Il viaggio in ascensore durò poco. Dopo una breve salita sbucammo in quella che sembrava l’anticamera di un ufficio di lusso. Le pareti erano rivestite da pannelli di legno, la moquette sul pavimento era verde scuro. Al posto delle finestre campeggiavano panorami grandi e luminosi della campagna toscana. C’erano poltroncine di pelle chiara disposte a piccoli gruppi, e sui tavoli laccati spiccavano vasi pieni di fiori dai colori accesi. Il profumo che irradiavano mi fece pensare a un’impresa di pompe funebri.
Restai sorpresa quando vidi una donna dietro un’alta scrivania di mogano lucido al centro della stanza.
Era alta, abbronzata, con gli occhi verdi. In qualsiasi altro contesto l’avrei trovata bella, ma non lì. Perché era un essere umano, esattamente come me. Non riuscivo a capire cosa ci facesse in quel posto una donna, totalmente a proprio agio, circondata da vampiri.
Li accolse con un sorriso gentile. «Buon pomeriggio, Jane», disse. Non fu affatto sorpresa dallo strano gruppo che formavamo. Nemmeno da Edward, il cui petto nudo riluceva fioco sotto i neon bianchi, né da me, sciatta e, al confronto, orribile.
Jane annuì. «Ciao, Gianna». La seguimmo mentre puntava verso una porta di legno a doppia anta in fondo al locale.
Passando davanti alla scrivania, Felix strizzò l’occhio a Gianna, che fece un risolino.
Oltre la soglia trovammo un genere diverso di accoglienza. C’era un ragazzo pallido, dal vestito grigio perla, che avrebbe potuto passare per il gemello di Jane. Aveva i capelli più scuri e le labbra meno pronunciate, ma era altrettanto carino. Ci venne incontro e ci salutò. «Jane», disse poi con un sorriso.
«Alec», rispose la ragazza e lo abbracciò. Si baciarono sulle guance. Poi lui guardò verso di noi.
«Esci a prenderne uno e ne riporti indietro due... e mezza», precisò guardandomi. «Bel lavoro».
Lei rise sprizzando gioia come una bambina.
«Bentornato, Edward», disse Alec. «Mi sembri finalmente di buonumore».
«Un poco», rispose Edward senza tradire emozioni. Osservai la sua espressione dura e mi chiesi com’era possibile che il suo umore fosse stato peggio di così.
Alec ridacchiò e mi osservò aggrappata al braccio di Edward. «Questa sarebbe la causa di tutti i problemi?», chiese scettico.
Edward abbozzò un sorriso velato di disprezzo. Poi restò immobile.
«Fatti avanti», disse Felix tranquillo, da dietro.
Edward si voltò e nel suo petto risuonò un ringhio cupo. Felix sorrise e con l’indice invitò Edward a farsi avanti.
Alice sfiorò il braccio del fratello. «Sii paziente», lo ammonì.
I due si scambiarono uno sguardo intenso, chissà cosa si stavano dicendo. Probabilmente Alice stava cercando di convincere Edward a non attaccare Felix, dato che dopo un po’ lui fece un respiro profondo e si rivolse ad Alec.
«Aro sarà lieto di rivedervi», disse quest’ultimo, come se niente fosse.
«Non facciamolo aspettare», suggerì Jane.
Edward annuì.
Alec e Jane, mano nella mano, ci fecero strada lungo un altro corridoio, ampio e ricco di decorazioni. Saremmo arrivati, prima o poi, a destinazione?
Ignorarono le porte rivestite d’oro verso cui conduceva il passaggio, fermandosi a metà strada per aprire un pannello scorrevole che celava una semplice porta di legno. Non era chiusa. Alec lasciò che Jane lo precedesse.
Stavo per mettermi a singhiozzare, quando Edward mi spinse al di là della soglia. Ritrovammo lo stesso acciottolato antico della piazza, del vicolo e delle fognature. E di nuovo c’erano buio e freddo.
L’anticamera non era ampia. Si aprì quasi subito in una stanza cavernosa, illuminata, perfettamente circolare, come la torre di un castello... e forse proprio di una torre si trattava. A due piani da terra, le finestre alte e strette gettavano sottili rettangoli di luce sulla pavimentazione. Non c’era alcun tipo di illuminazione artificiale. L’unico arredo erano tante enormi sedie di legno, simili a troni, disposte irregolarmente lungo la curva della parete. Al centro del cerchio, leggermente incassato, c’era un altro tombino. Forse lo usavano per uscire, come quello che dava sulla strada.
La stanza non era vuota. Un capannello di persone era impegnato in conversazioni rilassate. Il mormorio delle loro voci basse e dolci attraversava l’aria gentile. Mentre li osservavo, una coppia di donne pallide con vestiti leggeri attraversò una chiazza di luce e la loro pelle, come un prisma, irradiò gocce di arcobaleno contro le pareti color terra di Siena.
Tutti quei volti deliziosi si voltarono verso di noi. La maggior parte di loro indossava pantaloni e camicie anonimi, indumenti che in strada sarebbero passati inosservati. Soltanto l’uomo che si rivolse a noi era avvolto da una tunica, nera come la pece e lunga fino a terra. Per un istante pensai che i suoi capelli lunghi e corvini fossero il cappuccio.
«Jane, cara, sei tornata!», esclamò gioioso. La sua voce era un sussurro delicato. Si fece avanti, con un gesto tanto pieno di grazia irreale da lasciarmi esterrefatta. Nemmeno Alice, che quando si muoveva sembrava danzare, reggeva il confronto.
Quando lo vidi da vicino il mio stupore non poté che aumentare. Il suo viso era diverso dai volti pur incredibilmente belli che lo circondavano. Non si era fatto avanti da solo: l’intero gruppo gli si fece attorno, seguendolo e precedendolo con l’atteggiamento circospetto delle guardie del corpo. Non riuscivo a capire se fosse bello o no. I suoi lineamenti sembravano perfetti. Ma era diverso dagli altri vampiri quanto loro lo erano da me. La sua pelle bianca era quasi trasparente, come una buccia di cipolla, e come quella sembrava delicata e sottile, in contrasto con i lunghi capelli neri che gli incorniciavano il viso. Sentii lo strano e spaventoso desiderio di sfiorargli una guancia, per capire se fosse più morbida di quella di Edward o Alice, o invece friabile come il gesso. Gli occhi erano rossi, uguali a quelli dei suoi sodali, ma con una sfumatura sfocata, lattiginosa. Chissà se la vista ne risentiva.
Scivolò accanto a Jane, le prese la testa tra le mani delicate, le diede un bacio leggero sulle labbra carnose e fece un passo indietro.
«Sì, Signore», sorrise Jane; somigliava a un amorino. «L’ho riportato indietro vivo, proprio come voi avete chiesto».
«Ah, Jane». Anche lui sorrideva. «Che conforto mi dai».
Alzò lo sguardo annebbiato su di noi e il sorriso si illuminò, estatico. «E ci sono anche Alice e Bella!», esultò, con un battito delle mani sottili. «Che lieta sorpresa! Meraviglioso!».
Lo guardavo stupita, mentre pronunciava i nostri nomi come fossimo vecchie amiche passate a trovarlo per caso.
Si rivolse al nostro nerboruto custode. «Felix, sii gentile e annuncia ai miei fratelli che abbiamo visite. Sono sicuro che non resisteranno all’invito».
«Sì, Signore». Felix annuì e sparì dietro la soglia.
«Vedi, Edward?». Lo strano vampiro si voltò verso di lui e gli sorrise come un nonno affettuoso ma burbero. «Cosa ti avevo detto? Non sei lieto di non aver avuto ciò che mi hai chiesto ieri?».
«Sì, Aro, lo sono», rispose, stringendomi il braccio attorno alla vita.
«Adoro i lieto fine». Aro sospirò. «Sono così rari. Ma voglio sentire tutta la storia. Com’è potuto accadere? Alice?». Si voltò verso di lei fissandola con lo sguardo curioso e annebbiato. «Tuo fratello ti credeva infallibile, ma a quanto pare c’è stato un errore».
«Ah, sono tutt’altro che infallibile». Sfoderò un sorriso brillante. Sembrava perfettamente a proprio agio, ma stringeva i pugni. «Come hai potuto vedere tu stesso, risolvo tanti problemi quanti ne creo».
«Sei troppo modesta», chiosò Aro. «Ho seguito certe tue imprese straordinarie e devo ammettere di non aver mai osservato doti come le tue. Meraviglioso!».
Alice lanciò un’occhiata a Edward. Aro non se la lasciò sfuggire.
«Scusa, non ci siamo ancora presentati, vero? È soltanto che mi sembra di conoscerti già e a volte mi faccio prendere la mano. Tuo fratello mi ha parlato di te ieri, in maniera piuttosto singolare. Vedi, ho un certo talento in comune con lui, ma purtroppo il mio deve sottostare a certi limiti». Aro scosse la testa; sembrava invidioso.