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Sedeva su un letto, le gambe che penzolavano oltre il bordo. La tenda era illuminata solo da qualche candela. Delle donne, nemmeno l’ombra.

Il guerriero si fermò appena oltre la soglia e si inchinò. Feci altrettanto.

— Uomo dell’Ovest — disse Ogotai — voglio che tu sappia che ci sono sei guardie armate in questa tenda.

Guardai nella semioscurità, e in effetti notai i riflessi delle candele sull’acciaio degli elmi e le else ingemmate.

— Sono le mie guardie personali — proseguì Ogotai. — Uomini fidatissimi. Sono sordi e muti. Non sentono né parlano. Però, al minimo segno di pericolo per me, ti piomberanno addosso e ti uccideranno senza esitare, senza pietà.

— Mio Khan, la tua saggezza è pari all’elevatezza della tua posizione tra gli uomini.

— Parole degne di un vero emissario — sorrise Ogotai. Congedò il mio accompagnatore e mi indicò uno sgabello accanto al letto.

— Bene, qual è dunque il messaggio dall’Ovest che solo le mie orecchie devono sentire?

— Mio signore, la verità è che sono stato inviato qui per uccidere un uomo… l’uomo noto col nome di Ahriman.

— Allora non sei un emissario?

— Oh, sono un emissario. Gran Khan. Ti porto un messaggio dalla mia terra lontana, un messaggio che spiega la mia presenza qui. Questo messaggio racchiude la chiave del futuro del grande impero che tu e tuo padre avete creato.

— E i miei fratelli — mormorò Ogotai. — Hanno fatto tutti la loro parte. Più di me, a dire il vero.

— Gran Khan, vengo da una terra lontana non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Ho attraversato molti secoli per raggiungerti. Tra settecento anni, il nome del primo Gran Khan sarà noto e stimato in tutto il mondo. L’impero mongolo sarà considerato il più grande impero mai esistito.

Notai che Ogotai aveva assorbito l’idea del viaggio temporale senza batter ciglio. — Ed esisterà ancora l’impero in quell’epoca remota?

— In un certo senso, sì. Avrà fatto sorgere nuove nazioni. La Cina sarà forte perché voi avrete unificato i regni del nord e del sud del Catai. La Russia sarà potente… le terre che voi conoscete come le regioni dei moscoviti e dei cosacchi, la regione dove il terreno è nero, e gran parte di quello che un tempo era il Karesm… tutto quanto si salderà assieme in una nazione chiamata Russia.

— E i mongoli? Che ne sarà dei mongoli?

Come potevo dirgli che i suoi discendenti sarebbero diventati uno stato satellite minore dell’Unione Sovietica?

— I mongoli vivranno qui, nel Gobi, nelle pianure che sono sempre state la loro casa. E vivranno in pace, senza nemici.

Ogotai piegò il capo, sospirando. — I mongoli vivranno in pace — sussurrò, assorto. — Finalmente.

Intuendo cosa desiderasse sentire, proseguii: — Non ci sarà più guerra tra le tribù del Gobi, nessuna lotta sanguinosa tra le famiglie. La legge del Gran Khan, la Yassa, sarà rispettata.

Ogotai annuì contento. — Bene. Mi fa piacere.

Mi chiesi cosa dirgli adesso, per tornare ad Ahriman e alla mia missione.

— Ti domandi perché sia felice al pensiero della pace? — fece Ogotai. — Come mai il capo supremo di una razza di guerrieri non insegua nuove conquiste?

— I tuoi fratelli e i tuoi figli…

— Sì, loro continuano ad avanzare. Finché ci sarà terra su cui spingere i cavalli, loro combatteranno per possederla. — Sospirò nuovamente. — La mia vita è stata un susseguirsi di guerre. Perché credi che ti abbia risparmiato una prova della tua forza, questa sera?

Gli sorrisi. — Perché non avevo scarpe?

Accennando a un sorrisetto, Ogotai disse: — No, Orion. Ho già visto abbastanza frecce attraversare l’aria, abbastanza duelli. Desidero la pace, voglio che le sofferenze e le battaglie finiscano.

— I saggi preferiscono la pace alla guerra.

— Allora i saggi sono più rari degli alberi nel Gobi.

— La pace arriverà, col tempo, Gran Khan.

— Dopo che sarò tornato dai miei antenati — disse Ogotai senza la minima amarezza. Era una semplice dichiarazione.

— Mio signore… — iniziai, poi esitai.

— Vuoi parlare del tuo nemico, di Ahriman. Cosa corre tra voi? Si tratta di una faida? Una disputa familiare?

— In un certo senso sì. È un individuo malvagio, Gran Khan. È malintenzionato nei tuoi confronti.

— Nel breve periodo da che si trova qui a Karakorum, mi è stato utile. I guerrieri lo temono, ma apprezzano le sue profezie di vittoria.

— Gran Khan, chiunque può predire ai mongoli la vittoria. Quando mai siete stati sconfitti?

Il volto stanco del sovrano si illuminò. Ridendo, disse: — È vero. Eppure, perfino i miei generali vogliono udire profezie di successo. Li fa sentire molto meglio. E Ahriman ha aiutato anche me a sentirmi meglio —. Sta venendo qui, e dovrebbe arrivare tra poco.

— Qui? Nella tua tenda?

— Lo chiamo quasi ogni notte. Ha una pozione che mi aiuta a dormire. È meglio del vino di Shiraz.

La mente mi ribolliva, cercando di assimilare quella nuova informazione.

— Sarà opportuno che voi due non vi incontriate — disse Ogotai. — Alla minima mossa minacciosa, le mie guardie vi ucciderebbero.

Era un ordine. Inchinandomi, mi congedai dal Gran Khan.

18

Non riuscii a dormire quella notte. Per essere precisi, non era notte. Il cielo era già grigio perla quando rientrai al mio alloggio.

Agla era sveglia, mi aspettava. Parlammo, mentre il cielo si rischiarava. Poi lei non riuscì più a tenere gli occhi aperti e si appisolò con la testa sulla mia spalla. E io le restai accanto, chiedendomi in che modo agire.

Non ero stato messo lì per sbaglio. C’era anche Ahriman a tessere le sue trame per la distruzione dell’umanità. Vedeva Ogotai di notte e gli dava una bevanda che aiutava il Gran Khan a dormire. Una medicina? Un liquore? Un veleno a effetto cumulativo?

Perché Ogotai stentava a dormire? Gli rimordeva la coscienza? Diceva di essere stanco delle guerre e dei massacri, eppure reggeva un impero che doveva continuare a espandersi per non sgretolarsi in tante lotte tribali. Così mi aveva detto Ye Liu Chutsai.

Scossi la testa. Il senso mi sfuggiva. Ogotai si godeva le ricchezze di tutta l’Asia, desiderando la pace, mentre i suoi fratelli e nipoti imperversavano in Medio Oriente, in Europa e in Cina. Com’era possibile che quello fosse un punto di transizione decisivo del continuum spazio-temporale? Quali erano i piani di Ahriman? Come sarei riuscito a bloccarlo se ignoravo a cosa mirasse?

Certo, un sistema c’era. Uccidere Ahriman. Aspettarlo nel suo tempio di pietra e tagliargli la gola. Ucciderlo come lui aveva ucciso Aretha, con crudeltà e decisione.

Ma un’idea opposta mi colpì. Forse Ahriman voleva proprio quello! Non aveva nascosto la sua presenza lì. Non aveva cercato di fare del male né a me né ad Agla. Non aveva fatto nulla per impedirmi di scoprire che andava ogni notte nella tenda di Ogotai. Forse la sua uccisione avrebbe innescato una sequenza di eventi che avrebbero portato alla realizzazione del suo piano.

Mi sentivo sospeso a mezz’aria, in bilico nel nulla mentre due grandi forze mi attiravano in direzioni opposte. Ero lacerato, eppure non potevo fare nulla. Ero paralizzato. Non potevo muovermi, non potevo agire, finché non avessi saputo qualcosa di più circa i piani di Ahriman.

Le mie riflessioni, e il sonno di Agla, furono bruscamente interrotte da un battito insistente alla porta.

— Che c’è? — chiese Agla, subito sveglia.

Chiunque fosse là fuori, sembrava intenzionato ad abbattere la porta.

Mi alzai, infilando la tunica, mentre Agla si raggomitolava sotto le coperte, spaventata.