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Il pilota parlò all’interfono e annunciò, prima in francese e poi in inglese, l’atterraggio imminente. Il segnale delle cinture di sicurezza suonò e si accese.

«Quanto dista Firenze da Volterra?».

«Dipende dalla velocità del mezzo... Bella?».

«Dimmi».

Mi guardò seria. «Ti sentiresti molto a disagio di fronte alla prospettiva di un furto d’auto?».

A pochi passi da me inchiodò una Porsche gialla, con la scritta TURBO in corsivo svolazzante e argentato sulla coda. Tutti i presenti, me esclusa, si voltarono a guardare.

«Sbrigati, Bella!», gridò Alice, impaziente, dal finestrino abbassato.

Corsi verso l’auto e mi precipitai nell’abitacolo, con il sospetto che forse avrei dovuto coprirmi il volto con un passamontagna o una calza di nylon. «Caspita, Alice», esclamai. «Una più appariscente non potevi trovarla, eh?».

Gli interni erano in pelle nera e i finestrini oscurati. Ci si sentiva al sicuro, come di notte.

Alice era già intenta a sgattaiolare, troppo velocemente, attraverso il traffico denso dell’aeroporto, infilandosi in varchi angusti tra un’auto e l’altra, mentre armeggiavo con la cintura di sicurezza.

«Sarebbe più sensato chiedersi se avrei potuto rubarne una più veloce, e non credo. Mi è andata bene».

«Immagino che ci farà comodo, al primo posto di blocco».

Fece squillare una risata. «Fidati, Bella. Non faranno neanche in tempo a prepararli, i posti di blocco». Diede un colpo d’acceleratore, a mo’ di conferma.

Forse avrei dovuto godermi il panorama, mentre la città di Firenze e la campagna toscana sfilavano a gran velocità, ma il mio primo viaggio in assoluto rischiava di essere anche l’ultimo. La guida di Alice mi terrorizzava, per quanto di lei mi fidassi. E mi sentivo torturare dall’ansia ogni volta che all’orizzonte spuntavano guglie e mura di città che da lontano sembravano castelli.

«Hai visto altro?».

«È in corso qualcosa, una specie di festeggiamento. Le strade sono piene di gente e di bandiere rosse. Quanto ne abbiamo oggi?».

Non ne ero sicura. «Quindici, mi pare».

«Che ironia. È San Marco».

«Cosa significa?».

Rispose con un ghigno cupo. «Ogni anno, la città festeggia il vescovo cristiano Marco—che in realtà è il Marcus dei Volturi—perché, secondo la leggenda, scacciò i vampiri da Volterra, quindici secoli fa. Si narra che morì martire in Romania, mentre tentava di liberare dai vampiri anche quella terra. Ovviamente è falso: non ha mai abbandonato la città. Ma questa è l’origine di certe superstizioni, come la storia delle croci e dell’aglio, e il vescovo Marcus ne ha fatto buon uso. Evidentemente funzionano, perché i vampiri stanno lontani da Volterra». Rise sardonica. «Nei secoli è diventata la festa patronale. Tra l’altro, Volterra è una città sicurissima e il merito se lo prende la polizia».

Iniziavo a capire perché avesse definito la situazione “ironica”. «Immagino che vedersi rovinare la festa di San Marco da Edward non gli farà affatto piacere».

Scosse la testa, demoralizzata. «No. Agiranno rapidissimamente».

Guardai altrove, sforzandomi di non staccarmi a morsi il labbro inferiore. Mettermi a sanguinare in quel momento non sarebbe stata una grande idea.

Nel cielo azzurro il sole era spaventosamente alto.

«È sempre deciso per mezzogiorno?», chiesi.

«Sì. È disposto ad aspettare. E loro aspettano lui».

«Dimmi cosa devo fare».

Non staccava gli occhi dalla strada sinuosa e la lancetta del tachimetro segnava il punto estremo. «Niente. Basta che lui ti veda prima di esporsi al sole. E prima ancora di vedere me».

«Come facciamo?».

Alice sorpassò un’auto rossa, tanto lenta che sembrava andasse in retromarcia.

«Cercherò di scaricarti il più vicino possibile e a quel punto correrai dove ti indicherò».

Annuii.

«Cerca di non inciampare», aggiunse. «Oggi non c’è tempo per commozioni cerebrali».

Risposi con un lamento. Sarebbe stata una mossa delle mie: rovinare tutto, distruggere il mondo in un attimo di supergoffaggine.

Il sole saliva lento nel cielo, mentre Alice gli correva incontro. C’era troppa luce, sentivo crescere il panico. In fondo, nessuno lo obbligava ad aspettare mezzogiorno.

«Eccoci», disse lei all’improvviso, indicandomi le mura di una città sul colle più vicino.

Restai a guardarla, in balia dei primi segni di un timore nuovo. Ogni istante, da quando Alice aveva pronunciato il suo nome ai piedi della scala—era passato soltanto un giorno, ma sembrava una settimana -, era stato dominato da una sola paura. Invece, ora, di fronte alla corona di mura antiche e torri che cingeva la collina ripida, ne sentii un’altra, più inquietante ed egoista.

La città doveva essere davvero meravigliosa. Ne ero assolutamente terrorizzata.

«Eccoci», annunciò Alice in tono gelido e distaccato.

20

Volterra

Imboccammo la salita ripida e il traffico si fece denso. Più in alto diminuiva lo spazio per le folli manovre di Alice. Rallentammo fin quasi a fermarci dietro una piccola Peugeot scura.

«Alice», implorai. L’orologio sul cruscotto sembrava accelerare.

«È l’unico accesso alla città», disse come per tranquillizzarmi. Ma la sua voce era troppo nervosa.

La colonna procedeva a singhiozzo, pochi metri alla volta. Il sole splendeva raggiante, sembrava al culmine del proprio cammino.

Le auto strisciavano in fila verso la città. A mano a mano che ci avvicinavamo, le vedevo parcheggiare sul ciglio della strada, abbandonate dai visitatori che preferivano proseguire a piedi. Sulle prime pensai fosse soltanto impazienza, una sensazione che capivo benissimo. Ma a un certo punto incontrammo un’interruzione e notai il parcheggio sotto le mura della città affollato dai turisti che entravano a piedi. L’accesso alle auto era vietato.

«Alice», la incalzai.

«Lo so», rispose. Il suo viso sembrava scolpito nel ghiaccio.

Ora che guardavo fuori e che viaggiavamo lentamente, notai il forte vento. I visitatori si tenevano le mani in testa per non perdere il cappello o farsi spettinare. L’aria gonfiava i vestiti. Mi accorsi anche che il colore rosso predominava: magliette rosse, cappelli rossi, bandiere rosse frustate dal vento come nastrini. Sotto il mio sguardo, la sciarpa rosso vivo che una donna si era annodata in testa fu scagliata via da una raffica improvvisa, impennandosi in aria sopra di lei, contorcendosi come fosse viva. La donna cercò di afferrarla con un salto, ma quella non smetteva di svolazzare, sempre più in alto, uno squarcio di sangue sullo sfondo opaco delle mura antiche.

«Bella». Alice parlò in fretta, a bassa voce, senza tentennare. «In questo momento non riesco a prevedere le decisioni delle guardie. Se non funziona, ti toccherà entrare da sola. Dovrai correre. Continua a chiedere la direzione per Palazzo dei Priori e corri verso il punto che ti indicano. Non perderti».

«Palazzo dei Priori, Palazzo dei Priori...», mi ripetei per fissarmelo nella mente.

«O chiedi della torre campanaria. Io farò il giro attorno alla città, in cerca di un posto non troppo in vista dove scavalcare le mura».

Annuii. «Palazzo dei Priori...».

«Troverai Edward ai piedi della torre, sul lato settentrionale della piazza. Si è nascosto nell’ombra di un vicoletto, all’angolo destro. Cerca di attirare la sua attenzione prima che si esponga alla luce».

Alice era arrivata quasi in fondo alla coda. Un uomo in uniforme blu dirigeva il traffico e allontanava le auto dal parcheggio pieno. Quelle invertivano la marcia e andavano a cercarsi posto sul ciglio della strada. Infine, fu il turno di Alice.

L’uomo in uniforme faceva cenni pigri, senza badare troppo ai guidatori. Alice accelerò, passò oltre e puntò verso la porta delle mura. Il vigile urlò qualcosa ma restò dov’era, sbracciandosi frenetico per impedire che la macchina che ci seguiva imitasse il cattivo esempio.