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«Perché allora ti vuoi fregare i miei fucili?»

Chiusi gli occhi. «Se sono venuto qui non è per fregarti le armi. Sono qui…» ma non sapevo come dirglielo «… sono qui per ritrovare mia figlia.»

Ci impiegò un secondo ad assimilare le mie parole, poi spalancò la bocca. «E tu credi che io abbia qualcosa a che fare con questa storia?»

«Non lo so.»

«Allora è meglio se sputi il rospo.»

Gli spiegai, gli dissi tutto. Anche alle mie orecchie quel racconto sembrava folle, ma Verne stette ad ascoltare dedicandomi la sua completa attenzione. «L’uomo che ha fatto tutto questo, o che è in qualche modo coinvolto, non lo so nemmeno io» dissi alla fine «ha ricevuto sul suo cellulare, che è in mano nostra, una sola telefonata. E veniva da qui, quella chiamata.»

Verne ci rifletté un attimo sopra. «Come si chiama, quest’uomo?»

«Non lo sappiamo.»

«Io telefono a un sacco di gente, Marc.»

«Sappiamo che la telefonata è stata fatta questa notte.»

Verne scosse il capo. «No, lo escludo.»

«Come sarebbe a dire?»

«Non ero a casa, ero in giro a fare consegne e sono tornato circa mezz’ora prima che arrivaste voi. Mi sono accorto che eravate entrati quando Munch, il mio cane, si è messo a ringhiare. Quando abbaia non mi preoccupo, ma se ringhia capisco che c’è qualcuno.»

«Aspetta un momento. Mi stai dicendo che in casa tua nelle ultime ore non c’era nessuno?»

«No, c’erano mia moglie e i bambini, che hanno però sei e tre anni e non credo che abbiano telefonato a qualcuno. E poi conosco Kat, non è il tipo da mettersi a telefonare di notte.»

«Kat?»

«Mia moglie, Kat è il diminutivo di Katarina. È serba.»

«Vuoi una birra, Marc?»

«Con molto piacere, Verne» mi sorpresi a rispondergli.

Verne Dayton mi aveva tagliato il legaccio di plastica e mi stavo massaggiando i polsi. C’era Rachel accanto a me, lui non le aveva fatto del male. Aveva solo voluto separarci, anche perché secondo lui l’avevo ammazzata di botte per costringerla ad aiutarmi. Verne aveva una notevole collezione di armi da fuoco, molte delle quali ancora funzionanti, e c’erano persone un po’ troppo interessate ad averle. Ci aveva quindi scambiato per ladri di armi.

«Una Bud va bene?»

«Certo.»

«E tu, Rachel?»

«No, grazie.»

«Una bibita? Un bicchiere di acqua ghiacciata?»

«L’acqua va benissimo, grazie.»

Verne sorrise, il che non era precisamente un bello spettacolo. «Arriva subito.» Io ripresi a massaggiarmi i polsi, lui se ne accorse e fece un sorriso furbo. «Li usavamo durante la guerra del Golfo, quei legacci di plastica, e ti assicuro che con quelli riuscivamo a tenere a bada gli iracheni.»

Scomparve in cucina e guardai Rachel, che si strinse nelle spalle. Verne tornò con due birre Bud e un bicchiere d’acqua. Distribuì il tutto, sollevò la sua bottiglia facendo cin cin con la mia e si sedette.

«Ho due maschietti, Verne Junior e Perry. Se dovesse succedergli qualcosa…» Fece un fischio e scosse il capo. «Non so come faccia tu la mattina ad alzarti dal letto.»

«Penso a come ritrovare la mia bambina.»

Verne annuì energicamente. «Posso immaginarlo, certo. Ma non bisogna prendersi in giro, non so se mi spiego.» Guardò Rachel. «Sei proprio certa che quel numero di telefono fosse il mio?»

Rachel tirò fuori il cellulare, premette alcuni tasti e poi gli mostrò il piccolo schermo, mentre lui con la bocca tirava fuori dal pacchetto di Winston una sigaretta. Dopo avere letto il numero, Verne scosse il capo. «Non riesco a capire.»

«Speriamo che tua moglie possa esserci utile.»

Annuì lentamente. «Mi ha lasciato un biglietto per farmi sapere che era andata a comprare da mangiare, le piace fare la spesa nelle primissime ore della giornata, di solito va a quell’A P che resta aperto ventiquattro ore su ventiquattro.» S’interruppe e mi accorsi che era tormentato, non gli andava l’idea che sua moglie potesse avere telefonato a uno sconosciuto a mezzanotte. Sollevò la testa. «Ti cambio la medicazione, Rachel?»

«Sto bene, non ce n’è bisogno.»

«Sicura?»

«Davvero grazie.» Rachel sollevò con entrambe le mani il bicchiere d’acqua. «Posso chiederti, Verne, come vi siete conosciuti tu e Katarina?»

«Su Internet, in uno di quei siti dove si trovano mogli straniere, sai. Si chiama Cherry Orchid, una volta funzionava per posta, ma ora credo che l’abbiano chiuso. Si entrava nel sito dove c’erano foto di donne di tutto il mondo, dell’Europa orientale, russe, filippine. Ogni foto era accompagnata dalle misure della ragazza, da una breve biografia, da ciò che le piaceva e ciò che non le piaceva, roba del genere insomma. Quando ne trovavi una che faceva al caso tuo, compravi il suo indirizzo, c’erano anche offerte speciali di un pacchetto di indirizzi.»

Rachel e io ci scambiammo una veloce occhiata. «Quanto tempo fa vi siete conosciuti?»

«Sette anni. Abbiamo cominciato mandandoci delle e-mail, Kat viveva in una fattoria in Serbia, i suoi genitori erano poverissimi tanto che lei per potere usare un computer doveva farsi oltre sei chilometri a piedi. Avrei voluto telefonarle, ma non avevano nemmeno il telefono ed era lei a chiamarmi da una cabina. Poi un giorno mi ha detto che veniva in America per conoscermi.»

Verne sollevò le mani, quasi volesse bloccare un’eventuale interruzione. «A questo punto di solito le ragazze come lei ti chiedono soldi per il biglietto aereo e il resto, e io ero pronto a mandarglieli. Lei invece no, è venuta con i suoi mezzi. Sono andato a prenderla a New York e tre settimane dopo ci siamo sposati. Dopo un anno è nato Verne Junior, dopo quattro Perry.»

Bevve un lungo sorso di birra e lo imitai. Era meraviglioso sentirla scendere fredda in gola.

«Ascoltate, lo so che cosa state pensando» riprese Verne. «Ma vi sbagliate. Io e Kat siamo veramente felici. Prima di conoscerla sono stato sposato a una spaccapalle americana di primissima categoria, una che non faceva che lagnarsi e brontolare perché non guadagnavo abbastanza. Passava le giornate in casa a non fare niente, se le chiedevo di caricare e accendere la lavatrice andava su tutte le furie e mi assaliva con le sue frescacce nazi-femministe, mi criticava in continuazione, diceva che ero un fallito. Con Kat è diverso. Tiene la casa in ordine e pulita, e per me è importante. Se lavoro in giardino e fa caldo, lei senza che glielo chieda mi porta una birra e non mi fa una conferenza sul femminismo. C’è forse qualcosa di male in tutto questo?»

Io e Rachel rimanemmo in silenzio.

«Pensateci un po’ su. Perché due persone si sentono attratte reciprocamente? C’entra la bellezza? I soldi? Un lavoro importante? Ci si mette insieme perché ciascuno cerca qualcosa nell’altra persona, è un sistema di dare e avere. Io volevo una donna che mi amasse e allevasse con me i nostri figli, volevo anche una compagna, una che fosse carina con me, roba del genere. E l’ho trovata. Kat voleva lasciarsi alle spalle quella terribile vita, erano così poveri che per loro la sporcizia era un lusso. Io e lei viviamo bene insieme, a gennaio abbiamo portato i bambini a Disney World. Ci piace fare escursioni, andare in canoa. Verne Junior e Perry sono due bravi bambini. Sentite, forse sono un tipo semplice, anzi sono decisamente un tipo semplice. Mi piacciono le armi, mi piace andare a caccia e a pesca… e mi piace soprattutto la mia famiglia.»

Verne abbassò il capo e i capelli gli ricaddero sul viso come il sipario di un teatro. Si mise a staccare l’etichetta dalla bottiglia di birra. «Da certe parti… o in molte parti, non so, i matrimoni sono combinati. È sempre stato così, i genitori decidono e costringono un ragazzo e una ragazza a sposarsi. Ma nessuno ha costretto me e Kate, lei se ne poteva andare quando voleva e lo stesso io. Ma ormai sono passati sette anni, io mi sento felice e anche lei.»