sabbia scura sparsa sul pavimento di quell’imitazione di galleria nella roccia. Al tatto pareva sabbia, fredda e asciutta, ma quando vi ebbe affondato un dito questa si richiuse come un liquido, lasciando indisturbata la superficie. Una dozzina di metri davanti a lei la galleria svoltava. Una cruda luce gialla proiettava ombre nette sulla pseudo-roccia delle pareti. Con un soprassalto, Case si rese conto che la gravità era quasi prossima a quella normale della Terra, il che significava che Molly doveva essere scesa di nuovo dopo l’arrampicata. Adesso era completamente smarrito, e quel disorientamento spaziale suscitava un particolare terrore nel cowboy.

Ma Molly non s’era smarrita, si disse.

Qualcosa sfrecciò fra le sue gambe e proseguì ticchettando sulla non-sabbia del pavimento. Un led rosso ammiccò. Il Braun.

Il primo ologramma l’aspettava subito dopo la curva, una specie di trittico. Molly abbassò la Fletcher prima che Case avesse il tempo di rendersi conto trattarsi di una registrazione. Quelle figure erano caricature di luce, vignette in formato naturale: Molly, Armitage e Case. I seni di Molly erano troppo grandi, visibili attraverso un’aderente maglia a rete nera sotto una pesante giacca di pelle. La vita era impossibilmente stretta, le lenti argentate le coprivano metà del viso. Impugnava un’arma di qualche tipo, assurdamente complicata: la forma era quella di una pistola, ma quasi scompariva sotto un rivestimento flangiato di mirini telescopici, silenziatori, coprilampi. Le gambe erano divaricate, il bacino inclinato in avanti, la bocca cristallizzata in un sorriso di crudeltà beota. Accanto a lei Armitage era irrigidito sull’attenti, in una logora uniforme kaki. Quando Molly avanzò con cautela, Case vide che i suoi occhi erano minuscoli monitor, ognuno dei quali mostrava l’immagine grigio azzurra di un’ululante distesa di neve, i tronchi neri e spogli dei sempreverdi che s’incurvavano sotto venti silenziosi.