— Dovrei cominciare spiegando chi sono — esordì, a voce talmente bassa che dovetti compiere un piccolo sforzo per capirlo tra il crepitare del fuoco.
Agla disse: — Il tuo nome è noto come quello del braccio destro del Gran Khan.
Il mandarino piegò il capo educatamente.
— Servo i mongoli da quando il primo Gran Khan era ancora chiamato col suo nome di nascita, Temucin. Ero solo un giovane quando i mongoli si sono riversati oltre la Grande Muraglia saccheggiando Yan-King, la mia città natale. Sono stato preso come schiavo perché ero scriba. Sapevo leggere e scrivere. Anche se i guerrieri mongoli non apprezzavano questo fatto, Temucin lo apprezzava.
— È lui l’uomo diventato poi Gengis Khan? — chiesi.
— Sì, ma usare questi nomi di fronte ai mongoli non è saggio. È chiamato il Gran Khan. Era il padre di Ogotai, l’attuale Gran Khan. Era l’uomo che ha guidato i mongoli alla conquista della Cina, dell’Alta Asia, dell’Islam. L’uomo più grande che il mondo abbia conosciuto.
Non stava a me contraddirlo. L’anziano mandarino non sembrava il tipo da tessere lodi in modo sciocco o insincero. Credeva in quel che diceva, e per quel che ne sapevo io forse aveva ragione.
— Oggi l’impero dei mongoli si estende dal Mar della Cina alla Persia. Hulagu sta per conquistare Bagdad. Subotai è già in marcia contro i russi e i polacchi. Kubilai, a Yan-King, sogna di sottomettere i giapponesi sulle loro isole.
— Dovrebbe rinunciare a quel sogno — dissi, ricordando che la flotta d’invasione di Kubilai era stata affondata da una tempesta che i giapponesi chiamano Vento Divino, Kamikaze.
Ye Liu Chutsai mi fissò. — Perché dici questo? Cosa profetizzi?
Agla mi lanciò un’occhiata ammomtrice. I profeti rischiavano grosso tra quella gente.
— Nulla — risposi sbrigativo. — Un semplice commento. Dopo tutto, i mongoli sono cavalieri, non marinai. Il mare non è il loro elemento.
Il mandarino mi studiò a lungo. Infine disse: — I mongoli sono davvero i più feroci guerrieri del mondo. Non sono marinai, è vero. Ma non sono nemmeno amministratori, o scribi, o artigiani. Usano i prigionieri per tutti questi compiti. Troveranno marinai a sufficienza tra i cinesi.
Piegai il capo alla sua saggezza superiore.
— L’impero deve continuare a espandersi — proseguì. — È stato questo il genio del primo Gran Khan. Aveva capito che queste tribù barbare devono continuare a muoversi, a trovare nemici da assoggettare, altrimenti il loro impero crollerà. Questi guerrieri a cavallo sono enormemente coraggiosi, vivono per la guerra. Se non ci fossero nemici oltre i loro confini, tornerebbero alle vecchie consuetudini e comincerebbero a combattere tra loro. Vivevano in questo modo prima che Temucin unisse le tribù guerriere del Gobi nell’esercito più potente che il mondo abbia mai visto.
— Ecco perché l’impero continua a espandersi — dissi.
— Deve espandersi. O crollare. Non c’è via di mezzo. Non ancora.
— E mentre l’impero si espande, i mongoli massacrano decine di migliaia di persone indifese e radono al suolo città.
Il mandarino annuì.
— E tu li aiuti a far questo. Perché? Sei un uomo civile. Perché aiuti quelli che hanno invaso la tua terra?
Ye Liu Chutsai chiuse gli occhi un attimo, e la sua faccia rugosa sembrò una maschera di morte nel chiarore tremulo del fuoco.
Quando riaprì gli occhi, disse: — Non c’è che un’unica vera civiltà al mondo, la civiltà della terra chiamata Catai o Cina. Io sono figlio di quella terra, un cinese. Servo il Gran Khan mongolo perché la civiltà si estenda ai quattro angoli del mondo. Ero confuso. — Ma i mongoli hanno conquistato il Catai. Kubilai regna a Yan-King, ora.
Il vecchio sorrise. — Sì, e Kubilai, nato in una yurta sulle praterie non lontano da qui, è già più cinese che mongolo. Porta vesti di seta, dipinge splendidi paesaggi, e affronta gli intrighi di corte con la delicatezza di un mandarino.
Cominciavo a intuire cosa volesse dire. — I mongoli sarebbero i guerrieri, ma i cinesi saranno i veri conquistatori.
— Esatto — confermò Ye Liu Chutsai. — I mongoli sono il braccio armato dell’impero, ma il cervello è la civiltà cinese.
Agla intervenne. — Dunque, sono i mongoli che vi servono, vero?
— Oh, no, per i miei sacri antenati, niente affatto! — Il vecchio sembrava turbato da una simile idea. — Siamo tutti al servizio del Gran Khan, Ogotai. Io sono il suo schiavo… volentieri.
— Ma solo perché il Gran Khan sta spianando la strada all’avvento di un impero cinese che abbracci il mondo — insisté Agla.
Ye Liu Chutsai tacque, e io mi resi conto che stava riordinando i pensieri per poterceli esporre nel modo più chiaro possibile.
— Temucin — disse sottovoce, quasi temesse che qualcuno lo sentisse pronunciare quel nome venerato — considerava la conquista come un mezzo per impedire alle tribù del Gobi di annientarsi a vicenda. Un colpo di genio. Ma questo comporta una continua espansione dell’impero mongolo.
— Sì, ce l’hai già detto — fece Agla.
— Ma a che servono tutti questi spargimenti di sangue, queste sofferenze? — chiese il mandarino. — A che servono, se non a far sì che questi guerrieri nomadi non si azzannino l’un l’altro?
Agla e io sapevamo rispondere.
— D’altro canto — proseguì il vecchio — ecco che abbiamo la civiltà della Cina, la civiltà più elevata mai vista al mondo. Non è guerresca, quindi non ha il modo di diffondere in altre terre i frutti della sua cultura.
— I mongoli invadono il Catai, ma alla fine è la civiltà cinese a conquistarli — osservai.
— Tempo un paio di generazioni. Forse, di più — annuì Ye Liu Chutsai.
— Dunque il tuo compito è quello di favorire la crescita dell’impero mongolo, per impedirgli di crollare per un periodo di tempo sufficiente a permettergli di trasformarsi in un impero cinese, retto da mandarini civili che controlleranno il mondo intero.
— Sì. Un grande impero unificato che comprenda il mondo intero, da mare a mare. Pensate a cosa significherebbe! La fine degli spargimenti di sangue. Un mondo di pace, governato dalla legge, non dalla spada. È la meta a cui ho dedicato tutta la mia vita.
Un impero cinese, costruito con la forza dai guerrieri mongoli, diretto da mandarini ammantati di seta. Ye Liu Chutsai vedeva la più grande civiltà della storia che creava un mondo di pace. Io vedevo un’autocrazia che avrebbe soffocato la libertà individuale, pur con segni di civiltà.
— Vi dico tutto questo perché desidero che capiate il problema che rappresentate per me — disse il mandarino.
— Problema? — chiesi. Sospirò, — Ogotai non è come suo padre. È troppo affabile per essere un buon sovrano, troppo soddisfatto delle ricchezze che ha oggi per capire la necessità di spingersi costantemente in avanti.
— Ma hai detto che…
— Fortunatamente — proseguì, zittendomi con l’indice alzato — la forza interiore dell’impero è ancora ben viva, Hulagu, Subotai, Kubilai e gli altri orkhon e principi puntano oltre ai confini dell’impero mongolo. Ogotai se ne sta qui a Karakorum, accontentandosi che siano gli altri a combattere, mentre lui si gode i frutti delle loro conquiste. Non è una situazione salutare.
— Ma questo che c’entra con noi? — chiese Agla.
— Ogotai è superstizioso — rispose Ye Liu Chutsai. — E i suoi indovini ultimamente gli hanno detto di guardarsi da uno straniero venuto dall’Ovest… perché costui tenterà di uccidere il Gran Khan.
Intervenni deciso. — Anch’io devo metterlo in guardia.