— Non ti sei mai allontanato da me — sorrise Agla.
— Sì, invece. Ma mi sono mosso in una sfera temporale diversa. Per te non è trascorso neppure un attimo. Io invece sono rimasto nella pianura del Mohi per quasi dodici ore.
— Ti sembra. Ahriman è un mago molto potente, questo è certo.
Decisi di dichiararmi d’accordo con lei, e lasciai perdere. Quella notte facemmo l’amore appassionatamente, quasi temessimo di non avere altre notti per noi. Era ormai l’alba quando finalmente mi addormentai. Sognai Ormazd, in armatura d’oro, in sella a un destriero arabo dorato… Avanzava lungo un sentiero, in una specie di parco, sotto un cielo limpido. Poi il bosco si faceva più fitto, più buio, finché il sole spariva dietro un intrico di rami e fogliame. Sapevo cosa sarebbe successo, e gridai per avvertire Ormazd, ma dalla gola non uscì nessun suono. Ero paralizzato, impotente, mentre piccole serpi scure strisciavano sul sentiero e si mutavano in agili guerrieri mongoli che circondavano il destriero e tiravano Ormazd sul terreno zuppo di sangue, colpendolo, lacerandolo, trafiggendolo ripetutamente, squarciandogli la gola e il ventre, strappandogli le viscere.
— Orion, aiuto! — gridava ad alta voce Ormazd nonostante le tremende ferite. — Dove sei? Aiutami! Aiutami!
Tutto il mondo diventava buio e freddo, e io rimanevo paralizzato, gelato nello spazio profondo privo di stelle mentre il pianeta Terra rimpiccioliva e scompariva nelle tenebre.
Mi svegliai, drizzandomi a sedere. Agla al mio fianco dormiva tranquilla.
“Pensa, Orion!” mi imposi. “Come puoi sconfiggere Ahriman se non capisci nemmeno cosa stia tramando?”
Chiusi gli occhi, esaminando i fatti che conoscevo. Ahriman voleva distruggere la struttura dello spazio-tempo, sconvolgere il continuum a tal punto da disgregare l’universo intero. Sosteneva che noi umani avevamo annientato la sua razza e cercava la vendetta completa… cancellare per sempre il genere umano. Il che significava che doveva distruggere Ormazd, che lui definiva il nostro creatore.
C’erano molte, troppe cose che non sapevo, molte cose che non capivo. Scossi la testa, chiedendomi in che modo potessi raggiungere Ormazd e chiedergli altre informazioni. Ma evidentemente secondo lui possedevo già tutti i dati necessari. Mi aveva inviato lì, in quel luogo, in quell’epoca, con tutti i miei poteri mentali e fisici, addirittura con la comprensione della lingua mongola impressa nel cervello. Aveva anche inviato Agla, come una specie di guida indigena, un barometro degli atteggiamenti e dei comportamenti della gente dell’epoca. Era questo il suo ruolo, come il ruolo di Aretha nel ventesimo secolo era stato quello di risvegliarmi alla mia missione di caccia.
In qualche modo, Ogotai era la chiave di tutto. Quando mi aveva catturato, avevo dichiarato subito di essere un emissario per il Gran Khan. Era stato Ormazd a imprimermi nella mente quelle parole. Non sapevo perché, però ero convintissimo che tutto dipendesse da un mio incontro diretto col Gran Khan.
Mentre il sole filtrava dall’unica finestra, riempendo la stanza polverosa di pulviscolo danzante, decisi di farmi ricevere da Ogotai tramite Ye Liu Chutsai.
Agla mi seguì mentre cercavo il mandarino. Mi serviva da rivelatore, sensibile alle sfumature di quello strano mondo che io non sarei mai riuscito a captare. E poi era anche la donna che amavo, e la volevo accanto a me per proteggerla.
Impiegammo buona parte della mattina per superare a furia di discussioni la barriera di guardie torve e di affabili amministratori cinesi dell’ordu. Finalmente ci trovammo in una tenda di fianco al padiglione centrale di Ogotai. L’interno della tenda era rivestito di tappeti, e arredato con mobiletti e cassapanche piene di volute ornamentali e intarsi d’oro e avorio raffiguranti draghi e pagode che ne indicavano la provenienza… Catai.
Liu apparve da dietro un paravento di ebano, muovendosi coi soliti passettini che parevano sfiorare il terreno, e raggiunse una sedia imbottita accanto a un lungo tavolo coperto di mappe e pergamene. Ci rivolse un cenno e sorrise, indicando con un gesto le sedie più piccole vicino alla sua.
Dopo uno scambio educato di saluti, il mandarino mi chiese il motivo di quella visita.
— Per pregarti di farmi ricevere dal Gran Khan — risposi. — Devo assolutamente vedere Ogotai.
Per alcuni attimi giocherellò in silenzio con la barbetta candida. Misi a fuoco ogni atomo del mio essere, ogni sinapsi lungo le miriadi di neuroni del cervello, concentrandomi sulla mente del vecchio. Liu parve avvertire la cosa; si irrigidì leggermente e mi fissò. Vidi confusione nei suoi occhi marrone, poi graduale comprensione.
— Ti ho protetto da eventuali pericoli — disse, in tono quasi di scusa. — Se incontrerai Ogotai e lui deciderà che rappresenti davvero la minaccia profetizzata da Ahriman, allora ti farà uccidere.
— C’è un pericolo più grande in agguato — ribattei. — Devo vederlo subito.
— Bene — annuì Liu. — Combinerò un incontro. Aspetta qui.
Si alzò dalla sedia come un sonnambulo e scomparve dietro il paravento. Mi girai verso Agla e sorrisi.
Mi stava guardando con un’espressione strana. — Lo hai costretto a piegarsi al tuo volere — disse.
— L’ho convinto che era una cosa assolutamente necessaria.
Agla alzò la mano per scostare una ciocca di capelli dagli occhi, e una scarica di elettricità statica le crepitò tra le dita. — Anche tu sei un mago — mormorò, intimorita. — Perché non me l’hai detto?
— Non sono un mago.
— Sì. Come Ahriman. Un uomo dagli enormi poteri. Avrei dovuto capirlo quando hai guarito tanto in fretta le tue ferite…
— I miei poteri sono benigni, non maligni — dissi. — Comunque, non sono un mago.
— Non hai idea della tua forza — insisté Agla. — Quello che hai fatto a Chutsai… l’ho sentito!
Cercai di minimizzare le mie doti ipnotiche istintive, ma Agla sapeva meglio di me cosa ci fosse in gioco. — Non lasciare che Ogotai o le sue guardie vedano i tuoi poteri. Sono superstiziosi, e ti ucciderebbero per paura.
— Però lasciano in vita il tenebroso Ahriman — dissi.
— Sì, perché lui profetizza per loro vittorie in battaglia. Ho ascoltato quello che le donne dicono di Ahriman. È temuto per i suoi oscuri poteri, ma i guerrieri preferiscono non contrariarlo perché non vogliono che profetizzi sconfitte. Questi sciocchi credono che le profezie di Ahriman creino la vittoria o la sconfitta.
— Proprio per questo dovrebbe trovarsi in grave pericolo. E se i mongoli decidessero una notte di tagliargli la gola e farla finita?
Agla scosse la testa, e tornò a scostarsi dagli occhi una ciocca di capelli.
— Ahriman è stato molto astuto. A quanto ho sentito, è venuto a Karakorum come sacerdote di una nuova religione. Una religione guerresca. I mongoli rispettano i sacerdoti, tollerano qualsiasi religione. Così, anche se i poteri di Ahriman suscitano grande paura, il Gran Khan non permetterà che gli venga fatto del male… finché le sue profezie di vittoria continueranno ad avverarsi.
Era astuto, pensai. Più astuto di me, per capire così a fondo quella gente.
— E poi — proseguì Agla un po’ più rilassata — i mongoli non spargono il sangue dei personaggi importanti.
— Oh? Allora come…
— Li strangolano, o li soffocano sotto dei tappeti. La Yassa proibisce lo spargimento di sangue tra i mongoli, ma non tralascia la necessità di uccidere.
Immobile sulla scomoda sedia, riflettei su quanto Agla mi aveva detto. Non potei fare a meno di vedere la faccia di Ahriman, e il suo sorriso agghiacciante, mentre meditavo sul fatto che nemmeno il codice di leggi di Gengis Khan riusciva a impedire agli esseri umani di uccidersi a vicenda.