Il compagno uscì in una pia risposta, qualcosa sulla «volontà del Signore», e io mi allontanai. Come si può arrivare a settant’anni (tanti ne doveva avere la signora) senza sapere che nessuno «decide» di stabilirsi su Avamposto… se non nel limitatissimo senso che si «decide» di accettare l’emigrazione lì per sfuggire alla morte o al carcere a vita?
Il mio stomaco era ancora sottosopra, per cui non rischiai i panini; ma pensai che una tazza di caffè potesse farmi bene, finché non ne sentii l’odore. Dopo di che corsi ai bagni, a dritta del salone, e lì vinsi il titolo di «Friday MascellediFerro». Lo vinsi a pieno diritto, anche se io fui l’unica a saperlo: trovai i cubicoli tutti occupati e dovetti aspettare; e aspettai, a mascelle irrigidite. Dopo un secolo o due, un cubicolo si liberò e io schizzai dentro e vomitai di nuovo. Acidi e succhi gastrici, più che altro. Non avrei dovuto sentire l’odore del caffè.
Il viaggio di ritorno fu interminabile.
Sulla Forward chiamai il mio amico Jerry Madsen, l’ufficiale medico giovane, e chiesi una visita professionale. In base al regolamento, l’ambulatorio di bordo apre alle nove e zero zero ogni giorno, e dopo la chiusura accetta solo casi d’emergenza. Ma sapevo che Jerry era pronto a vedermi con qualunque scusa. Gli dissi che non era niente di serio; volevo solo un po’ delle pillole che prescriveva alle care vecchie signore con lo stomaco delicato, le pillole per il mal d’aria. Lui mi rispose di presentarmi al suo studio. Invece di farmi trovare le pillole pronte, mi guidò in una stanza interna e chiuse la porta. — Signorina Friday, devo chiamare un’infermiera? O preferite un medico di sesso femminile? Potrei chiamare la dottorerssa Garcia, ma mi spiacerebbe disturbarla. È rimasta in piedi tutta la notte.
Io dissi: — Jerry, cosa c’è? Quand’è che ho smesso di essere Marj per te? E perché questa etichetta inutile? Voglio solo una manciata di pillole. Quelle rosa.
— Siediti, per favore. Signorina Friday… okay, Marj… non prescriviamo quel medicinale o i suoi derivati alle giovani signore… per essere più precisi, alle giovani signore in età fertile… senza accertarci che non siano gravide. Può provocare danni al bambino.
— Oh. Calmati pure, dolcezza. Nessuno mi ha combinato lo scherzo.
— Siamo qui per scoprirlo, Marj. Se tu fossi incinta o lo diventassi, abbiamo altri medicinali adatti al tuo caso.
Ah! Il caro tesoro stava solo cercando di prendersi cura di me. — Boss, e se io ti dicessi, sul mio onore di scout, che non ho fatto niente di sconcio nei miei due ultimi periodi? Anche se ci hanno provato in parecchi. Te compreso.
— Be’, direi: «Prendi questo boccettino e portami un campione d’orina», poi prenderei un campione del sangue e della saliva. Ho già avuto a che fare con donne che non avevano combinato niente.
— Sei un cinico, Jerry.
— Sto cercando di pensare a te, cara.
— Lo so, dolcezza. Va bene, mi adatterò a questa cretineria. Se il topolino strilla…
— È una cavia.
— Se la cavia dice di sì, puoi informare quel povero esule del papa che è successo un’altra volta, e io ti offrirò una bottiglia di champagne. Questo è stato il periodo di astinenza più lungo della mia vita.
Jerry prese i campioni e fece altre diciannove cose, e mi diede una pastiglia blu da prendere prima di cena e una pastiglia gialla per dormire e un’altra pastiglia blu da prendere prima di colazione. — Non hanno la stessa potenza della roba che mi avevi chiesto ma andranno bene, e se dovesse nascere un bambino non avrà i piedi messi alla rovescia o cose del genere. Ti chiamo domani mattina appena ho finito il mio turno.
— Credevo che al giorno d’oggi i test di gravidanza fossero questione di pochi minuti.
— Ma figurati. La tua bisnonna se ne accorgeva se la cintura diventava troppo stretta. Sei perfida. Spera solo che non debba ripetere tutto.
Così lo ringraziai e lo baciai, e lui fece finta di schermirsi ma non troppo. Jerry è un agnellino.
Le pillole blu mi lasciarono mangiare cena e colazione.
Dopo colazione restai in cabina. Jerry chiamò quasi in orario. — Tieniti forte, Marj. Mi devi una bottiglia di champagne.
— Cosa? — Poi mi calmai, a beneficio di Tilly. — Jerry, sei pazzo da legare. Fuori di testa.
— Sicuro — convenne lui. — Ma nel mio mestiere non è un handicap. Passa di qui e discuteremo una dieta per te. Diciamo alle quattordici.
— Diciamo subito. Voglio parlare con quella cavia.
Jerry mi convinse. Illustrò tutto nei particolari, mi mostrò come veniva condotto ogni test. I miracoli succedono, e io ero incinta in modo più che dimostrabile… Allora era per quello che ultimamente sentivo i seni un po’ troppo morbidi. Jerry aveva un opuscolo per me; c’era scritto cosa fare, cosa mangiare, come lavarmi, cosa evitare, cosa aspettarmi, eccetera eccetera. Lo ringraziai e presi il libretto e me ne andai. Nessuno dei due accennò alla possibilità di un aborto, e lui non uscì in battutacce sulle «donne che non avevano combinato niente».
Solo che nel mio caso era vero. Burt era stato l’ultimo, due periodi addietro, e comunque mi avevano operata per rendermi sterile all’età del menarca e non avevo mai usato contraccettivi di alcun tipo per tutta la mia frenetica vita sociale. Tutte quelle centinaia e centinaia di volte, e adesso mi dice che sono incinta! Non sono completamente stupida. Accettato il fatto, la vecchia regola di Sherlock Holmes mi disse quando e dove e come era successo. Rientrata nella cabina Bb, andai in bagno, chiusi a chiave la porta, mi spogliai, mi sdraiai a terra; circondai l’ombelico con le mani, tesi i muscoli, e spinsi.
Uscì fuori una sferetta di nylon che afferrai al volo.
La esaminai con cura. Nessun dubbio: era la sferetta che tenevo lì dentro da che avevo la sacca artificiale, la sferetta che toglievo solo per lasciare posto a un messaggio. Non un contenitore per un ovulo in stasi; un contenitore per niente: soltanto una pallina anonima, trasparente. La guardai un’ultima volta e la rimisi dentro.
Così mi avevano mentito. Avevo avuto qualche perplessità sulla «stasi» a temperatura corporea, perché l’unica stasi per tessuti viventi che conoscessi significava temperature criogeniche, a livello di azoto liquido o ancora più basse.
Ma era un problema del signor Sikmaa, e io non pretendo di essere un biofisico: se lui si fidava dei suoi scienziati, non stava a me discutere. Io ero un corriere; la mia unica responsabilità consisteva nel consegnare la merce.
Quale merce? Friday, lo sai bene quale merce. Non quella dell’ombelico; l’altra, una decina di centimetri più all’interno. Quella che ti hanno infilato in corpo una notte in Florida, quando ti hanno fatto dormire come mai in vita tua. Una merce che si consegna dopo nove mesi. Il che rimanda i tuoi piani per il Grande Giro Turistico, no? Se questo feto è ciò che deve essere, non ti permetteranno di lasciare il Regno finché non te ne sarai liberata.
Aspetta un momento! È la delfina che deve partorire questo bambino. Il succo della faccenda è tutto qui: un erede al trono, esente da difetti congeniti, scodellato dalla delfina; indiscutibilmente dalla delfina, partorito in presenza di almeno quattro dottori di corte, e tre infermiere e una dozzina di membri di corte. Non da te, non da un mostro di Pa con un certificato di nascita falso!
Il che mi riportava alla sceneggiatura originale, con una minima variazione: la signorina Marjorie Friday, ricca turista, arriva al Regno per godersi le glorie della capitale imperiale… e si prende un brutto raffreddore e deve andare in ospedale. E la delfina finisce nello stesso ospedale e… no, ferma! La delfina si abbasserebbe a un gesto tanto plebeo come il farsi ricoverare in un ospedale aperto ai turisti?
Okay, proviamo così: tu entri in ospedale con un brutto raffreddore, come da istruzioni. Verso le tre del mattino esci dalla porta di servizio, ti sbattono su un furgone e ti coprono con una coperta.