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— Ma ti considerano anche misericordioso — disse Anya. — Vogliono credere che tu li ami.

Ormazd sospirò ancora, stancamente.

— Si rendono conto di essere stati creati per uno scopo — proseguì lei. — Ma brancolano nel buio per scoprire quale possa essere questo scopo. Loro vogliono servirti, però non sanno cosa ti aspetti da loro.

Ormazd si alzò, facendo sfolgorare le nubi con l’alone che irradiava. — Sono serviti al loro scopo, ere addietro. Ora, se il Cacciatore riuscirà nella sua impresa…

— Avrai vinto completamente — intervenne Anya. — E noi saremo salvi.

— Allora potrò sbarazzarmi di loro, finalmente.

— Non puoi eliminarli! Ormazd corrugò la fronte. — Non posso? Io, non posso?

— Non provare a farlo — si corresse Anya. — Sai che il nostro destino è legato indissolubilmente al loro. Creature e creatore, apparteniamo tutti allo stesso continuum. Se loro saranno eliminati, anche noi cesseremo di esistere.

— Spero che tu non lo creda veramente.

— È vero… lo so. Perché avresti permesso loro di rimanere, altrimenti? Li hai creati per sconfiggere il Tenebroso. L’hanno fatto ere fa…

— Non completamente. Lui esiste ancora.

— Sì. — Anya rabbrividì. — E finché esiste, hai bisogno degli umani, vero? Finché il Signore delle Tenebre ti sfugge, gli umani sono necessari. Il tuo esercito di guerrieri. La tua guardia del corpo. La tua squadra suicida.

— Li ho creati perché fossero dei guerrieri. È il loro scopo.

— Già, e lo hai fatto tanto bene che quando non hanno nessun altro contro cui combattere, combattono tra loro. Si massacrano a vicenda, continuamente.

Ormazd scrollò le spalle. — Che importanza ha? Ce ne sono miliardi, adesso. Si riproducono senza posa. Anche questa è una caratteristica dovuta a me. Ho dato loro il piacere, per equilibrare il dolore.

— Parli ancora di equilibrio — sorrise amara Anya. — Ho l’impressione che tu creda davvero di essere stato giusto con loro. Buono, equo.

— Sono solo creature. Giocattoli, come li definisci tu. Non c’è bisogno che io sia buono o giusto con loro.

Per lunghi attimi Anya rimase in silenzio, ma dai suoi occhi si capiva che stava pensando con accanimento.

Ormazd tese una mano dorata verso di lei. Dolcemente, disse: — Non era necessario che tu diventassi una di loro. Non volevo che ti abbassassi al loro livello di vulnerabilità.

— Però l’ho fatto — replicò Anya sommessamente. — E adesso è una cosa che non riesco a dimenticare.

— Mia cara…

— Sono così… fragili. Così angosciati.

— Sono molto limitati. Lo sai. Li ho creati io, così. Dovevo.

— Non senti alcuna responsabilità nei loro riguardi?

— Certo — rispose Ormazd.

— Lo sai cosa credono, alcuni di loro? Alcuni dei loro più grandi filosofi credono che noi siamo stati creati dagli umani. In modo vago, limitato, cominciano a capire che abbiamo bisogno di loro, che senza non possiamo sopravvivere.

Ormazd sbuffò disgustato. — Bah! I loro filosofi blaterano a casaccio, un misto di cose sagge e di stupidaggini. Dicono tutto quello che gli passa per la testa, e la chiamano intelligenza.

— Stanno imparando. E si impegnano al massimo, Ormazd! Creano musica, e opere di pittura, e macchine che raggiungeranno le stelle.

— Tanto meglio — scattò lui.

— Si renderanno ancor più utili.

— Ma la conoscenza che stanno acquisendo li sta rendendo molto potenti. Adesso dispongono di armi capaci di spazzare via l’intera razza.

— Non accadrà mai.

— Tu hai paura che accada.

— No. Farò in modo che non si distruggano del tutto.

— Sei stato tu a crearli aggressivi, a creare una razza di combattenti, di uccisori.

Annuendo, Ormazd ammise:

— Certo. Ne avevo bisogno. La loro natura aggressiva è fondamentale.

— Anche se li porta a massacrarsi l’un l’altro?

— Anche se distruggeranno la loro cosiddetta civiltà in una guerra nucleare. Sì, che importa? Alcuni sopravviveranno. A questo provvederò io. Le loro piccole, insignificanti civiltà sono già crollate in precedenza. Ma la razza sopravvive. È questo che conta.

— E il Tenebroso? Se tu ti chiami Ormazd, il Dio della Luce, immagino che lui dovrebbe essere chiamato Ahriman, il Dio delle Tenebre.

Ormazd piegò leggermente il capo, riconoscendo la legittimità del suo ragionamento.

— È vero che ha il potere di segnare la nostra fine? — chiese Anya.

— Lo crede. Crede che se riuscirà ad annientare gli umani, anche noi moriremo.

Per la prima volta, Anya parve spaventata. — È vero? Può succedere?

E per la prima volta, Ormazd parve preoccupato. — Non ne sono sicuro. Gli umani sono convinti di essere il centro della creazione, il perno che regge le sorti dell’universo…

— Intendi dire che potrebbero avere ragione?

— Non lo so! — urlò Ormazd, serrando i pugni in un gesto di rabbia impotente. — Com’è possibile saperlo? Sono tante le cose che non sappiamo, che sfuggono alla nostra comprensione!

Stranamente, Anya sorrise. Dritta di fronte al collerico, scintillante Dio della Luce, piegò il capo all’indietro, e il suo sorriso sfociò in una sonora risata.

— Dunque, gli umani hanno ragione! Non hanno bisogno di noi. In fondo, non gli abbiamo dato altro che sofferenze e miserie.

— Io li ho creati!

— No, no, mio aspirante dio. Loro ci hanno creati. Può darsi che tu li abbia plasmati dall’argilla, alitando in loro la vita, ma l’hai fatto perché erano loro a esigerlo. Volevano essere creati. E tu, io, e tutti gli aspiranti dei, siamo solo i loro servi.

— È assurdo! — protestò Ormazd. — Io li ho creati! Per servirmi!

La risata di Anya riempiva l’aria come il tintinnio argentino di una campana. — E poi li accusi di essere fissati per la causalità! Sì, li hai creati. Ma è anche vero che loro hanno creato te. Causa ed effetto, effetto e causa. Quale è venuto prima?

Ormazd restò in silenzio, colpito.

— Ha importanza? — fece Anya. Senza attendere una risposta, proseguì: — La loro lotta è la nostra lotta. Se muoiono, moriamo anche noi. Dobbiamo aiutarli. Non abbiamo scelta.

Ormazd finalmente ritrovò la voce. — Li ho aiutati.

— Già, creando dei guerrieri che combattessero per te, mentre tu te ne stai qui al sicuro, lontano dal dolore e dagli affanni, a tirare le fila come un burattinaio.

— Cosa dovrei fare secondo te, unirmi a loro e diventare umano?

— Sì!

— Mai.

— Io l’ho fatto.

— E sei morta. Hai provato il dolore e la paura, come loro. E come loro, hai conosciuto la morte.

— Sì, e lo farò ancora. Ogni volta che sarà necessario.

— Perché?

— Per aiutarli. Per aiutare noi.

— Sei pazza.

— Li amo, Ormazd.

Lui la fissò. — Non ti capisco. Ma sono solo creature!

— Sì, ma sono vivi. Oltre all’angoscia e all’orribile incertezza delle loro vite, conoscono pure l’amore, la gioia, l’amicizia e l’avventura. Sono vivi, Ormazd! Li hai fatti migliori di quel che credi. E io voglio essere una di loro.

— Anche se dovrai andare incontro alla morte?

— Anche se dovessi morire cento volte. Ne vale la pena. Non è un prezzo troppo alto, per la vita. Prova!

— No. — Ormazd arretrò di un passo.

— Rimarrai qui mentre noi altri lottiamo per la vittoria finale?

— Rimarrò qui.

— Il burattinaio — lo derise Anya.

Ormazd si drizzò in tutta la sua altezza. — Il creatore.