Mi avvicinai ad Alice. Mi parlò a un centimetro dall’orecchio.
«Non credevo che li conoscessi», disse, «e che sapessi cosa significa, quando ho detto che Edward era partito per l’Italia. Pensavo di dovertelo spiegare. È stato lui a parlartene?».
«Sì, ma mi ha detto soltanto che sono antichi e potenti, una specie di famiglia reale. Che solo chi desidera morire...», sussurrai, «si mette contro di loro». Fu difficile pronunciare quelle parole.
«Devi aver chiara una cosa», disse mitigando la tensione. «Noi Cullen siamo unici per altri motivi, oltre a quelli che conosci. È... innaturale che tanti di noi vivano assieme e in pace, come la famiglia di Tanya, a nord. Secondo Carlisle, l’astinenza facilita la civilizzazione e la formazione di legami basati sull’affetto anziché sulla sopravvivenza o sulla convenienza. Persino il clan di James era più numeroso del normale, però hai visto anche tu quanto sia stato facile per Laurent staccarsene. Di norma, siamo gente che viaggia da sola o in coppia. Per quel che ne so, la famiglia di Carlisle è la più numerosa in circolazione, con una sola eccezione: i Volturi. All’inizio erano soltanto in tre: Aro, Caius e Marcus».
«Li ho visti», mormorai, «nel quadro dello studio di Carlisle».
Alice annuì. «Nel corso degli anni, a loro si sono unite due femmine e la famiglia si è allargata a cinque membri. Non ne sono sicura, ma credo che nel loro caso sia l’età a facilitare la convivenza. Hanno più di tremila anni. O forse sono i loro poteri a renderli più tolleranti. Come me ed Edward, Aro e Marcus hanno delle... doti».
Proseguì prima che potessi chiedere spiegazioni. «Ma forse il loro legame si fonda sulla sete di potere. L’immagine della famiglia reale calza a pennello».
«Ma se sono soltanto in cinque...».
«Cinque sono i membri della famiglia», precisò. «Poi c’è il corpo di guardia».
Ripresi fiato. «Che cosa... seria».
«Lo è», confermò Alice. «L’ultima volta che ne abbiamo sentito parlare, la guardia era formata da nove elementi, più altri... di passaggio. Molti hanno poteri speciali, qualità al cui confronto le mie sono giochetti di prestigio da dilettanti. È in base a queste caratteristiche, fisiche o di altro genere, che i Volturi li scelgono».
Stavo per interromperla e fare una domanda, ma decisi di tacere. Non volevo sapere quanto basse fossero le nostre probabilità.
Annuì di nuovo, come se avesse capito esattamente ciò che pensavo. «Non scendono in campo facilmente. Nessuno è tanto stupido da andare a stuzzicarli. Se ne restano nella loro città, da cui escono soltanto se il dovere li chiama».
«Quale dovere?», domandai.
«Edward non ti ha spiegato nulla?».
«No», risposi con espressione vuota.
Alice lanciò un’altra occhiata alle mie spalle, verso l’uomo d’affari, e avvicinò le labbra gelide al mio orecchio.
«C’è una ragione per cui li consideriamo la nostra famiglia reale... la classe dirigente. Nel corso dei millenni hanno assunto il ruolo di controllori delle regole, il che consiste, a conti fatti, nel punire i trasgressori. E svolgono il proprio compito con rigore».
Strabuzzai gli occhi, sorpresa. «Ci sono delle regole?», chiesi a voce troppo alta.
«Sssh!».
«Perché nessuno me ne ha mai parlato prima?», bisbigliai arrabbiata. «In fondo volevo essere un... una di voi! Non pensavate che qualcuno avrebbe dovuto spiegarmi queste regole?».
Ridacchiò. «Non è così complicato, Bella. C’è soltanto una limitazione fondamentale... se ci pensi bene, la scoprirai da te».
Meditai sulle sue parole. «No, proprio non ne ho idea».
Scosse la testa, delusa. «Forse è troppo ovvio. Dobbiamo mantenere segreta la nostra esistenza».
«Oh», mormorai. In effetti era ovvio.
«È una regola sensata e la maggior parte di noi c’è l’ha ben presente», proseguì. «Ma nei secoli, capita che qualcuno si annoi. O impazzisca. Cose del genere. In quel caso, i Volturi intervengono prima che il ribelle comprometta loro, o altri».
«Quindi, Edward...».
«Vuole infrangere le regole nella loro città, quella che in segreto dominano da tremila anni, dall’epoca etrusca. Sono talmente protettivi che la caccia non è consentita all’interno delle mura. Probabilmente Volterra è la città più protetta del mondo, perlomeno dagli attacchi dei vampiri».
«Hai detto che non ne escono mai. Come fanno a mangiare?».
«Non escono. Attirano il cibo dall’esterno, anche da molto lontano. È una buona occupazione per le guardie, se non sono impegnate ad annientare i sovversivi. O a proteggere Volterra dalle intrusioni...».
«Di qualcuno come Edward», conclusi. Pronunciare il suo nome era diventato incredibilmente facile. Non sapevo bene cosa fosse cambiato. Forse dipendeva dal fatto che non avevo intenzione di sopravvivere a lungo senza di lui. Anzi, forse era troppo tardi e non ci saremmo più rivisti. Era un sollievo sapere che in un modo o nell’altro avrei trovato una soluzione.
«Dubito che si siano mai trovati in una situazione come questa», mormorò dispiaciuta. «Non capita spesso che un vampiro voglia suicidarsi».
Mi lasciai scappare un suono smorzato e Alice capì che si trattava di un gemito di dolore. Con il braccio snello e forte mi cinse le spalle.
«Faremo il possibile, Bella. Non è ancora finita».
«Non ancora». Mi lasciai consolare, ma sapevo che lei stessa era tutt’altro che ottimista. «E se combiniamo qualche pasticcio i Volturi prenderanno anche noi».
Alice si irrigidì. «Lo dici come se fosse una bella cosa».
Scrollai le spalle.
«Piantala, Bella, oppure a New York invertiamo la marcia e torniamo a Forks».
«Cosa?».
«Lo sai. Se arriviamo troppo tardi, mi farò in quattro per riportarti da Charlie e non tollererò altri problemi. Chiaro?».
«Certo, Alice».
Si allontanò quel poco che bastava a guardarmi in cagnesco. «Niente guai».
«Parola di scout», mormorai.
Alzò gli occhi al cielo.
«Adesso lasciami concentrare. Cercherò di vedere che piani ha».
Senza staccare il braccio dalle mie spalle, posò la testa sullo schienale e chiuse gli occhi. Con la mano libera si coprì la faccia, massaggiandosi una tempia con le dita.
Rimasi a guardarla a lungo, affascinata. A un certo punto si immobilizzò del tutto, come una scultura marmorea. I minuti passavano e, se non avessi saputo la verità, l’avrei creduta addormentata. Non osavo interromperla per chiederle cosa stesse accadendo.
Desideravo tanto avere pensieri più rassicuranti per la testa. Se volevo evitare di strillare, non potevo permettermi di concentrarmi sugli orrori verso i quali stavamo volando né—prospettiva ancora più orrenda—sull’eventualità di un fallimento.
Neanch’io riuscivo a prevedere nulla. Forse, con molta, molta, molta fortuna, sarei riuscita a salvare Edward. Ma non ero tanto stupida da pensare che salvarlo equivalesse a tornare con lui. Non ero né diversa né speciale, rispetto a prima. Non gli avrei fornito nessun altro motivo per desiderarmi ancora. L’avrei visto e perduto un’altra volta...
Lottai contro il dolore. Era il prezzo da pagare per salvargli la vita, e l’avrei pagato.
Proiettarono un film e il mio vicino indossò le cuffie. Di tanto in tanto guardavo le sagome sul piccolo schermo, ma non riuscivo a capire se fosse una storia romantica o dell’orrore.
Dopo un’eternità, l’aereo iniziò la discesa verso New York. Alice era ancora in trance. Allungai una mano, incerta, per toccarla, ma la ritrassi subito. Ci provai un’altra dozzina di volte, prima che l’aereo atterrasse con un impatto brusco.