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Ricordo quella volta, al Campo dei Giochi del Prisma, quando feci analizzare i miei sogni e Hergal ed io ci perdemmo. Non che avessi capito una sola parola di quello che aveva detto il robot mentre guardavo nei suoi grandi occhi elettrici. Ero troppo occupata ad imprecare contro Hergal per concentrarmi veramente, credo.

Nel sonno, udii uno scroscio spaventoso. Mi svegliai. Tutta la città era illuminata da un bagliore. Di nouvo Hergal. Non eravamo molto lontani dallo Zeefahr, e sentivo quasi sempre il rumore. Resi trasparente una parete e guardai le lingue di fiamma che salivano dal cielo.

Che peste priva d’immaginazione era quel Hergal.

Ma il lampo era più chiaro, adesso, e non era Hergal.

Questa volta era Thinta.

Era terribilmente drumdik.

6.

«Salve, Danor,» dissi io.

Era soddisfatto. Avevo riconosciuto immediatamente il suo nuovo corpo. Avevo visto la trasmissione mentre mi facevo un’iniezione nutriente: non sopporto niente di più solido, di prima mattina. Ma lui è sempre così snello ed ostentatamente elegante, maschio o femmina che sia, che è impossibile sbagliarsi, in verità. Era tutto capelli lunghi e baffi penzolanti, alla moda attuale, e capelli e baffi erano neri come il giaietto con una sorta di lucentezza di zaffiro, occhi blu mezzanotte, e niente ali. Però aveva le antenne.

«Ti piaccio?» Girò lentamente su se stesso, e lo ammirai. Faceva veramente effetto, e indossava una specie di seconda pelle metallica, con stivali del tipo che io avevo programmato nel mio sogno dell’innamorato maledetto.

«Derisann,» dissi.

Era mattino inoltrato. Quando dormo, dormo parecchio, spesso fino a quando Quattro BEE ritorna buio e accende le stelle. Altrimenti tengo testa a chiunque altro, con le pillole per star sveglia.

«Vieni a mangiare,» m’invitò Danor. Lui adorava il cibo.

«Non potrei proprio,» dissi.

«Oh. Al Palazzo delle Dimensioni, allora. Hatta ha detto che c’è un labirinto nuovo, a Super-Sette.»

Era così entusiasta che mi sembrava un peccato spegnere la fiamma. Perciò andammo al Palazzo.

La Commissione, che continua a sfornare rapporti su tutti e su tutto in Quattro BEE, sostiene che il Palazzo delle Dimensioni offre «uno sfogo essenziale per i riflessi motivazionali negativi.» Comunque, è quello che dice nei comunicati.

Le dimensioni, naturalmente, sono interessanti; l’aria può essere solida o di diversi colori, e tutto può essere invertito così che, per esempio, guardate il vostro naso in uno specchio, e vi prende un accidente, perché cresce verso l’interno anziché verso l’esterno, e potete vederlo solo se chiudete gli occhi.

Tutto sommato, il Palazzo delle Dimensioni ti dà davvero una scossa. È molto popolare. Suppongo che non capiti molto spesso di provare una scossa a Quattro BEE, di norma, tranne quando una porta automatica si apre verso l’alto anziché verso il basso, o cose del genere.

Super-Sette era un incubo totale e io non resistetti a lungo. All’improvviso mi trovai in un posto, a guardare me stessa in un altro posto, o meglio il mio corpo dai fianchi in giù, perché mi ero divisa in due. Era veramente orrendo. Voglio dire, ovviamente non è che ti dividi in due o cose simili. È che la legge in quel particolare tratto di dimensione fa sembrare che tu sia proprio così. Potevo ancora sentirmi le gambe e i piedi, e quando abbassavo le mani potevo toccarmi le cosce. Quando lo feci, vidi le mie mani apparire accanto alle cosce, e questo era ragionevole, ma il fatto che le mie cosce fossero dall’altra parte della sala era proprio un po’ drumdik. Poi scoprii che mi ero divisa di nuovo. Stavo sbirciando i miei fianchi e le gambe e i piedi lontani e, un po’ più vicini, la mia vita sottile e il busto esotico e le spalle, tutti cinti ordinatamente dalle ciocche di capelli scarlatti, ma troncati all’altezza del collo. Ero solo una testa, presumibilmente. Mi coprii di sudore, e lo potei sentire dappertutto, per fortuna. Cosa sarebbe accaduto se mi fossi mossa ancora? Corsi il rischio. Farathoom! Adesso guardavo la parte superiore del mio corpo, e un po’ più lontana la mia povera testa disorientata: e in pratica, mi guardavo con i piedi. A quella vista, le mie grida presero forma e svolazzarono tutto intorno. Alla mia cintura scattò il pulsante d’allarme e dopo pochi secondi orde di robot, ignari dell’orrore che avevano intorno, si precipitarono a ricondurmi alla ragione.

7.

Danor ed io galleggiavamo assonnati nei nostri bagni adiacenti di tiepida aria liquida, e tremavamo ancora per l’orrore. Una volta superato il delizioso senso di sollievo, sapevo che come al solito avrei sentito quanto era futile quella specie di terrore non costruttivo. Ma in quel momento, completamente attaccata a me stessa, con i miei capelli che si agitavano come un favoloso anemone rosso, ero felice di essere venuta lì. Danor si accostò fluttuando alla parete divisoria e si issò nel mio bagno. Ci tuffammo e subito cominciammo a baciarci, e poi Danor mi trascinò su uno dei cuscini d’aria.

«Facciamo l’amore,» disse: era una proposta allettante.

«Sai che va bene solo per gli Anziani,» dissi io. «È assolutamente non Jang non sposarsi prima.»

Danor si girò sul dorso e fissò la nebbia a motivi astratti del soffitto.

«Allora sposiamoci,» disse, «per un mid-vrek.»

Un mid-vrek è quaranta unit, proprio parecchio tempo, ma Danor aveva l’aria speranzosa e abbastanza tentatrice, perciò accettai.

Risalimmo con la sua sfera la Via d’Acqua Purpurea e guizzammo tra corridoi di liquido color malva, mentre Danor premeva freneticamente i tasti dei comandi. Sembrava avesse una fretta spaventosa.

La Cupola d’Avorio è un posto bellissimo per sposarsi. I quasi-robot tendono a tenere per sé le loro opinioni, e non continuano a ripeterti che, negli ultimi sei matrimoni, c’era gente più grata ed entusiasta nel pagare, prima di precipitarsi via a fare l’amore. Nel vestibolo color panna comprammo gli anelli, cinque per ciascuno, e io non me la sentii di rubare i miei, dato che Danor si sgolava tanto generosamente al botteghino.

Salimmo con la spirale mobile, trovammo una sala libera, e indossammo tutti gli indumenti bianchi di prammatica. Il quasi-robot dalla tonaca nera e dalla tiara scintillante ricevette con una superba ostentazione d’interesse le nostre promesse di reciproca fedeltà per un mid-vrek.

«Prometto di far l’amore con te e con nessun altro per il periodo predetto, a meno che io chieda l’annullamento, che può essere concesso ad unit alterni per tutto il periodo del matrimonio, e che deve essere pagato.»

Gli accumulatori delle centrali elettriche di Quattro BEE ne ricavano parecchio, in effetti, perché i legami a lungo termine finiscono sempre prima di quanto abbiano previsto i contraenti. Quattro BEE ci guadagna anche con i legami a breve termine: se volete sposarvi per un unit o un pomeriggio, il che naturalmente esclude in pratica la possibilità di un annullamento, dovete pagare tanto prima quanto dopo il periodo che restate insieme.

Danor ed io ci scambiammo i dieci anelli senza lasciarne cadere neppure uno. (Di solito Hergal li faceva cadere tutti, e facevano un rumore terribile, rimbalzando e rotolando sul marmo.) Poi, insieme al nostro robot, pagammo con i soliti «grazie», poi Danor mi trascinò fuori dalla Cupola d’Avorio, a bordo della sfera e sfrecciammo via verso un fluttuante.

I fluttuanti, che vanno dolcemente alla deriva nel cielo e sono fatti di masse nuvolose rinforzate di plastica, sono i preferiti dagli sposini novelli. Io c’ero stata spesso, ma la loro grazia non sembrava sbiadire mai.