«Potrei sapere che cosa c’è in ballo?»
«Il vicedirettore Joseph Pistillo vorrebbe vederti.»
Pistillo? Era il federale più alto in grado della costa orientale. Pistillo, il capo del capo del capo di Tickner. «Ma sto andando sulla scena di un delitto.»
«Non si tratta di una richiesta, il vicedirettore Pistillo ti sta aspettando e ti vuole qui tra mezz’ora al massimo.»
Il telefono tacque, Tickner abbassò la mano.
«Che diavolo succede?» gli chiese Regan.
«Devo andare» rispose Tickner, avviandosi lungo il corridoio.
«Dove?»
«Il capo vuole vedermi.»
«Adesso?»
«Proprio adesso.» Tickner si fermò a metà corridoio. «Chiamami appena sai qualcosa.»
«Non è facile per me parlarne» disse Rachel.
Continuai a guidare. Le domande finora senza risposta ci pesavano addosso, togliendoci ogni energia. Tenni gli occhi sulla strada e attesi.
«Quando hai visto quelle foto Lenny era con te?» mi chiese.
«Sì.»
«Ti è sembrato sorpreso?»
«Così mi è sembrato.»
Si sistemò contro lo schienale. «Sua moglie forse non si sarebbe sorpresa.»
«Perché?»
«Dopo che le hai chiesto il mio numero mi ha chiamato, per avvertirmi.»
«Avvertirti di che cosa?»
«Di noi.»
Non servivano altre spiegazioni. «Ha avvertito anche me» le dissi.
«Quando morì Jerry, è così che si chiamava mio marito, Jerry Camp, quando morì… diciamo che ho passato momenti bruttissimi.»
«Posso capirlo.»
«No, non nel senso che pensi tu. Tra me e Jerry non funzionava più da tanto, non so nemmeno se abbia mai veramente funzionato. Quando andai a Quantico per il periodo di addestramento, lui era uno dei miei istruttori ma, a parte questo, Jerry era una specie di leggenda. Uno dei migliori agenti in assoluto. Ricordi il caso KillRoy di qualche anno fa?»
«Era un serial killer, no?»
Lei annuì. «Se fu catturato lo si deve soprattutto a Jerry, aveva uno stato di servizio tra i più prestigiosi di tutto l’FBI. Tra noi… Non lo so com’è andata esattamente. O forse sì. Era più vecchio di me, una specie di figura paterna. Io amavo l’FBI, era la mia vita, e Jerry si era preso una cotta. La cosa mi lusingava, ma non so se sono mai stata veramente innamorata di lui.»
S’interruppe. Mi sentivo addosso i suoi occhi, ma non staccai i miei dalla strada.
«L’amavi Monica?» mi chiese. «L’amavi veramente, voglio dire?»
Sentii contrarsi i muscoli delle spalle. «Che diavolo di domanda è questa?»
Lei rimase immobile. «Mi dispiace, non avrei dovuto» disse poi.
Scese il silenzio e io cercai di respirare più lentamente. «Mi stavi dicendo di quelle foto.»
«Sì.» Lei cominciò ad agitarsi, portava un anello e prese a girarselo attorno al dito. «Quando Jerry morì…»
«Quando fu ucciso» l’interruppi.
Mi sentii di nuovo i suoi occhi addosso. «Quando fu ucciso, d’accordo.»
«L’hai ucciso tu?»
«Così non va, Marc.»
«Che cosa non va?»
«Sei già arrabbiato.»
«Voglio solo sapere se l’hai ucciso tu tuo marito.»
«Mi lasci parlare, per favore?»
La sua voce aveva ora un tono imperioso, così mi arresi stringendomi nelle spalle. «Quando morì, mi crollò il mondo addosso. Fui costretta a dimettermi. Tutto ciò che avevo, gli amici, il lavoro, la mia vita, diamine, faceva parte dell’FBI e quindi scomparve. Cominciai a bere, ebbi crisi di panico, toccai il fondo. E quando tocchi il fondo cerchi il modo di risalire in superficie, ti aggrappi a qualsiasi cosa, disperatamente.»
Rallentai a un incrocio.
«Ma non voglio parlarne» disse.
Feci una cosa che sorprese me per primo, passai con il rosso e poggiai la mano sulla sua. «Continua a parlare, ti prego.»
Lei tenne gli occhi bassi, fissando la mia mano sulla sua. Non la tolsi. «Una sera che avevo bevuto troppo ti telefonai.»
Ricordai quello che aveva detto Regan sulle telefonate arrivate a casa mia. «Quando è successo?»
«Pochi mesi prima della tragedia.»
«Al telefono rispose Monica?»
«No, la segreteria telefonica. Io… lo so quanto può sembrare stupido… ma ti lasciai un messaggio.»
Ritrassi lentamente la mano. «Che cosa dicesti esattamente?»
«Non ricordo, ero ubriaca, piangevo. Credo di avere detto che mi mancavi e che speravo mi avresti richiamato. Non credo di essermi spinta più in là di questo.»
«Non l’ho mai ricevuto quel messaggio» dissi.
«Ora me ne rendo conto.»
Nella mia mente si accese una lampadina. «Questo significa che Monica l’ha ascoltato» dissi.
Pochi mesi prima della tragedia, pensai. Ossia quando Monica iniziò a sentirsi insicura, quando cominciavamo ad avere seri problemi. Ricordai che spesso scoppiava a piangere la notte, ricordai di quando Edgar mi informò che Monica aveva cominciato ad andare da uno psichiatra. E io, chiuso nel mio piccolo mondo smemorato, la portavo a casa di Lenny e Cheryl costringendola involontariamente a vedere quella foto con la mia ragazza di un tempo: la stessa che aveva telefonato di notte a casa nostra per confidare alla segreteria quanto le mancavo.
«Mio Dio, ora capisco perché si era rivolta a un investigatore privato» dissi. «Voleva sapere se la tradivo e probabilmente gli ha raccontato di me e te da ragazzi, di quella tua telefonata.»
Lei rimase in silenzio.
«Non hai ancora risposto alla mia domanda, Rachel. Che ci facevi davanti all’ospedale?»
«Ero venuta nel New Jersey a trovare mia madre.» La sua voce adesso tradiva qualche esitazione. «Te l’ho detto che ha un appartamento a West Orange.»
«E allora? Stai cercando di dirmi che era ricoverata nel mio ospedale?»
«No.» Tacque di nuovo e io continuai a guidare. Stavo quasi per accendere l’autoradio, meccanicamente, tanto per fare qualcosa. «Devo proprio dirtelo?»
«Sì, direi di sì.» Ma avevo capito tutto.
La sua voce era adesso quasi impersonale. «Mio marito era morto, non avevo più il mio lavoro, avevo perso tutto. Parlavo spesso con Cheryl e dalle sue parole avevo capito che tu e tua moglie avevate qualche problema.» Si voltò per guardarmi. «Andiamo, Marc, lo sai benissimo che né tu né io ci eravamo rassegnati alla fine della nostra storia. Quel giorno dunque andai in ospedale per parlarti, ma non so che cosa mi aspettassi dal nostro incontro. Ero davvero così ingenua da pensare che mi avresti stretto fra le braccia? Forse, non lo so. Me ne stavo quindi là davanti, cercando il coraggio di venire da te. Salii perfino al piano del tuo studio. Ma alla fine non ce la feci, e non per Monica e Tara. Mi piacerebbe avere uno spirito così nobile, ma purtroppo non è così.»
«Perché, allora?»
«Me ne sono andata perché temevo che mi avresti respinta e non sapevo come avrei reagito.»
Tra noi scese il silenzio. Non sapevo che cosa dire, non sapevo nemmeno che cosa stessi provando.
«Sei arrabbiato» disse.
«Non lo so.»
Rimanemmo entrambi in silenzio. Avrei tanto voluto non commettere errori e riflettei a lungo. Sia io sia lei guardavamo dritto, la tensione sembrava premere contro i finestrini. «Non ha più importanza» dissi alla fine. «Quello che conta ora è trovare Tara.»
Lanciai un’occhiata a Rachel e notai sulla sua guancia una lacrima. Davanti a noi adesso c’era il cartello stradale, piccolo, discreto e quasi invisibile. HUNTERSVILLE diceva semplicemente. Rachel asciugò la lacrima, poi si raddrizzò sul sedile. «E allora concentriamoci su quello.»
Il vicedirettore Joseph Pistillo scriveva seduto alla sua scrivania. Era un uomo grosso, dal torace possente, spalle larghe, calvo: il tipo che ti fa venire in mente gli scaricatori di porto e le risse nei saloon, forte ma senza essere costretto a mettere in mostra i muscoli. Doveva avere superato i sessantacinque anni e girava voce che quanto prima sarebbe andato in pensione. L’agente speciale Claudia Fisher fece entrare Tickner nell’ufficio e uscì richiudendosi la porta alle spalle. Tickner si tolse gli occhiali da sole e, non essendo stato invitato a sedere, rimase in piedi con le mani dietro la schiena. Non vi furono saluti, strette di mano, convenevoli, nulla di tutto questo.