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Non c’era traccia di Rachel.

Il cancello scricchiolò quando lo aprii, e l’eco sembrò squarciare il silenzio della notte. Scivolai dall’altra parte, e fui inghiottito dall’oscurità.

Rachel sentì l’auto dondolare quando Marc scese.

Aspettò solo un minuto, ma le sembrò che fossero passate due ore. Quando decise che era il momento di azzardare, sollevò il cofano di qualche centimetro e sbirciò fuori.

Non vide nessuno.

Si era portata una pistola, una Glock.22 calibro 40 semiautomatica, l’arma di ordinanza dei federali, oltre agli occhiali per la visione notturna, i Rigel 3501 Gen. 2+. In tasca aveva il palmare m grado di leggere i segnali del Q-Logger.

Non temeva di essere vista, ciò nonostante sollevò il cofano il minimo necessario per rotolare fuori, e rimase immobile a terra per qualche istante. Allungò una mano dentro il bagagliaio e prese pistola e occhiali, poi richiuse silenziosamente il cofano.

Le operazioni sul campo le erano sempre piaciute, o quanto meno l’addestramento per tali operazioni. Aveva partecipato a poche missioni come quelle che si vedono nei film d’azione, perché di solito gli appostamenti venivano effettuati con strumentazioni sofisticate, a bordo di furgoni trasformati in cabine di regia, o con aerei spia e fibre ottiche. Difficilmente ci si ritrovava a strisciare di notte in tuta nera e con il viso ricoperto di nerofumo.

Si accucciò contro la ruota posteriore e vide in lontananza Marc che risaliva il sentiero. Infilò la pistola nella fondina e agganciò i visori notturni alla cintura. Poi, tenendosi chinata, cercò di individuare una posizione più elevata. C’era ancora luce a sufficienza e non aveva bisogno degli occhiali.

Una falce di luna apparve nel cielo, non c’erano stelle. Marc, più avanti, aveva portato il cellulare all’orecchio e teneva la sacca di tela sulla spalla. Rachel si guardò attorno, ma non vide nessuno: sarebbe avvenuta qui la consegna del riscatto? Il posto non era male, se ci si era preparata una via di fuga. Cominciò a valutare le varie possibilità.

Fort Tryon si trovava in alto rispetto alla strada, il trucco era quindi di trovarsi un posto d’osservazione ancora più in alto. Lei cominciò a salire e stava ancora cercando il punto adatto quando Marc uscì dal parco.

Maledizione. Doveva mettersi di nuovo in movimento.

Ridiscese strisciando come una testa di cuoio; l’erba pungeva e sapeva di fieno, a causa delle scarse piogge, pensò. Cercò di non perdere di vista Marc, ma non lo vide più quando lui a un certo punto svoltò. Allora decise di rischiare e di muoversi più in fretta; poi, arrivata al cancello, si nascose dietro uno dei due pilastri.

Marc era lì, ma non vi rimase per molto. Con il cellulare di nuovo accostato all’orecchio, girò a sinistra e scomparve lungo le scale che portavano alla linea A.

Più su rispetto a lei, Rachel vide un uomo e una donna con un cane. Magari facevano parte della banda o forse erano solo una coppia che portava a spasso il cane. Di Marc sempre nessuna traccia, ma a quel punto non c’era più tempo per chiedersi cosa fare. Rachel si chinò nascondendosi dietro un muretto e poi, tenendo le spalle contro la parete, si diresse alle scale.

Edgar Portman assomigliava a un personaggio di Noel Coward, secondo Tickner. Indossava un pigiama di seta e sopra una vestaglia rossa allacciata con cura in vita, ai piedi aveva babbucce di velluto. Il frateho Carson, al contrario, aveva il pigiama mezzo aperto, i capelli scompigliati e gli occhi rossi.

Sembrava che i due Portman non riuscissero a staccare gli occhi dalle foto scaricate dal CD.

«Edgar, non traiamo conclusioni affrettate» disse Carson.

«Non traiamo?…» Edgar si rivolse a Tickner. «Gli ho dato i soldi.»

«Sì, signore, lo sappiamo» disse Tickner. «Un anno e mezzo fa.»

«No.» Edgar cercò di mettere una nota di impazienza in quel “no”, ma non ne aveva la forza. «Di recente, intendevo dire. Oggi, per la precisione.»

Tickner si rizzò sulla sedia. «Quanto?»

«Due milioni di dollari. Ci è arrivata un’altra richiesta di riscatto.»

«E perché non vi siete messi in contatto con noi?»

«Ma certamente.» Edgar emise un suono a metà tra una risatina e un ghigno. «Visto l’ottimo lavoro che avete fatto l’altra volta.»

Tickner sentì il sangue pulsargli nelle vene. «Mi sta dicendo che ha dato a suo genero altri due milioni di dollari?»

«È precisamente quello che sto dicendo.»

Carson Portman stava ancora guardando le foto. Edgar gli lanciò uno sguardo, per poi riportare l’attenzione su Tickner. «È stato Marc Seidman a uccidere mia figlia?»

Carson si alzò in piedi. «Lo sai benissimo che non è stato lui.»

«Non lo sto chiedendo a te, Carson.»

Guardarono entrambi Tickner, che sembrava che non li avesse nemmeno sentiti. «Ha detto che si è visto oggi con suo genero?»

Se Edgar era infastidito perché l’uomo aveva ignorato la sua domanda, non lo diede a vedere. «Questa mattina presto» rispose. «Al Memorial Park.»

Tickner indicò le foto. «E c’era anche questa donna con lui?»

«No.»

«L’avevate mai vista?»

Carson ed Edgar risposero di nuovo no. Edgar prese una foto. «Mia figlia aveva assunto un investigatore privato?»

«Sì.»

«Non capisco. Chi è questa donna?»

Di nuovo l’agente ignorò la domanda. «Il biglietto con la richiesta di riscatto l’avete ricevuto come l’altra volta?»

«Sì.»

«Non riesco a capire. Come facevate a sapere che non si trattava di una truffa? Chi vi diceva che a mandarvi quel biglietto erano stati i veri rapitori?»

Fu Carson a rispondere. «Credevamo che fosse una truffa, sulle prime.»

«E che cosa vi ha convinti del contrario?»

«Hanno mandato degli altri capelli.» Carson gli parlò in breve delle analisi e della richiesta di altri esami fatta dal dottor Seidman.

«Gli avete dato tutti i campioni di capelli, allora?»

«Sì» rispose Carson.

Edgar sembrava di nuovo concentrato sulle foto. «Seidman aveva una storia con questa donna?» chiese furibondo.

«Non saprei risponderle.»

«Per quale motivo, altrimenti, mia figlia avrebbe fatto scattare queste foto?»

Squillò un cellulare. Tickner si scusò e rispose.

«Bingo!» disse O’Malley.

«Che c’è?»

«Dobbiamo ringraziare il Telepass di Seidman. Il nostro amico è passato cinque minuti fa al casello del George Washington Bridge.»

«Scendi fino a quel sentiero» disse la voce metallica.

C’era ancora abbastanza luce per vedere i primi gradini. Li discesi e poi le tenebre mi avvolsero, costringendomi a portare avanti lentamente il piede a ogni gradino come un cieco che muove il bastone avanti a sé. Non mi piaceva come si stavano mettendo le cose, non mi piaceva assolutamente. Mi chiesi che fine avesse fatto Rachel. Era nelle vicinanze? Feci del mio meglio per seguire il sentiero, che curvava a sinistra, e inciampai nei lastroni.

«Okay» disse la voce. «Stop.»

Mi fermai. Davanti a me non vedevo un accidenti, alle mie spalle il debole chiarore della strada stava definitivamente scomparendo. Sulla destra c’era un ripido pendio. L’aria era quella caratteristica dei parchi cittadini, un misto di fresco e di stantio. Drizzai le orecchie nella speranza di udire qualche suono familiare, ma mi giunse soltanto il lontano fruscio cadenzato del traffico.