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«Forse. Oppure…»

«Oppure che cosa, Marc? Non abbiamo molto tempo.»

«I denti.»

«In che senso, i denti?»

«Guarda i molari. Le capsule sono di alluminio.»

«Sono di che cosa?»

Sollevai il capo. «Guarda il molare superiore destro e la cuspide superiore sinistra. Noi adoperiamo capsule d’oro, sebbene oggi si usi molto anche la porcellana: il dentista ti prende l’impronta in modo da farti un lavoro il più preciso possibile. Queste invece sono capsule di alluminio, e non sono certo fatte su misura. Si mettono sui denti e si fissano con le pinze. All’estero ho partecipato a un paio di interventi ricostruttivi, e di bocche con dentro quella roba ne ho viste diverse. Le chiamano “barattoli di latta” e qui negli Stati Uniti non le usano, a parte forse in via provvisoria.»

Poggiò un ginocchio a terra accanto a me. «È straniero?»

«Direi dell’ex blocco sovietico, roba del genere. Probabilmente viene dai Balcani.»

«Avrebbe un senso. Nei nostri archivi e nei nostri computer non ci sarebbe traccia delle sue impronte digitali o dei dati somatici. La polizia impiegherebbe una vita per identificarlo, a meno che non li aiuti qualcuno.»

«Cosa che probabilmente non accadrà.»

«Mio Dio, per questo l’hanno ucciso, perché sanno che non potremo identificarlo.»

Udimmo il suono delle sirene che si avvicinavano, ci guardammo.

«Devi prendere una decisione, Marc. Se rimaniamo qui finiamo in carcere; quelli penseranno che l’abbiamo ucciso perché era un nostro complice e secondo me i rapitori lo sapevano. I vicini dichiareranno che era tutto tranquillo finché siamo arrivati noi, e che da quel momento hanno udito stridio di pneumatici e colpi di pistola. Alla fine riusciremo comunque a spiegare tutto…»

«Ma ci vorrà del tempo» dissi.

«Sì.»

«E anche se abbiamo fatto dei passi avanti, se passerà troppo tempo sarà stato tutto inutile. La polizia si muoverà a modo suo e anche se deciderà di aiutarci, anche se ci crederà, farà troppo rumore.»

«C’è un’altra cosa» osservò lei.

«Cioè?»

«I rapitori ci hanno teso una trappola, sapevano della microspia.»

«Questo l’avevamo immaginato.»

«Ora però, Marc, mi chiedo come hanno fatto a scoprirla.»

Pensai alla parte del messaggio in cui dicevano di avere un informatore all’interno della polizia. «C’è stata una soffiata?»

«A questo punto non l’escluderei.»

Scattammo entrambi verso l’auto. Appoggiai una mano sul braccio di Rachel, lei sanguinava ancora e aveva l’occhio talmente gonfio che le palpebre si erano quasi chiuse. La guardai e di nuovo in me ebbe il sopravvento qualcosa d’istintivo: il bisogno di proteggerla. «Se scappiamo ci crederanno colpevoli» le dissi. «A me non importa, non ho nulla da perdere. Ma tu?»

«Anch’io non ho nulla da perdere» rispose tranquilla.

«Hai bisogno di un dottore.»

Lei abbozzò un sorriso. «Tu non sei un dottore?»

«Anche questo è vero.»

Non avevamo tempo di vagliare tutti i pro e i contro, dovevamo muoverci. Salimmo in auto, e facendo un ampio giro tornammo indietro passando da Woodland Road. Nella mia mente cominciavano a farsi strada dei pensieri, pensieri chiari, razionali. E, quando considerai dove ci trovavamo e ciò che stavamo facendo, la realtà mi schiacciò al punto da farmi venire voglia di fermare l’auto.

Rachel se ne accorse.

«Che c’è?» mi chiese.

«Perché stiamo correndo?»

«Non capisco.»

«Speravamo di trovare mia figlia o, quanto meno, chi l’ha rapita. Avevamo detto che c’era una piccola possibilità.»

«Sì.»

«Ma non capisci? Questa possibilità, anche ammesso che vi fosse, ora non c’è più. Quel tipo è morto. Sappiamo che era straniero, e allora? Non sappiamo chi era, siamo in un vicolo cieco e non abbiamo alcuna traccia da seguire.»

Un’espressione maliziosa si disegnò all’improvviso sul volto di Rachel, che infilò una mano in tasca e ne estrasse qualcosa. Un cellulare. Non era mio e nemmeno suo. «Forse l’abbiamo, una traccia» disse.

34

«Come prima cosa dobbiamo sbarazzarci di quest’auto» disse Rachel.

«L’auto.» Scossi il capo osservando i danni. «Se non saranno queste ricerche a uccidermi, ci penserà Zia.»

Rachel riuscì a sorridere di nuovo. Eravamo così eccitati da avere superato la fase della paura, ci sentivamo addirittura tranquilli. Valutai dove ci convenisse andare, ma c’era effettivamente una sola alternativa.

«Lenny e Cheryl» dissi.

«Sì?»

«Abitano a quattro isolati da qui.»

Erano le cinque del mattino e l’oscurità stava cominciando a cedere il passo alle prime luci dell’alba. Chiamai Lenny sul telefono di casa, sperando che lui non fosse tornato in ospedale. Rispose al primo squillo. «Pronto» borbottò.

«Ho un problema.»

«Sento delle sirene.»

«Questa è solo una parte del problema.»

«Dopo che te ne sei andato mi ha telefonato la polizia.»

«Mi serve il tuo aiuto, Lenny.»

«Rachel è con te?»

«Sì.»

Seguì un silenzio imbarazzante. Rachel si stava dando da fare con il cellulare del morto e non avevo idea di che cosa cercasse.

«Che cos’hai intenzione di fare, Marc?» mi chiese poi Lenny.

«Ho intenzione di trovare Tara. Mi aiuti o no?»

L’esitazione svanì. «Che cosa ti serve?»

«Nascondere l’auto che stiamo usando e trovarne un’altra.»

«E poi?»

Voltai a destra. «Saremo da te fra un minuto, cercherò di spiegartelo di persona.»

Lenny portava un paio di pantaloni della tuta, di quelli che si annodano in vita, delle pantofole e una T-shirt della Big Dog. Appena fummo entrati premette un pulsante e la porta scorrevole del box si richiuse silenziosamente. Sembrava esausto, ma tutto sommato anch’io e Rachel non eravamo al massimo della forma.

Appena vide il sangue addosso a Rachel, Lenny fece un passo indietro. «Che diavolo è successo?»

«Hai della garza?» gli chiesi.

«È nell’armadietto sopra il lavello della cucina.»

Rachel teneva ancora in mano il cellulare. «Devo collegarmi a Internet» disse.

«Sentite, dobbiamo parlare di questa faccenda» replicò Lenny.

«Parlane con lui, io ho bisogno di Internet.»

«È nel mio studio, lo sai dove si trova.»

Rachel si precipitò in casa, io la seguii fermandomi però in cucina mentre lei proseguì verso lo studio. Entrambi la conoscevamo bene, quella casa. Lenny rimase con me. La cucina era stata rinnovata di recente, adesso era in stile provenzale, con l’aggiunta di un secondo frigo perché quattro bambini mangiano come… quattro bambini. Lo sportello di tutt’e due i frigoriferi era tappezzato di disegnini e foto di famiglia, oltre a un alfabeto dai colori vivaci. Quello nuovo era corredato da un set magnetico per comporre poesie, e lungo la maniglia si leggeva: ME NE STO DA SOLO ATTORNO AL MARE. Cominciai a frugare nell’armadietto sopra il lavello.

«Mi vuoi dire che cosa sta succedendo?»

Trovai finalmente la cassetta del pronto soccorso di Cheryl e la tirai fuori. «C’è stata una sparatoria davanti a casa mia.»

Mentre aprivo la cassetta e prendevo ciò che mi serviva gli raccontai a grandi linee l’accaduto. Ciò che trovai era per il momento sufficiente. Quando risollevai lo sguardo, Lenny mi stava fissando a bocca spalancata. «Sei scappato dalla scena di un omicidio?»

«Che cosa sarebbe successo, se fossi rimasto?»

«La polizia ti avrebbe portato via.»

«Esattamente.»

Scosse il capo. «Non sei più tu il principale indiziato» disse, parlando sempre a bassa voce.