«Posa i soldi a terra.»
«No, voglio vedere mia figlia.»
«Metti giù i soldi.»
«Avevamo fatto un patto: io vi faccio vedere i soldi e voi mi fate vedere mia figlia.»
Non ebbi risposta. Sentivo il sangue ronzarmi nelle orecchie e la paura stava per sopraffarmi. No, non mi piaceva come si erano messe le cose, ero troppo esposto. Lanciai uno sguardo al sentiero alle mie spalle, avrei potuto mettermi a correre urlando come un pazzo. Gli abitanti di questa zona sono più solidali che nel resto di Manhattan, qualcuno avrebbe potuto chiamare la polizia o venire in mio aiuto.
«Dottor Seidman?»
«Sì?»
Poi il raggio di una torcia elettrica mi colpì in viso. Battei le palpebre, sollevando una mano per proteggermi gli occhi, quindi li socchiusi tentando di vedere chi c’era dietro la torcia. Qualcuno abbassò il raggio e i miei occhi finalmente si adattarono alla nuova luce, ma non ce n’era bisogno. Il raggio fu interrotto da una sagoma umana e vidi subito, senza possibilità d’errore, chi si era interposto tra me e la torcia.
Era un uomo e mi parve di notare anche la sua camicia a scacchi, ma non ne ero certo. Era solo una sagoma, come dicevo, e non riuscii a distinguere lineamenti, colori o disegni. Quindi la camicia a scacchi potrei essermela immaginata. Ma non il resto, forme e contorni erano fin troppo netti.
Aggrappato alla gamba dell’uomo, subito sopra il ginocchio, c’era un bambino. O forse una bambina.
27
Lydia avrebbe preferito che ci fosse più luce, per vedere l’espressione del dottor Seidman in quel momento. Ma il desiderio di guardare in viso la sua vittima non aveva nulla a che fare con la crudeltà della quale stava per dare dimostrazione. La sua era soltanto curiosità, più profonda di quella insita nella natura umana, la stessa che spinge gli automobilisti a rallentare per vedere le conseguenze di un incidente. Quell’uomo si era visto portare via la sua bambina e per un anno e mezzo si era tormentato per sapere che fine avesse fatto la piccola, restando sveglio la notte e prefigurando immagini così angosciose che sarebbe meglio rimanessero negli oscuri recessi del nostro subconscio.
Ora l’aveva vista, la bambina.
Sarebbe stato quindi innaturale non avere la curiosità di vedere l’espressione del suo viso.
I secondi passavano ed era ciò che lei voleva. Voleva protrarre la tensione, portarlo oltre il suo limite di sopportazione, sfinirlo prima di sferrare il colpo decisivo.
Lydia estrasse la Sig-Sauer, tenendola all’altezza del fianco. Guardando tra il cespuglio stimò in dieci-dodici metri la distanza che la separava da lui. Inserì nel cellulare il distorsore della voce e riavvicinò l’apparecchio alle labbra: che urlasse o sussurrasse non faceva alcuna differenza, il distorsore rendeva omogenei tutti i suoni.
«Apri la sacca con i soldi.»
Dal suo osservatorio soprelevato lo vide seguire i suoi ordini, muovendosi come in trance, senza più obiezioni. Questa volta fu lei a usare la torcia elettrica, gliela puntò sul viso e poi abbassò il raggio sulla sacca.
Soldi. Vedeva le mazzette. Annuì, tutto secondo i piani.
«Okay, ora lascia i soldi a terra» gli disse. «Poi imbocca lentamente il sentiero, troverai Tara ad aspettarti.»
Vide il dottor Seidman posare la sacca. Teneva le palpebre socchiuse per guardare meglio in direzione del punto in cui lo attendeva la sua bambina. I suoi movimenti erano impacciati, probabilmente per la luce che l’aveva per un momento abbagliato. E anche questo particolare avrebbe reso le cose più facili.
Lydia avrebbe voluto sparare da vicino, due rapidi colpi alla testa, in caso quello avesse indossato un giubbotto antiproiettile. Sparava bene, lei, probabilmente sarebbe stata in grado di colpirlo alla fronte persino da dove si trovava. Ma voleva esserne sicura, non poteva permettersi di commettere errori, di correre rischi.
Seidman si mosse verso di lei, era a quasi otto metri di distanza, poi cinque. Quando fu a tre metri, la donna sollevò la pistola e prese la mira.
Se Marc avesse preso la metropolitana, Rachel sapeva che sarebbe stato pressoché impossibile seguirlo senza essere vista.
Allora corse alla tromba delle scale e guardò giù, nel vuoto. Marc non c’era, maledizione. Si guardò attorno e vide un cartello che indicava gli ascensori per la linea A. A destra un cancello chiuso. Nient’altro.
Probabilmente stava scendendo in ascensore.
E adesso?
Udì un rumore di passi alle sue spalle. Con la destra cercò di togliersi dal viso la tinta nera per rendersi un minimo presentabile, con la sinistra si girò sulla nuca gli occhiali per la visione notturna.
Due uomini stavano scendendo le scale. Uno la guardò e le sorrise, lei si passò nuovamente la mano sul volto e ricambiò il sorriso. I due, arrivati in fondo alle scale, si diressero agli ascensori.
Rachel valutò rapidamente le alternative. Quei due sconosciuti avrebbero potuto rappresentare la sua copertura, sarebbe stato sufficiente seguirli, entrare nello stesso ascensore, uscirne con loro e magari attaccare discorso. Chi avrebbe potuto sospettare di lei? Il treno di Marc per fortuna non era ancora partito. Se fosse… no, meglio non pensare al peggio.
Stava per dirigersi verso i due uomini quando qualcosa la bloccò. Il cancello che aveva visto alla sua destra. Era chiuso e sul cartello si leggeva APERTO SOLTANTO PER IL FESTE SETTIMANA E LE PRINCIPALI FESTIVITÀ.
Ma in mezzo ai cespugli Rachel aveva visto brillare una torcia elettrica.
Si fermò, cercando di vedere qualcosa al di là dello steccato, ma non si distingueva nulla oltre il raggio della torcia. La vegetazione era troppo fitta. Alla sua sinistra udì il suono di un ascensore che arrivava al piano, le porte scorrevoli si aprirono e i due uomini entrarono. Non aveva il tempo di tirare fuori il palmare e controllare il segnale del GPS. Oltretutto, l’ascensore e il raggio della torcia erano troppo vicini e sarebbe stato ben difficile distinguere quella minima differenza.
L’uomo che le aveva sorriso tenne aperta la porta dell’ascensore e lei si chiese che cosa fare.
Il raggio della torcia scomparve.
«Deve scendere?» le chiese l’uomo.
Attese che la torcia elettrica venisse riaccesa, ma inutilmente. Allora scosse il capo. «No, grazie.»
Rachel risalì di corsa le scale, alla ricerca di un punto buio per poter usare i visori notturni. I Rigel avevano un sensore incorporato che li proteggeva dalle luci violente, ma lei preferiva, nei limiti del possibile, che non ci fosse nessuna luce artificiale. La strada era più in alto rispetto al parco e la posizione era quindi buona, ma proprio da lì arrivava ancora troppa luce.
Si spostò su un lato dell’edificio di pietra che ospitava gli ascensori. Se si fosse appiattita contro il muro, in un punto alla sua sinistra, si sarebbe trovata nella completa oscurità. Perfetto. L’intrico di cespugli e alberi era ancora troppo fitto per permettere una visione sufficientemente chiara, ma non c’erano alternative.
I visori notturni non erano affatto leggeri come dichiarava il produttore. Avrebbe dovuto comprare il modello che si accosta agli occhi, come un binocolo. Quasi tutti quelli in circolazione erano così, ma il suo no: bisognava applicarselo al viso come una maschera. Ma presentava un vantaggio evidente, lasciava libere le mani.
Mentre se li metteva sul capo per infilarseli apparve nuovamente il raggio della torcia. Rachel tentò di seguirlo con lo sguardo, di vedere da dove provenisse: questa volta da un punto diverso, le sembrò. Sulla destra, e più vicino.
E poi, prima che potesse localizzarlo, il raggio era scomparso.
Fissò il punto dal quale le sembrava fosse partito. Era buio, ormai, molto buio. Senza staccare gli occhi terminò di infilarsi i visori, che però non sono magici, non è vero che permettono di vedere al buio. Sfruttano, intensificandola, ogni luce esistente, anche la più fievole. Ma lì di luce in pratica non ce n’era. Questo una volta rappresentava un problema, ma ora non più, perché oggi ci sono in commercio modelli con incorporata una sorgente di raggi infrarossi, che non sono visibili dall’occhio umano.