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«Ho saputo che stai facendo domande in giro sulla tragica morte dell’agente speciale Jerry Camp» disse Pistillo senza alzare lo sguardo.

Nella testa di Tickner si mise a suonare un campanello d’allarme. Che velocità, accidenti, quelle domande lui aveva cominciato a farle solo poche ore prima. «Sì, signore.»

Pistillo continuò a scrivere. «Era stato uno dei tuoi istruttori a Quantico, vero?»

«Sì, signore.»

«Era un bravo istruttore?»

«Uno dei migliori, signore.»

«Il migliore, agente.»

«Sì, signore.»

«Le tue domande sulla sua morte hanno qualcosa a che fare con il rapporto che ti legava all’agente speciale Camp?»

«No, signore.»

Pistillo smise di scrivere, posò la penna e piegò le mani sulla scrivania. «Perché le stai facendo, allora?»

Tickner si mise immediatamente alla ricerca delle trappole e dei trabocchetti che sicuramente si sarebbero celati nella sua risposta. «Perché il nome della vedova è emerso nel corso di un’indagine alla quale sto lavorando.»

«Parli del caso Seidman, l’omicidio con sequestro di una bambina?»

«Sì, signore.»

Pistillo si rabbuiò e sulla fronte gli comparvero altre rughe. «Pensi che esista un rapporto tra la morte accidentale di Jerry Camp e il rapimento di Tara Seidman?»

Attento, pensò Tickner, attento. «È un’ipotesi che devo valutare.»

«No, agente Tickner, non esiste alcun rapporto.»

Tickner non mosse un muscolo.

«Se riesci a collegare Rachel Mills al caso Seidman, va bene, trova pure qualche prova. Ma lascia Jerry Camp fuori da questa storia.»

«Potrebbe esserci un nesso con la morte di Camp.»

«No, non c’è alcun nesso» tagliò corto Pistillo, con una voce che non lasciava adito a dubbi.

«Ma ho bisogno di controllare…»

«Agente Tickner?»

«Sì, signore.»

«Ho già controllato il dossier. A parte questo, a suo tempo ho collaborato di persona alle indagini sulla sua morte, io e Jerry eravamo amici. Capisci?»

Tickner non rispose.

«Per me è chiarissimo che la sua morte è stata un tragico incidente. E questo, agente Tickner» e Pistillo gli puntò contro il petto il suo enorme indice «significa che è chiarissimo anche per te. Mi sono spiegato?»

I due rimasero a guardarsi. Tickner non era un idiota, lavorare per l’FBI gli piaceva, voleva fare carriera e contrariare un potente come Pistillo non gliela avrebbe agevolata. Alla fine fu quindi lui a distogliere lo sguardo.

«Sì, signore.»

Pistillo si rilassò visibilmente e riprese la penna. «Tara Seidman è scomparsa ormai da oltre un anno. Esiste qualche prova che sia ancora viva?»

«No, signore.»

«E allora il caso non è più di nostra competenza.» Ricominciò a scrivere, per far capire al suo agente che doveva andarsene. «Lascia che se ne occupi la polizia locale.»

Il New Jersey è lo stato con la maggiore densità di popolazione, e la cosa non sorprende. Il New Jersey ha città, periferie residenziali, moltissime industrie. Anche questo non sorprende. Il New Jersey è soprannominato lo “stato-giardino” ed è pieno di terreni agricoli. Questo invece sorprende.

Prima ancora che arrivassimo nei pressi di Huntersville, i segni di vita — di vita umana, voglio dire — erano cominciati a scomparire. C’erano poche case. Superammo un grande emporio ma era abbandonato da tempo, come si intuiva dalle assi inchiodate sulle vetrine. Nei cinque chilometri successivi percorremmo sei diverse strade, ma non vidi case. E non superai nemmeno un’auto.

Ci trovavamo in mezzo a un bosco. Feci l’ultima curva e l’auto s’inerpicò lungo una strada di montagna. Dal margine della strada schizzò fuori un cervo, il quarto ormai, ma era così lontano che non corsi il rischio di investirlo. Cominciai a sospettare che il nome Huntersville, città dei cacciatori, non fosse stato scelto a caso.

«La troverai sulla sinistra» disse Rachel.

Pochi secondi dopo vidi la cassetta delle lettere e rallentai, in cerca di una casa o di una costruzione qualsiasi. Ma sembrava che ci fossero soltanto alberi.

«Continua a guidare» disse ancora Rachel.

Capii. Non potevamo imboccare il vialetto della casa di quell’uomo e annunciarci. Quattrocento metri circa più avanti trovai una rientranza sulla destra, parcheggiai e spensi il motore. Sentivo il cuore che mi martellava nel petto. Erano le sei del mattino, stava spuntando l’alba.

«La sai usare una pistola?» mi chiese Rachel.

«Sparavo al poligono con quella di papà.»

Lei mi mise in mano un’arma, sulla quale abbassai lo sguardo con la stessa espressione che avrei avuto se mi fossi scoperto un sesto dito. Rachel aveva estratto a sua volta una pistola. «Quella dove l’hai presa?» le chiesi.

«Davanti a casa tua, era del morto.»

«Gesù.»

Si strinse nelle spalle, quasi a dire: “Non si sa mai, caro mio”. Guardai la pistola e all’improvviso mi attraversò la mente un pensiero: era la stessa pistola con cui avevano tentato di uccidermi? La stessa che aveva ucciso Monica? Mi fermai lì, non avevo tempo per quelle assurdità. Rachel era già scesa dall’auto, la imitai e ci inoltrammo tra gli alberi, non esisteva un sentiero e ce l’inventammo. Lei si era infilata la pistola nella cintura dei pantaloni, dietro la schiena, ma io preferii tenerla in mano. Manifesti di un arancione sbiadito attaccati agli alberi intimavano di tenersi alla larga, si vedeva un grosso NO e sotto, in un corpo molto più piccolo, veniva spiegato diffusamente ciò che a me sembrava abbastanza ovvio.

Ci avvicinammo al punto in cui secondo noi doveva trovarsi il vialetto della casa, e quando lo vedemmo fu come se avessimo trovato il Sacro Graal. Proseguimmo, sempre tenendoci dalla stessa parte, ma qualche minuto dopo Rachel si fermò e io le andai quasi a sbattere contro. Mi indicò qualcosa davanti a noi.

Una struttura.

Assomigliava a una specie di fienile. Ora ci muovevamo con maggiore cautela, ci tenevamo bassi, saltavamo senza parlare da un albero all’altro per non esporci. Dopo un po’ cominciai a sentire della musica, musica country forse, non me ne intendo. Più avanti vidi una radura e mi resi conto che quello che sembrava un fienile era effettivamente un fienile, in stato di completo abbandono. Ce n’era un’altra di struttura, un villino basso o forse una lunga roulotte.

Ci avvicinammo di qualche metro, tenendoci sulla parte destra del bosco, schiacciando il viso contro gli alberi per poi fare capolino. Nel cortile c’era un trattore, notai anche un vecchio Trans Am senza ruote poggiato su quattro blocchi di cemento. Proprio di fronte all’ingresso del villino c’era un’auto bianca, sportivissima, una di quelle supercompresse, con una striscia di plastica nera sul cofano. Sembrava una Camaro.

Non c’erano più alberi, ma ci trovavamo ancora a una cinquantina di metri dal villino. L’erba era così alta da arrivare alle ginocchia. Rachel impugnò la pistola, io tenevo ancora in mano la mia. Si calò a terra e prese ad avanzare strisciando come un soldato dei reparti speciali. Visto in televisione quel modo di procedere sembra piuttosto facile, bisogna solo strisciare tenendo il culo basso, e per tre metri circa è effettivamente facile. Poi le cose si complicano. Mi dolevano i gomiti, l’erba mi si continuava a infilare nel naso e in bocca. Moscerini e affini si sollevavano furiosi perché avevamo disturbato il loro riposino. La musica adesso era più forte, il cantante non azzeccava una nota e si lamentava del suo povero, povero cuore.