Ciò che Bacard aveva scoperto in Romania, ciò che lo aveva fatto librare al di sopra della media, era un metodo per battere il sistema. All’improvviso, per la prima volta in vita sua, aveva trovato il successo. Smise di attendere l’arrivo delle ambulanze, la gente cominciava a guardarlo dal basso in alto e non più viceversa. Veniva invitato alle cene per la raccolta di fondi. Divenne un oratore particolarmente ricercato. La moglie riprese a sorridergli e a chiedergli come fosse andata la giornata quando lui la sera tornava a casa. Fu anche ospite di un programma di News 12 New Jersey quando quell’emittente via cavo ebbe bisogno di un esperto legale. Ma diradò le sue apparizioni pubbliche quando un collega dall’altra parte dell’Atlantico gli ricordò i rischi dell’eccesso di esposizione. E poi, oltretutto, non aveva più bisogno di cercare clienti, erano loro a cercare lui: loro, cioè i genitori che speravano in un miracolo. Lo fanno sempre, i disperati, simili a piante che si allungano al buio per trovare uno spicchio di sole. E il loro sole era proprio lui, Steven Bacard.
Indicò il telefono. «Mi hanno appena chiamato» le disse.
«Ebbene?»
«C’era una microspia tra i soldi del riscatto.»
«Ma li abbiamo trasferiti in un’altra borsa.»
«Non era nella borsa, ma tra le banconote e non so esattamente come sia stata piazzata.»
Lydia si rabbuiò. «E la tua fonte non poteva dircelo prima?»
«La mia fonte l’ha appena saputo.»
Lydia parlò scandendo le parole. «In sostanza, mi stai dicendo che in questo momento la polizia sa dove ci troviamo?»
«No, la cimice non è stata piazzata dalla polizia o dai federali.»
Lei sembrò sorpresa, poi capì. «Il dottor Seidman.»
«Non esattamente. È aiutato da una donna, una certa Rachel Mills, un’ex agente federale.»
Lydia sorrise come se quanto aveva udito spiegasse qualcosa. «Ed è stata questa Rachel Mills, questa ex federale, a mettere la microspia?»
«Sì.»
«In questo momento ci sta seguendo?»
«Nessuno sa dove sia» le rispose Bacard «come nessuno sa dove sia Seidman.»
«Ah.»
«La polizia pensa che questa Rachel c’entri qualcosa.»
Lydia sollevò il mento. «C’entri qualcosa nel sequestro della bambina?»
«E nell’uccisione di Monica Seidman.»
Questo le fece piacere. Sorrise e Bacard sentì una specie di dito ghiacciato scivolargli lungo la schiena. «Era davvero coinvolta, Steven?»
Lui esitò. «Non saprei.»
«A volte è molto meglio non sapere, vero?»
Bacard non rispose.
«Ce l’hai la pistola?» gli chiese Lydia.
Lui s’irrigidì. «Che cosa?»
«La pistola di Seidman. Ce l’hai?»
Non gli piacque, quella domanda, si sentì sprofondare. Ebbe la tentazione di mentire, ma poi vide quegli occhi. «Sì.»
«Prendila. Che mi dici di Pavel? Hai sue notizie?»
«È preoccupato, vuole sapere che cosa sta succedendo.»
«Lo chiameremo dalla macchina.»
«Lo chiameremo? Anch’io, quindi?»
«Sì. Sbrighiamoci ora, Steven.»
«Vengo con te?»
«Certo.»
«Che cosa pensi di fare?»
Lydia si portò l’indice sulle labbra. «Shh, ho un piano.»
«Si sono mossi di nuovo» disse Rachel.
«Quanto tempo sono rimasti fermi?» le chiesi.
«Cinque minuti, forse. Potrebbero essersi visti con qualcuno e avere trasferito il denaro. O forse hanno soltanto fatto benzina. Gira a destra.»
Dalla Route 3 presero Centuro Road, in lontananza si intravedeva la mole del Giants Stadium. Circa un chilometro e mezzo più avanti, Rachel indicò un punto. «Sono lì da qualche parte.»
Sul cartello si leggeva METROVISTA e il parcheggio era una spianata apparentemente senza fine che scompariva al di là della palude. MetroVista era un complesso edilizio per uffici tipico del New Jersey, realizzato durante la grande espansione degli anni Ottanta. Centinaia di uffici freddi e impersonali, slanciati e metallici, con troppe finestre dai vetri oscurati che non lasciavano filtrare abbastanza sole. Si udiva il ronzio delle lampade alogene e si poteva immaginare, se non addirittura udire, quello delle api operaie.
«Non si sono fermati per fare benzina» bisbigliò Rachel.
«Che facciamo, allora?»
«Non abbiamo scelta. Continuiamo a seguire i soldi.»
Heshy e Lydia si mossero verso ovest in direzione della Garden State Parkway. Steve Bacard li seguiva su un’altra auto. La donna strappò le fascette di ogni mazzetta e impiegò dieci minuti per trovare la microspia. La tolse dal suo alloggiamento tra le banconote.
Poi la sollevò per farla vedere a Heshy. «Ingegnoso» commentò.
«Non sarà che siamo scarsi noi?»
«Non siamo mai stati perfetti, orsacchiotto.»
Heshy non replicò. Lydia abbassò il finestrino, mise fuori il braccio e fece segno a Bacard di seguirli. Lui fece a sua volta segno di avere capito. Quando rallentarono in vista del casello, Lydia diede un buffetto a Heshy e scese dall’auto, portandosi dietro i soldi, e lui rimase solo con la microspia. Se a quella Rachel fosse rimasta un po’ di energia o se la polizia si fosse accorta di ciò che stava succedendo, avrebbero fermato Heshy, ma lui prima si sarebbe sbarazzato della cimice gettandola dal finestrino. Quelli l’avrebbero trovata, certo, ma non avrebbero potuto dimostrare che era stata lanciata da quell’auto. E, anche in questo caso, avrebbero perquisito Heshy e l’auto senza trovare assolutamente nulla: non la bambina, non il biglietto con la richiesta di riscatto, non il riscatto. Era pulito.
Lydia corse sull’altra auto accanto a Steven Bacard. «Hai Pavel in linea?» gli chiese.
«Sì.»
Gli prese il telefono. Pavel cominciò a gridare nella sua lingua, lei attese e poi gli comunicò il luogo dell’appuntamento. Quando Bacard lo sentì si voltò di scatto verso di lei, che sorrise. Pavel non poteva ovviamente capire che cosa significasse quel posto particolare: e perché, poi, avrebbe dovuto capirlo? Continuò per un po’ a protestare, ma alla fine si calmò abbastanza per assicurarle che sarebbe stato della partita. Lei chiuse la comunicazione.
«Non farai sul serio» le disse Bacard.
«Shh.»
Il piano era tutto sommato semplice. Lydia e Bacard sarebbero arrivati per primi sul luogo dell’appuntamento mentre Heshy, sempre con la microspia in tasca, avrebbe preso tempo. Poi, una volta preparato tutto, Lydia avrebbe telefonato per farlo venire e allora, e solo allora, lui si sarebbe mosso. E la Mills, c’era da sperare, avrebbe seguito il segnale della microspia.
Lydia e Bacard arrivarono sul posto una ventina di minuti dopo e lei notò subito un’auto parcheggiata alla fine dell’isolato. Era una Toyota Celica. Immaginò che l’avesse rubata Pavel, e la cosa non le piacque. Le auto insolite parcheggiate in strade come quelle si notavano. Lanciò un’occhiata a Steven Bacard, pallido come un cencio e quasi estraniato, come sospeso in aria: stringeva freneticamente il volante e da lui emanavano vere e proprie ondate di paura. Non aveva il fegato per quelle cose, Bacard, e rappresentava quindi un punto debole.
«Puoi farmi scendere» gli disse.
«Voglio sapere che cos’hai intenzione di fare qui.»
Lei si limitò a guardarlo.
«Mio Dio!»
«Risparmiami l’indignazione.»
«Eravamo d’accordo di non fare del male a nessuno.»
«Come a Monica Seidman, intendi dire?»
«Noi non abbiamo avuto niente a che fare con lei.»
Lydia scosse il capo. «E la sorella di Seidman… come si chiamava, Stacy?»
Bacard aprì la bocca come per controbattere, poi chinò il capo. Lei sapeva che cosa stava per dire, che Stacy Seidman era una tossica e quindi sacrificabile, un rottame, un pericolo, e poi era già quasi morta: qualsiasi giustificazione gli fosse passata per la mente, insomma. I tipi come Bacard cercano sempre delle giustificazioni, lui era veramente convinto di aiutare la gente e non di vendere bambini. Così facendo si metteva in tasca un sacco di quattrini e violava la legge, ma correva anche tremendi rischi per fare felici dei genitori mancati. Non meritava quindi un adeguato compenso?