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A quella particolare tuta era stato aggiunto un berretto unto col distintivo della «mia» professione, una cintura logora dotata di utensili vecchi ma perfettamente funzionali, una bandoliera di pezzi di raccordo su una spalla, e il saldatore per installarli sull’altra.

Tutto ciò che avevo era logoro, guanti compresi. Nella tasca sul fianco sinistro era infilato un vecchio portafoglio in pelle, con documenti da cui risultava che io ero Hannah Jensen di Moorhead. Un vecchio ritaglio di giornale diceva che ero stata majorette alle superiori; un tesserino della Croce Rossa riportava il mio gruppo sanguigno, 0 Rh positivo sub 2 (il mio vero gruppo), e spiegava che ero una donatrice benemerita; ma le date indicavano che da più di sei mesi mi ero dimenticata di donare sangue.

Altri piccoli particolari conferivano ad Hannah un passato ben definito; aveva persino una carta Visa emessa dalla Savings and Loan Company di Moorhead, però su quella avevo fatto risparmiare a Boss più di mille corone: siccome non mi aspettavo di usarla, era priva della scritta magnetica invisibile senza la quale una carta di credito è solo un pezzo di plastica.

Il cielo si era appena illuminato, e stando ai miei calcoli avevo un massimo di tre ore per superare la barriera di confine; niente di più, perché di lì a tre ore sarebbero entrati in attività i veri addetti alla manutenzione, e io ero estremamente ansiosa di non incontrarli. Prima di allora, Hannah Jensen doveva svanire… magari per riapparire nel tardo pomeriggio per un ultimo sforzo. Era un’operazione in stile o la va o la spacca; avevo esaurito le corone in contanti. Vero, avevo ancora la carta di credito emessa dall’Impero, ma avevo anche una paura sacrosanta dei segugi elettronici. I tre tentativi del giorno prima di chiamare Boss, tutti eseguiti con la stessa carta, avevano fatto scattare un subprogramma che avrebbe permesso di identificarmi? Subito dopo ero riuscita a usare la carta di credito per pagare la sotterranea, ma ero davvero sfuggita a tutte le trappole elettroniche? Non lo sapevo, e non volevo scoprirlo; volevo solo passare dall’altra parte di quella barriera.

Continuai a passeggiare, soffocando la forte tentazione di uscire dal personaggio mettendomi a correre. Mi occorreva un punto dove poter forare la barriera senza essere vista, anche se su entrambi i lati, per un raggio di una cinquantina di metri, era stata fatta terra bruciata. Dovevo accettare il fatto; quella che volevo era una zona di terra bruciata circondata da alberi, cespugli, siepi divisorie come in Normandia.

In Minnesota non ci sono le siepi divisorie della Normandia.

Il Minnesota del nord è quasi privo di alberi; o almeno lo è nella parte di confine in cui mi trovavo. Stavo scrutando la barriera, e cercavo di dirmi che un pezzo di terreno aperto senza anima viva nei paraggi è buono quanto un’area schermata da alberi, quando apparve un Vma della polizia. Era a ovest rispetto a me e seguiva lentamente la barriera. Salutai con un cenno allegro e continuai a dirigermi a est.

Invertirono la rotta, tornarono indietro, e si appostarono a una cinquantina di metri da me. Mi voltai e li raggiunsi. Arrivai all’auto mentre il capopattuglia scendeva, seguito dall’autista, e dalle loro uniformi vidi (inferno, dannazione e tenebre) che erano imperiali, non agenti della Polizia Provinciale del Minnesota.

Il capopattuglia mi dice: — Cosa ci fai qui a quest’ora?

Il tono era aggressivo; gli risposi sulla stessa lunghezza d’onda: — Stavo lavorando, prima che mi interrompeste.

— Un accidenti. Tu non entri in servizio fino alle otto.

Ribattei: — Ho una novità per te, grande capo. Quello era la settimana scorsa. Adesso ci sono due turni. Il primo monta appena può. Il cambio dei turni è a mezzogiorno; il secondo smonta quando non ne può più.

— Nessuno ci ha avvertiti.

— Vuoi che il sovrintendente ti scriva una lettera di persona? Dammi il numero del tuo distintivo e gli spiego tutto io.

— Datti una calmata, ganza. Forse dovrei portarti dentro e controllarti per benino.

— Fai pure. Una giornata di riposo per me… e intanto tu spiegherai perché non è stata fatta la manutenzione a questa parte di barriera.

— Vai a farti friggere. — Si avviarono per tornare a bordo.

— Uno di voi due maschiacci ha uno spino? — chiesi.

L’autista disse: — Non ci facciamo in servizio, e non dovresti farti nemmeno tu.

— Testa di cavolo — commentai, cortese.

L’autista fece per ribattere, ma il capopattuglia abbassò il tettuccio apribile, e decollarono; proprio sopra la mia testa, costringendomi a buttarmi giù. Credo di non essergli piaciuta.

Tornando alla barriera conclusi che Hannah Jensen non era una signora. Essere scortesi coi Verdi solo perché sono il massimo dello schifo umano è imperdonabile. Anche le vedove nere, i pidocchi e le iene hanno diritto di vivere, anche se non ho mai capito perché.

Decisi che i miei piani non erano ben meditati. Boss avrebbe disapprovato. Attaccare la barriera alla luce del giorno era troppo appariscente. Meglio scegliere un punto, nascondersi fino al buio, e poi tornarci. Oppure dedicare la notte al piano numero due: controllare di persona la possibilità di passare sotto la barriera nel Roseau River.

Non andavo pazza per il piano numero due. Le acque del Mississippi inferiore erano abbastanza tiepide, ma i fiumi lì a nord avrebbero congelato un cadavere. La sera di due giorni prima, avevo saggiato il Pembina. Brrr! Un’estrema risorsa, niente di più.

Quindi scegli un pezzo di barriera, decidi esattamente in che modo lo bucherai, poi cerca degli alberi, avvolgiti in un letto di foglie calde, e aspetta il buio. Rivedi mentalmente ogni tua mossa, all’infinito, così potrai sforacchiare la barriera come pipì che scende nella neve.

A quel punto superai un lieve pendio del terreno e mi trovai faccia a faccia con un altro addetto alla manutenzione, del tipo maschile.

Se sei in dubbio, attacca. — Che diavolo ci fai qui, amico?

— Seguo la barriera. La mia parte di barriera. Cosa ci fai tu, sorella?

— Oh, Cristo! Non sono tua sorella. E tu hai sbagliato zona, oppure turno. — Notai innervosita, che l’addetto alla manutenzione in perfetta uniforme porta un walkie-talkie. Be’, io ero alle prime armi; stavo ancora imparando il mestiere.

— Col cavolo — rispose lui. — Coi nuovi turni monto all’alba e mi danno il cambio a mezzogiorno. Magari devi darmelo tu, eh? Sì, probabile. Avrai letto male i turni di servizio. Sarà meglio che chiami.

— Fai pure — dissi, avvicinandomi.

Lui esitò. — D’altra parte, forse… — Io non esitai.

Non uccido tutti coloro con cui ho una divergenza d’opinioni, e non vorrei che chi legge queste mie memorie pensi che io sia un’assassina incallita. Non gli feci troppo male, e durò solo un attimo; mi limitai a metterlo a dormire di colpo.

Con un rotolo di nastro adesivo che avevo alla cintura gli legai le mani dietro la schiena, poi le caviglie. Avessi avuto un bel cerotto grosso così lo avrei imbavagliato, ma avevo solo del nastro a frizione meccanica largo due centimetri, ed ero molto più ansiosa di aprirmi un varco nella barriera che di impedirgli di strillare per chiedere aiuto a coyote e conigli.

Un saldatore buono per riparare è anche buono per bucare, ma il mio era ancora meglio del solito: lo avevo comperato passando dalla porta di servizio del maggior ricettatore di Fargo. Era un laser in grado di tagliare l’acciaio, non la baracca ossiacetilenica che sembrava. Qualche istante dopo avevo un buco grande, a stento quanto bastava per Friday. Mi chinai per volatilizzarmi.

— Ehi, portami con te!

Esitai. Quello continuava a ripetere, insistentemente, che era ansioso come me di fuggire i maledetti Verdi. Slegami!

Ciò che feci è una follia paragonabile solo a quella della moglie di Lot. Presi il coltello dalla cintura, gli tagliai il nastro alle mani e alle caviglie, mi infilai nel foro e cominciai a correre. Non mi fermai a vedere se anche lui si fosse ficcato o meno nel buco.