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Un pensiero ridicolo, il mio. O forse naturale. Ma comunque non era stato quello a togliermi la volontà di combattere.

L’uomo con la camicia a scacchi sterzò bruscamente a destra, udii lo stridio degli pneumatici. L’auto sbandò e le mie dita lasciarono la presa. Volai via, letteralmente, e atterrai sull’asfalto rotolando come una pietra. Alle mie spalle udii le sirene della polizia, immaginai che avrebbero inseguito la Honda Accord. Ma non m’importava. Avevo avuto una visione fugace, ma sufficiente per conoscere la verità.

Il bambino nell’auto non era mia figlia.

29

Mi trovavo un’altra volta in ospedale, questa volta era il New York Presbyterian, dove avevo mosso i primi passi da medico. Non mi avevano ancora portato in radiologia, ma ero sicuro di avere una costola incrinata. In questi casi c’è poco da fare, a parte imbottirsi di antidolorifici. Mi avrebbe fatto male, ma non mi dispiaceva. Ero conciato da fare schifo, sulla gamba destra avevo una lesione che sembrava provocata dai denti di un pescecane. Avevo i gomiti spellati, ma delle mie condizioni fisiche non m’importava nulla.

Lenny arrivò a tempo di record. L’avevo chiamato perché temevo di non essere all’altezza della situazione. All’inizio mi ero quasi convinto di aver preso un abbaglio. Una bambina cambia crescendo, no? E io non vedevo Tara da quando aveva sei mesi, hai voglia a crescere da allora! Ormai doveva aver imparato a camminare. E io ero attaccato a un’auto in corsa, santo cielo, e avevo potuto dare soltanto un’occhiata rapidissima.

Ma lo sapevo.

Il bambino seduto accanto al guidatore sembrava un maschietto, e doveva essere più vicino ai tre anni che ai due. E la sua pelle, il suo incarnato erano troppo chiari.

Non era Tara.

Sapevo che Tickner e Regan avevano delle domande da farmi e avevo intenzione di collaborare. Volevo anche scoprire come diavolo avevano saputo dell’appuntamento per la consegna del riscatto. Non avevo visto Rachel e mi chiesi se fosse lì in ospedale. Mi chiesi anche che fine avessero fatto il denaro, l’Honda Accord, l’uomo con la camicia a scacchi. L’avevano arrestato? Era stato lui a rapire la mia bambina, oppure anche la prima consegna di riscatto era stata un imbroglio? In tal caso, che ruolo aveva avuto mia sorella Stacy?

In breve, ero confuso. E in quel momento entrò Lenny, alias Cujo.

Più che entrare, fece irruzione. Indossava dei pantaloni color cachi sformati e una Lacoste rosa. Nei suoi occhi c’era un’espressione spaventata e selvaggia che mi riportò ai tempi della nostra infanzia. Passò davanti a un’infermiera e si avvicinò al mio letto.

«Che diavolo è successo?»

Stavo per fargli un veloce resoconto quando mi bloccò sollevando un dito, quindi si girò verso l’infermiera e le chiese di uscire. Rimasti soli, mi fece cenno con il capo di ricominciare. Partii dall’incontro con Edgar al parco e poi gli dissi della telefonata a Rachel, del suo arrivo, di come ci fossimo preparati all’appuntamento con il corredo di tutti quegli aggeggi elettronici, delle telefonate dei rapitori con le indicazioni, della consegna, di quello che era successo dopo. Poi feci un passo indietro e gli parlai del CD. Lenny m’interruppe, interrompeva sempre lui, ma non così spesso come fa di solito. Vidi una strana espressione passargli sul viso e pensai che forse, ma non vorrei esagerare con le mie doti di psicologo, era offeso perché non mi ero confidato con lui. Quell’espressione fu comunque di breve durata e lui tornò subito il vecchio Lenny di sempre.

«È possibile che Edgar ti abbia tirato un bidone?» mi chiese.

«E a che scopo? È stato lui a rimetterci quattro milioni di dollari.»

«Non ci ha rimesso niente, se questo ambaradan l’ha messo in piedi lui.»

Lo guardai stupito. «Ma non ha senso.»

A Lenny quella storia non piaceva, ma nemmeno lui sapeva darsi una spiegazione. «Dov’è ora Rachel?»

«Non è qui?»

«Non credo.»

«Allora non lo so.»

Rimanemmo entrambi in silenzio.

«Forse è tornata a casa mia» dissi poi.

«Sì. Forse.»

Ma nella sua voce non c’era la minima traccia di convinzione.

Tickner aprì la porta. Aveva gli occhiali da sole appoggiati sul capo rasato e un aspetto abbastanza sconcertante: se avesse piegato il collo e si fosse disegnato una bocca sulla parte inferiore della pelata, sarebbe sembrata una seconda faccia. Regan lo seguiva quasi a passo di danza, ma forse era quella barbetta a influenzare il mio giudizio. Fu Tickner ad assumere il comando delle operazioni.

«Sappiamo della richiesta di riscatto» disse. «Sappiamo che suo suocero le ha dato altri due milioni di dollari. Sappiamo che lei si è recato nella sede di un’agenzia investigativa, l’MVD, e ha chiesto la password di un CD-ROM di proprietà della sua defunta moglie. Sappiamo che con lei c’era Rachel Mills e che, contrariamente a quanto ha detto al detective Regan, la stessa Mills non ha fatto ritorno a Washington. Quindi possiamo saltare questi argomenti.»

Tickner si avvicinò e Lenny lo seguì con lo sguardo, pronto a saltargli addosso. Regan incrociò le braccia e si appoggiò alla parete. «Cominciamo allora con i soldi del riscatto» riprese Tickner. «Dove sono?»

«Non lo so.»

«Li ha presi qualcuno?»

«Non lo so.»

«Come sarebbe a dire “non lo so”?»

«Quello mi ha detto di posare la sacca a terra.»

«Quello chi?»

«Il rapitore, quello che parlava al cellulare.»

«E lei dove l’ha posata?»

«Sul sentiero, in quel parco.»

«E poi?»

«Quello mi ha ordinato di continuare a camminare.»

«E lei ha obbedito?»

«Sì.»

«E poi?»

«Poi ho sentito il pianto di un bambino e qualcuno che si metteva a correre. A quel punto è diventato tutto pazzesco.»

«E i soldi?»

«Gliel’ho già detto, non lo so che fine hanno fatto i soldi.»

«Parliamo allora di Rachel Mills» riprese Tickner. «Dove si trova?»

«Non lo so.»

Guardai Lenny, che stava studiando la faccia di Tickner. Attesi.

«Ci ha mentito, a proposito del fatto che la Mills era tornata a Washington. Non è vero?»

Lenny mi mise una mano sulla spalla. «Non cominciamo a travisare le dichiarazioni del mio cliente.»

Tickner lo guardò come fosse un insetto. Lenny ricambiò lo sguardo, imperturbabile. «Lei ha detto al detective Regan che la signora Mills era in viaggio per Washington, vero?»

«Ho detto che non sapevo dove fosse» lo corressi. «Ho detto che magari era tornata a Washington.»

«E dov’era la signora in quel momento?»

«Non rispondere» mi disse Lenny.

Gli feci cenno di non preoccuparsi. «Era nel garage di casa mia.»

«E perché non l’ha detto al detective Regan?»

«Perché ci stavamo preparando alla consegna del riscatto e non volevamo che qualcuno o qualcosa ci facesse perdere del tempo.»

Tickner incrociò le braccia. «Non credo di capire.»

«Allora gli faccia un’altra domanda» esclamò Lenny.

«Che cosa c’entrava Rachel Mills con la consegna del riscatto?»

«È una vecchia amica e sapevo che in passato è stata un’agente speciale dell’FBI.»

«Ah» fece Tickner. «Quindi pensava che questa esperienza della Mills potesse esserle d’aiuto?»

«Sì.»

«Non ha chiamato il detective Regan o me?»

«Proprio così.»

«Perché?»

Intervenne ancora Lenny. «Lo sa benissimo, il perché.»

«I rapitori mi avevano ordinato di non avvertire la polizia, come l’altra volta, e non volevo correre nuovamente dei rischi» risposi. «Così ho telefonato a Rachel.»