— Sì — annuì serio Ahriman. — Vieni. Ti faccio vedere.
Si voltò e attraversò la parete alle sue spalle. Ricordando lo scherzo che mi aveva giocato nel ventesimo secolo, ebbi un attimo di esitazione, poi lo seguii.
Penetrai nel muro, avvertendo nuovamente per un istante il gelo dello spazio profondo. Poi sbucammo in una foresta, tra piante alte che stormivano nel vento notturno. In silenzio, Ahriman mi guidò lungo i meandri di un sentiero nel sottobosco. In alto, tra il fogliame, si scorgeva uno spicchio di luna che affiorava dalle nubi in corsa. Un gufo chiurlò nell’oscurità; i grilli frinivano in continuazione.
Ci fermammo all’estremità del bosco, dove il terreno digradava verso un’ampia pianura erbosa. C’erano tende, laggiù; e lunghe file di cavalli che dormivano. Ma erano tende alte e quadrate, diverse da quelle dei mongoli. I carri che si vedevano erano più grandi e massicci di quelli di Karakorum. E anche i cavalli sembravano diversi dai pony del Gobi; questi erano più grossi, più lenti.
— Il fior fiore del cavalierato dell’Europa orientale — mormorò Ahriman. — Guidato da Bela, re d’Ungheria. Ci sono centomila uomini accampati laggiù… cavalieri della Croazia, della Germania, dell’Ungheria naturalmente, e perfino i Templari di Francia.
— Dove siamo?
— Quella è la piana del Mohi. Oltre il fiume c’è il Tokaj, la terra del vino. È là che Subotai e i suoi mongoli stanno passando la notte… almeno, così crede Bela.
Nel tenue chiarore lunare, vidi delle guardie attorno al perimetro dell’immenso accampamento, e altre tende piantate sulla sponda opposta del fiume ai piedi di un ponte di pietra che lo attraversava. Non si notava nulla di strano mentre i primi tentacoli grigi dell’alba striavano il cielo.
Poi Ahriman mi fece accovacciare tra la vegetazione.
Accennai una protesta, ma lui mi zittì calcandomi una mano poderosa sulla spalla.
D’un tratto sentii il fiato di un cavallo. Girandomi, vidi nel fitto del sottobosco un paio di guerrieri mongoli che avanzavano lenti e silenziosi sui loro pony. Dietro di loro, altri cavalieri, tutti silenziosi come fantasmi. Si fermarono, gli archi in mano, le frecce già incoccate. Aspettavano un segnale.
Una grandinata di fuoco solcò il cielo grigio. Sul campo degli europei piovvero dardi incendiari, appiccando il fuoco alle tende, terrorizzando i cavalli legati. Un urlo allucinante si levò da migliaia di guerrieri mentre i mongoli spronavano le loro bestie e si lanciavano nel campo addormentato da tre lati. Alcuni cavalieri ci passarono accanto, coprendoci di zolle di terra, lanciando terribili grida di guerra, tendendo i piccoli archi doppi e trafiggendo gli europei che barcollavano ancora intontiti dal sonno.
La carneficina fu totale. Per tutta la mattina i due eserciti lottarono, migliaia e migliaia di uomini impazziti che cercavano di uccidersi a vicenda. Gli europei si battevano con la forza della disperazione; erano circondati, e non avevano alcuna speranza di fuggire o di essere risparmiati. I mongoli, nonostante la notevole inferiorità numerica, abbattevano spietati gli avversari con frecce, lance e scimitarre che non facevano distinzione tra sangue nobile e sangue plebeo. Gli europei non ebbero nemmeno il tempo di montare in sella o di indossare le armature. Furono massacrati nei loro indumenti da notte. Gli uomini sul lato opposto del ponte combatterono coraggiosamente, ma ben presto i mongoli li decimarono e si riversarono attraverso il ponte per completare l’accerchiamento.
Il sole brillava alto nel cielo, mentre fissavo inorridito il sangue che colava nella polvere. Uomini agonizzanti, cavalli che gemevano, terrore e confusione ovunque.
— Ecco il genere umano nella sua migliore espressione — commentò godendo Ahriman. — Osserva con quanta energia e passione i tuoi simili si ammazzano.
Non dissi nulla. Che potevo dire? L’odore del sangue, la vista dei corpi squarciati, smembrati, mi dava il voltastomaco.
— Ho già vinto — disse calmo Ahriman. — Grazie alle informazioni che hai dato a Subotai, i mongoli hanno sgominato l’esercito europeo. Adesso tra loro e il Reno non c’è più nessun ostacolo. Si spingeranno a ovest, distruggendo città e massacrando intere nazioni. I francesi cercheranno di opporsi all’invasione, come contro i mori sotto Carlo Martello. Ma il momento della gloria definitiva arriverà per Subotai. Annienterà l’esercito francese, come oggi ha annientato Bela e i suoi alleati. Tutta l’Europa sarà dominata dai mongoli… tutta l’Eurasia, dal Pacifico all’Atlantico.
— Ed è questo che cerchi? — chiesi, distogliendo lo sguardo dalla scena del massacro.
La sua mano d’acciaio mi strinse il braccio. — Sì, Orion. E nulla può impedire che accada. Né tu né Ormazd potete fermarmi adesso. Non potete più fermarmi.
Chiusi gli occhi un istante. La stretta di Ahriman si allentò, e il rumore e il tanfo della battaglia sembrarono svanire.
Aprii gli occhi… ed era Agla che mi stringeva il braccio, non Ahriman. Eravamo di nuovo nel tempietto di pietra a Karakorum. Ahriman mi scoccò un sorriso di commiato, una smorfia più che altro, e tornò a scomparire nell’oscurità.
Agla si mosse, respirò, come una statua che di colpo si animasse. — Non vedo nulla, qui — disse.
— Io ho già visto abbastanza. Più che abbastanza. — La condussi fuori, nella luce del giorno.
Entro poche settimane, un corriere sarebbe giunto al galoppo a Karakorum per annunciare la vittoria di Subotai. I mongoli avrebbero esultato, ma Subotai non sarebbe stato richiamato nella capitale per ricevere congratulazioni o ricompense. Lui e il suo esercito avrebbero continuato l’avanzata, come aveva detto Ahriman, per schiacciare il cuore dell’Europa come avevano distrutto il cuore del mondo musulmano.
Prima dell’arrivo dei Mongoli, la Persia e la terra tra il Tigri e l’Eufrate erano state le regioni più popolose e ricche della Terra. I canali di irrigazione scavati nei tempi remotissimi di Gilgamesh avevano fatto di Babilonia, e in seguito di Bagdad, il centro della civiltà… qualunque cosa pensassero i cinesi. Ma i mongoli avevano devastato quella parte del mondo in maniera tale che solo a distanza di secoli quell’area avrebbe riacquistato una pallidissima traccia dello splendore precedente.
Ora l’Europa era indifesa di fronte a Subotai. I suoi guerrieri avrebbero fatto alla Polonia, alla Germania e ai Balcani quello che avevano fatto al Medio Oriente. Forse l’Italia si sarebbe salvata, protetta dalle Alpi. Ma ne dubitavo. Quei guerrieri che avevano superato il Tetto del Mondo non si sarebbero arrestati dinanzi a montagne che non erano riuscite a fermare Annibale. L’Italia, la Grecia… il fiore della civiltà mediterranea sarebbe stato annientato come tutto il resto.
E io avevo aiutato Subotai a ottenere simili risultati. Ahriman aveva davvero motivo di rallegrarsi.
16
Cercai di spiegare tutto quanto ad Agla, ma sembrava proprio che lei non riuscisse ad afferrare la situazione nelle sue molteplici sfaccettature. Per lunghe ore rimasi seduto nella nostra squallida casupola, parlandole di Ahriman e delle nostre altre vite, di Ormazd e della lotta titanica che abbracciava i secoli.
— Ahriman mira a distruggere l’unità, la continuità dello spazio-tempo — dissi alzando la voce, quasi sperassi di renderle tutto più chiaro.
Agla ascoltò pazientemente. Si sforzava di capire. Però, nonostante fosse già vissuta nel ventesimo secolo e in altre epoche, comprendeva pochissimo di quello che le dicevo. In questa incarnazione era totalmente una figlia del tredicesimo secolo.
— Ahriman è un mago delle tenebre — disse infine, illustrandomi il suo punto di vista. — E i suoi poteri gli permettono di mostrarti il passato e il futuro.
— Ma quello che mi ha mostrato è successo oggi — insistetti. — E non me l’ha solo mostrato. Eravamo proprio là, a migliaia di chilometri da qui.